IL FRATE CAPPUCCINO
• ANTONIO MARTELLINI

u l primo frate cappuccino che conobbi, fu quello che circolava al mio paese, or sono sessant’anni. Il suo nome vero nessuno lo sapeva, ma tutti nella vallata lo chiamavo affettuosamente “Zi’ Frà”.
A quei tempi lui avrà avuto una sessantina d’anni: viso gioviale, tipo svelto, con quel colorito bianco e rosso che dà l’aria di montagna. Calzava sandali d’estate e d’inverno, con la polvere o con la neve, ed indossava un saio marrone di tessuto ruvidissimo, liscio solo nelle parti molto consumate e portava sempre una sbilenca bisaccia appesa ad una spalla.
Allegro e contento veniva periodicamente a fare visita alle famiglie che lo accoglievano volentieri, ed approfittava di quei viaggi per fare la quèstua per il convento, ed alcuni interventi medici ai fedeli.
Ricorderò sempre quando applicò le mignatte alla vecchia zia Nennella, e noi ragazzi tutti intorno in silenzio a guardare, mezzo schifati e mezzo spauriti; un’altra volta, invece, a mio nonno Sabatino, gli fece un salasso, in occasione dei pesanti postumi di una gran bella sbornia domenicale.
Le sue pratiche mediche forse erano un po’ arretrate anche per quell’epoca, però i pazienti credevano nell’efficacia e nella mano benedetta di “Zì’Frà”, e si sà che la medicina funziona anche per auto-suggestione, quindi…
Ogni tanto a noi ragazzi regalava un santino ed a volte qualche frutto, che ritirava dal fondo della bisaccia. Però la sua fama, fra noi ragazzi,derivava dall’invito che ci faceva una volta l’anno per andare ad aiutare in convento alla festa della Madonna di mezz’agosto.
Il convento di San Nicola sorge su una collinetta accoccolata in un lungo e stretto braccio laterale della grande vallata dell’alto Aterno, terra di mandorli e di pecore. Ha ancora oggi il suo antico fascino, seppure sia mezzo abbandonato.
La strada d’accesso si snoda dal fondovalle in una serie di curve a gomito e, sin dall’inizio è demarcata di tratto in tratto, da piccole cappelle con pitture, un po’ rozze e sbiadite, delle “Stazioni” della Via Scra. L’ultima, sullo spazio erboso davanti al cancellone del convento da una parte, ed al sagrato della chiesa dall’altra, è già dentro il misterioso incanto dell’ombroso e folto bosco di querce.
Il giorno della festa noi arrivavamo per primi insieme ai carretti dei venditori di cocomeri, per aiutare nelle pulizie e qualcuno anche, come chierichetto, per servire messa. Lavoravamo come forsennati ma contenti perchè sapevamo che “Zi’Frà” ci avrebbe dato il premio: quella che per me è rimasta fino ad oggi la piu`deliziosa leccornia, e un’ ambita ricompensa: una gran fetta di pane contadino con sopra tanto miele. Il miele dei frati cappuccini!
Altro ricordo che ho di “Zi’ Frà” era il di lui saluto sempre uguale e giulivo:
– Sia lodato Gesù Cristo!
Sono dovuti passare oltre sessant’anni della mia vita, per incontrare di nuovo un frate cappuccino.
Alto e robusto, i capelli folti e tutti bianchi, occhi chiari, sorriso affabile, sempre disponibile, di una naturale educata giovialità: è Frei Rovílio, proveniente, anche lui dalle terre alte, quelle dalle colonie di Alfredo Chaves.
Sono altri tempi ed altri luoghi, ma lo spirito bonario di questi Frati Cappuccini e la disponibilità per il loro prossimo,sia esso lontano o vicino, è sempre la stessa, tanto che fanno supporre che nel loro “curriculum” scolastico, oltre al latino ed alla teologia, questi frati abbiano incluso anche la materia “bontà”!
Frei Rovílio non fà la quèstua per i paesotti di montagna, né attacca le mignatte, né fa salassi, e neppure organizza la festa della Madonna per il convento di San Nicola, ma oltre mantenere in piena funzione la sua parrocchia con tutto quello che ne deriva: confessioni, messe, battesimi, sposalizi, assistenza ai più malati ed esequie, è anche scrittore.
Sì: scrive libri su argomenti i più vari, redige e corregge sia per riviste che per giornali. Scrive su tutto, dal sacro al profano, e prepara anche pro-grammi radio che orgogliosamente lui stesso presenta. Scrive in portoghese, in italiano ed anche in “talian”la lingua che gli emigrati lombardo-veneti ed i Cappuccini delle “colonie” del Rio Grande do Sul, hanno creato e che è la grande passione di Frei Rovílio.
All’affermazione e divulgazione di questa nuova “lingua neolatina” dedica molto del suo tempo, del suo pensiero e della sua anima. Il suo entu-siasmo e la sua convinzione a riguardo sono cosí cristalline, calme, profonde che ha convinto anche uno come me: romano di nascita, abbruzzese di origine e toscano di adozione.
Frei Rovílio Costa, fà anche parte di varie organizzazioni culturali locali, nazionali e internazionali, è anche membro dell’Accademia di Lettere e collaboratore della Curia. Ha scritto e pubblicato numerose opere letterarie e dirige una Casa Editrice, la più “poliedrica” che si possa immaginare, e tutt’altro che bigotta.
Lo si trova sempre a fare qualcosa, è sollecitato costantemente e lui non si tira mai indietro, né per aiutare a preparare un’opera di indirizzo liturgico, né sui nuovi indirizzi dei movimenti ecclesiastici, né su articoli giornalistici vari, né per le opere di assistenza, le piú disparate. Nei momenti di riposo se ne va a piedi all’ufficio postale per spedire grossi plichi di pubblicazioni e di corrispondenza,tanto che viene il dubbio che lo faccia come una specie di penitenza, come un moderno “fioretto”.
Però sà essere anche caustico specialmente contro i falsi profeti (forse direi meglio falsi professori) della cultura ufficiale prezzolata che certi politici e burocrati, specie italiani, vogliono impingerci, attraverso spurie organizzazioni semiculturali.
Con tutto ciò Frei Rovilio fà quasi dimenticare che è prete,tante sono le attività che espleta e la forma laica come si comporta, ma questa fallace impressione si ha solo fino al momento in cui si assiste una Santa Messa celebrata da lui.
Si trasfigura! Voce chiara, squillante, cristallina, gesti ieràtici ma composti. Una Messa celebrata da Frei Rovílio è realmente quel che dev’essere: una funzione della Chiesa comprensibile ai suoi fedeli, che rinnova per tutti il sacrificio di Gesù Cristo.
Tutto quello che abbiamo visto ed appreso di lui allora si compendia nella sua figura di sacerdote, e ci si rende conto che quella è la parte prin-cipale della sua esistenza.
Or sono pochi giorni, all’uscire dai suoi uffici, dove ero andato a chiedergli dei consigli e l’aiuto per un mio schiribizzo letterario, come ho preso l’abitudine di fare, ad un certo punto mi domandò se mi piaceva la rucula e, alla mia risposta affermativa, andò in cucina, prese un pacchetto congelato di quella verdura, e me lo porse, dicendo:
– Prendi, è di campagna, viene dalle nostre colonie. È di quella amaretta, proprio buona!
In quel momento mi sovvenne il “Zi’ Frà” della mia infanzia, quando ritirando dalla sua bisaccia un frutto selvatico campagnolo, ce lo regalava tutto contento.
Mentre uscivo, mezzo distratto e assorto in quell’immagine antica, risentii l’abituale saluto di Frei Rovílio:
– Sia lodato Gesù Cristo!
Giratomi, scorsi. all’ombra della pergola, sotto i suoi bianchi capelli, quel sorriso bonario, tranquillo e un po’ sornione di Frei Rovílio e risposi:
– Sempre sia lodato!
Sì, sia lodato Gesú Cristo perchè nonostante le cattiverie, le incomprensioni, l’ignoranza, la clonazione ed altre diavolerie, continua ad elar-girci, anche se molti di noi non lo meritano, uomini come questi Frati Cappuccini, e Frati Cappuccini come quest’uomo che è Frei Rovílio.
– Sempre sia lodato!

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O FREI CAPUCHINHO
• ANTONIO MARTELLINI

O primeiro frei capuchinho que conheci, foi aquele que girava por meu lugarejo sessenta anos atrás.  Seu nove verdadeiro ninguém sabia, mas todo mundo no vale o chamava de  “Zi’ Frà”.
Naquela época ele deveria ter uns 60 anos: rosto jovial, tipo esbeldo, com aquele colorido branco e vermelho dos ares de montanha. Calçava sandálias no verão e no inverno, com a cinza ou com a neve, e vestia um saiote marrom de tecido ruvidissimo, liscio apenas nas partes muito poídas e trazia sempre uma sbilenca bisaccia grudada num dos ombros.

Allegro e contento veniva periodicamente a fare visita alle famiglie che lo accoglievano volentieri, ed approfittava di quei viaggi per fare la quèstua per il convento, ed alcuni interventi medici ai fedeli.
Ricorderò sempre quando applicò le mignatte alla vecchia zia Nennella, e noi ragazzi tutti intorno in silenzio a guardare, mezzo schifati e mezzo spauriti; un’altra volta, invece, a mio nonno Sabatino, gli fece un salasso, in occasione dei pesanti postumi di una gran bella sbornia domenicale.

Le sue pratiche mediche forse erano un po’ arretrate anche per quell’epoca, però i pazienti credevano nell’efficacia e nella mano benedetta di “Zì’Frà”, e si sà che la medicina funziona anche per auto-suggestione, quindi…
Ogni tanto a noi ragazzi regalava un santino ed a volte qualche frutto, che ritirava dal fondo della bisaccia. Però la sua fama, fra noi ragazzi,derivava dall’invito che ci faceva una volta l’anno per andare ad aiutare in convento alla festa della Madonna di mezz’agosto.
Il convento di San Nicola sorge su una collinetta accoccolata in un lungo e stretto braccio laterale della grande vallata dell’alto Aterno, terra di mandorli e di pecore. Ha ancora oggi il suo antico fascino, seppure sia mezzo abbandonato.
La strada d’accesso si snoda dal fondovalle in una serie di curve a gomito e, sin dall’inizio è demarcata di tratto in tratto, da piccole cappelle con pitture, un po’ rozze e sbiadite, delle “Stazioni” della Via Scra. L’ultima, sullo spazio erboso davanti al cancellone del convento da una parte, ed al sagrato della chiesa dall’altra, è già dentro il misterioso incanto dell’ombroso e folto bosco di querce.
Il giorno della festa noi arrivavamo per primi insieme ai carretti dei venditori di cocomeri, per aiutare nelle pulizie e qualcuno anche, come chierichetto, per servire messa. Lavoravamo come forsennati ma contenti perchè sapevamo che “Zi’Frà” ci avrebbe dato il premio: quella che per me è rimasta fino ad oggi la piu`deliziosa leccornia, e un’ ambita ricompensa: una gran fetta di pane contadino con sopra tanto miele. Il miele dei frati cappuccini!
Altro ricordo che ho di “Zi’ Frà” era il di lui saluto sempre uguale e giulivo:
– Sia lodato Gesù Cristo!
Sono dovuti passare oltre sessant’anni della mia vita, per incontrare di nuovo un frate cappuccino.
Alto e robusto, i capelli folti e tutti bianchi, occhi chiari, sorriso affabile, sempre disponibile, di una naturale educata giovialità: è Frei Rovílio, proveniente, anche lui dalle terre alte, quelle dalle colonie di Alfredo Chaves.
Sono altri tempi ed altri luoghi, ma lo spirito bonario di questi Frati Cappuccini e la disponibilità per il loro prossimo,sia esso lontano o vicino, è sempre la stessa, tanto che fanno supporre che nel loro “curriculum” scolastico, oltre al latino ed alla teologia, questi frati abbiano incluso anche la materia “bontà”!
Frei Rovílio non fà la quèstua per i paesotti di montagna, né attacca le mignatte, né fa salassi, e neppure organizza la festa della Madonna per il convento di San Nicola, ma oltre mantenere in piena funzione la sua parrocchia con tutto quello che ne deriva: confessioni, messe, battesimi, sposalizi, assistenza ai più malati ed esequie, è anche scrittore.

Sì: scrive libri su argomenti i più vari, redige e corregge sia per riviste che per giornali. Scrive su tutto, dal sacro al profano, e prepara anche pro-grammi radio che orgogliosamente lui stesso presenta. Scrive in portoghese, in italiano ed anche in “talian”la lingua che gli emigrati lombardo-veneti ed i Cappuccini delle “colonie” del Rio Grande do Sul, hanno creato e che è la grande passione di Frei Rovílio.
All’affermazione e divulgazione di questa nuova “lingua neolatina” dedica molto del suo tempo, del suo pensiero e della sua anima. Il suo entu-siasmo e la sua convinzione a riguardo sono cosí cristalline, calme, profonde che ha convinto anche uno come me: romano di nascita, abbruzzese di origine e toscano di adozione.
Frei Rovílio Costa, fà anche parte di varie organizzazioni culturali locali, nazionali e internazionali, è anche membro dell’Accademia di Lettere e collaboratore della Curia. Ha scritto e pubblicato numerose opere letterarie e dirige una Casa Editrice, la più “poliedrica” che si possa immaginare, e tutt’altro che bigotta.

Lo si trova sempre a fare qualcosa, è sollecitato costantemente e lui non si tira mai indietro, né per aiutare a preparare un’opera di indirizzo liturgico, né sui nuovi indirizzi dei movimenti ecclesiastici, né su articoli giornalistici vari, né per le opere di assistenza, le piú disparate. Nei momenti di riposo se ne va a piedi all’ufficio postale per spedire grossi plichi di pubblicazioni e di corrispondenza,tanto che viene il dubbio che lo faccia come una specie di penitenza, come un moderno “fioretto”.
Però sà essere anche caustico specialmente contro i falsi profeti (forse direi meglio falsi professori) della cultura ufficiale prezzolata che certi politici e burocrati, specie italiani, vogliono impingerci, attraverso spurie organizzazioni semiculturali.

Con tutto ciò Frei Rovilio fà quasi dimenticare che è prete,tante sono le attività che espleta e la forma laica come si comporta, ma questa fallace impressione si ha solo fino al momento in cui si assiste una Santa Messa celebrata da lui.

Si trasfigura! Voce chiara, squillante, cristallina, gesti ieràtici ma composti. Una Messa celebrata da Frei Rovílio è realmente quel che dev’essere: una funzione della Chiesa comprensibile ai suoi fedeli, che rinnova per tutti il sacrificio di Gesù Cristo.
Tutto quello che abbiamo visto ed appreso di lui allora si compendia nella sua figura di sacerdote, e ci si rende conto che quella è la parte prin-cipale della sua esistenza.
Or sono pochi giorni, all’uscire dai suoi uffici, dove ero andato a chiedergli dei consigli e l’aiuto per un mio schiribizzo letterario, come ho preso l’abitudine di fare, ad un certo punto mi domandò se mi piaceva la rucula e, alla mia risposta affermativa, andò in cucina, prese un pacchetto congelato di quella verdura, e me lo porse, dicendo:
– Prendi, è di campagna, viene dalle nostre colonie. È di quella amaretta, proprio buona!
In quel momento mi sovvenne il “Zi’ Frà” della mia infanzia, quando ritirando dalla sua bisaccia un frutto selvatico campagnolo, ce lo regalava tutto contento.
Mentre uscivo, mezzo distratto e assorto in quell’immagine antica, risentii l’abituale saluto di Frei Rovílio:
– Sia lodato Gesù Cristo!
Giratomi, scorsi. all’ombra della pergola, sotto i suoi bianchi capelli, quel sorriso bonario, tranquillo e un po’ sornione di Frei Rovílio e risposi:
– Sempre sia lodato!
Sì, sia lodato Gesú Cristo perchè nonostante le cattiverie, le incomprensioni, l’ignoranza, la clonazione ed altre diavolerie, continua ad elar-girci, anche se molti di noi non lo meritano, uomini come questi Frati Cappuccini, e Frati Cappuccini come quest’uomo che è Frei Rovílio.
– Sempre sia lodato!