La cittadinanza italiana tra sacro e profano

La Settimana Santa ha come momento iniziale la Domenica delle Palme, data che indica il giorno in cui Gesù, arrivando a Gerusalemme su un asinello, entra nel tempio e cerca di riaffermare, invano, la santità del più importante luogo di culto giudeo. Entrando nel tempio, Gesù si trova davanti tutti i tipi di commercianti, venditori, affaristi e, secondo il Vangelo di Matteo, Gesù dice espellendoli dal tempio: “È scritto: La mia casa sarà chiamata di casa di preghiera. Ma voi l’avete trasformata in un covo di ladri”. Il resto della storia lo conosciamo tutti: arrestato e condannato ingiustamente, Gli viene comminata la massima pena: morte per crocifissione.

Storicamente vera la narrativa – o no -, poco interessa, visto che quello che realmente importa in questa storia è il suo significato: quello che è considerato sacro (nel senso originale) non può essere profanato dagli interessi economici di alcuni. Ma, seppur in presenza della morte di Gesù, è stata la profanazione del tempio giudeo (in quanto più grande simbolo della sua religione) che culmina con la sua distruzione, pochi decenni dopo la crocifissione – e, in un certo senso, con la diaspora giudea che ne segue, situazione storica della quale vediamo i riflessi fino ad oggi. I giudei hanno pagato (e ancora pagano) molto caro per aver permesso che il loro più importante simbolo diventasse un centro commerciale a cielo aperto.

PATROCINANDO SUA LEITURA

Qualcosa analogo è avvenuto con la cittadinanza italiana. Per essere la madre di tutti i diritti, la cittadinanza è sacra – è originale, non ci sono dubbi. Prima di essa, non vi è alcuna esistenza di diritti, né di doveri, né del cittadino verso lo Stato e nemmeno in senso opposto, dello Stato verso il cittadino. Prima di essa siamo solo ombre, solo aspettative, null’altro. A questa legge si deve collegare – benché non in senso giuridico – una nozione di appartenenza ad un popolo e ad una cultura. Per questo, anche, i diversi – e sempre più frequenti – tentativi di modificare la legge della cittadinanza, facendo di questa appartenenza (o di qualcosa che lo mimetizzi) uno dei requisiti essenziali per il riconoscimento. Quello che è sacro non può essere strumentalizzato: questa è la lezione che l’ingresso di Gesù nel tempio ci da.

Una rapida occhiata su Instagram o Facebook dimostra la dimensione della mercificazione della cittadinanza. Sono centinaia di persone lavorandoci sopra. Le ultime novità: c’è chi fa “il prezzo fisso” e chi ha finanziato gli “onorari”, in modo che il cliente possa ottenere un prestito e pagare le rate del finanziamento all’istituzione contrattata. C’è chi promette “analisi” gratuita dei documenti; c’è chi usa, come nome della sua “impresa”, veri metatags, che servono solo per un rapido e facile incontro del “annunciante”, a partire dalle espressioni più frequenti usate da chi cerca informazioni sulla cittadinanza. C’è di tutto, così come nel tempio giudeo: commercianti, venditori e affaristi.

Continuando il mio parallelo, vorrei parlare dei farisei. All’epoca di Gesù, i farisei corrispondevano alla fazione più potente della religione giudea. Strettamente collegati ai romani, erano i grandi responsabili della profanazione del tempio, visto che, ovviamente, facevano pagare i loro tributi e tasse per consentire il commercio dentro il sacro tempio. Seppur conoscendo il profondo simbolismo del tempio e la sua funzione di vera fondamenta del giudaismo, decisero cinicamente, sedotti dai guadagni esorbitanti, economici e politici, derivanti, di sfociare nella profanazione. Anche nel campo della cittadinanza abbiamo i nostri farisei.

In una recente conversazione con un membro del Comites di SP, ho capito meglio come funziona questo “mercato”. Ho sempre pensato che i “consulenti” in Brasile fossero economicamente vincolati agli avvocati operanti in Italia. Mi sbagliavo, in verità, mi sono vergognato della mia ingenuità. Mi spiego: pensavo che tutti i consulenti guadagnassero una percentuale delle somme addebitate dagli avvocati operanti là. Ma non funziona così. Gli avvocati italiani – così come i farisei – si lavano le mani quando “consulenti” spariscono con documenti, quando praticano appropriazione indebita, quando provocano errori irrimediabili nei casi che sono loro presentati, quando sbagliano commercialmente tra di loro o con i clienti. Ciò perché la struttura del mercato è molto più semplice di quanto io, ingenuamente, credessi: i consulenti sono clienti degli avvocati italiani. Tutto lì! Sono i consulenti che fanno ai clienti i prezzi – divenendo a loro volta clienti degli avvocati italiani. Drammaticamente, gli stessi colleghi che, non molto tempo fa, dicevano essere “indebito, irregolare e antietico” l’operato degli avvocati brasiliani in Italia, seppur regolarmente iscritti all’Ordine degli Avvocati Portoghese; anzi, gli stessi che fondano consulenze per tutto il paese, operando – ora sì – irregolarmente, in detrimento degli interessi più importanti dell’avvocatura brasiliana, degli italo-discendenti e dello stesso Brasile. Null’altro che farisei.

In questo “modello di affari” che si è formato ci sono tre rischi evidenti.

Il primo riguarda gli interessi dell’avvocatura brasiliana. I farisei di là hanno girato per tutto il paese, in presenza o virtualmente, spargendo qui la pratica irregolare o illegale dell’avvocatura. Non richiedono nulla e non qualificano i loro “clienti”. Così, ci sono ex-fisioterapisti, ex-medici, ex-funzionari pubblici, ex-pensionati, ex-educatori fisici, ex-“qualsiasi altro tipo di professionista o non professionista” diventando “clienti” dei farisei, tutti dicendosi pienamente capacitati ad “analizzare i documenti”, “dare pareri”, “istruire pratiche”, “inoltrare richieste giuridiche”, ecc., senza mai aver preso che sia una lezione di Diritto. Abbiamo poi avvocati italiani intercettando clienti attivamente in Brasile – cosa vietata dall’etica dell’Avvocatura – dando pareri (orali o scritti) sul nostro Diritto (specialmente per quanto riguarda i rami del Diritto di Anagrafe e della Famiglia). E tutto ciò senza considerare tutta l’arena pubblicitaria dei social network, nei quali sentenze e certificati sono esposti come metodo propagandistico, come anche le frequenti (e volgari) discussioni pubbliche inscenate da avvocati contro clienti o da avvocati contro avvocati – situazioni eticamente vietate tanto qui in Brasile come là in Italia.

Il secondo rischio riguarda proprio i clienti. Senza un contratto (e spesso senza contatto) con i contrattati, sono quasi senza informazioni, sicurezza e trasparenza. Non sanno come stanno andando avanti i loro processi – anzi, molte volte nemmeno sanno se sono già stati istruiti. Quando esiste un contratto, non ci sono clausole protettive e nemmeno oggetto che protegga l’assistito fino all’atto finale del riconoscimento (le trascrizioni): ancora una volta, i farisei fanno quello che sanno fare meglio – se ne lavano le mani. Non è una colpa loro se qualcuno in Brasile abbia addebitato, ad esempio, gli onorari “legali” su spese che non esistono – o, se ci sono, non dovrebbero essere fatte pagare. Non è per colpa loro se qualcuno in Brasile (qualche latino-americano di dubbia indole, come sarebbe presumibile) è scomparso con documenti o con tutto il denaro del cliente; o se, promettendo “analisi gratuita” di documenti, ha intascato (e speso) migliaia di Reais ancor prima che l’avvocato dicesse che “il caso non era possibile”. Se ne lavano le mani: se c’è qualche responsabile, costui sarà stato il faccendiere brasiliano, giusto?

Il terzo rischio risale al filo conduttore di questo articolo. Il profano corrode il sacro, fino alla sua completa distruzione. Avremmo già dovuto saperlo. Come l’italiano medio – nato nel territorio – deve interpretare il mercanteggiamento vergognoso e senza vergogna che si è formato sui social network sulla sua stessa nazionalità? Come le classi dirigenti e dei funzionari pubblici italiani dovrebbero reagire a ciò? Non bisogna fare molti sforzi per arrivare alla conclusione più ovvia. Nessuno, con una sana coscienza politica, vorrebbe vedere la sua nazionalità venduta (e così a poco prezzo) in un mercato che sembra più un suk. E venduta da persone che nemmeno hanno l’autorizzazione per tale fine, per qualsiasi pratica, in qualsiasi luogo, a qualsiasi prezzo, in qualsiasi modo. Non è necessario un coraggio da leoni affinché, un bel momento, persone moralmente giustificate inizino a “puntare i piedi”, facendo saltare il banco di questi “affaristi”. Bisogna scacciare i mercanti dal tempio.

Dal punto di vista organico, tutto il Brasile ci perde. Sono milioni e milioni di Reais prodotti annualmente da persone e “imprese” che non pagano tasse o imposte. Le “imprese” della cittadinanza sono, nella loro maggior parte, semplici pagine su Instagram o Facebook – se molto, siti su internet. Senza CNPJ [in Italia è la Partita IVA], senza autorizzazione al funzionamento, senza pagare tasse e altre imposte, senza un’iscrizione presso un qualsiasi organo di controllo o di ispezione, senza indirizzo fisso, senza un responsabile tecnico, senza la creazione di posti fissi di lavoro,insomma,  senza niente.

I farisei, chiedendo “giustizia”, risoluzione” e “onestà”, continuano a lavarsene le mani, mentre promuovono, per egoismo, la tragedia del nostro sacro. Che nessuno di noi si inganni: la mercificazione della cittadinanza, che stiamo vivendo in una forma così esasperata, avrà conseguenze. Spero, sinceramente, che prenderemo iniziative in comune ed energiche per rendere veramente etica questa prestazione di servizi, visto che il risultato già lo conosciamo: la distruzione del tempio e la diaspora del popolo; la fine dei simboli e la tragica  profanazione del sacro.