Come è noto, tra il 16 e il 21 febbraio, lo Stato di Espirito Santo, più precisamente la città di Vittoria, ha ospitato l’inizio delle commemorazioni dei 150 anni dell’immigrazione italiana in Brasile.
Prima che, in un modo sbagliato, si manifestino i vecchi dissidenti: 150 anni della Grande Immigrazione. Dato che non avrebbe potuto essere il contrario, c’è chi attacca la scelta di questa data, vale a dire, l’anniversario della spedizione di Pietro Tabacchi, arrivata nel porto di Vittoria il 21 febbraio 1874, con 388 contadini di origine trentina. Alcuni diranno che la data sarebbe la spedizione precedente a SC; altri, che sarebbe una spedizione successiva nel RS. Poco importa, in particolare dopo aver promulgato la Legge nº 11.687/2008 che, in base a questo fatto storico, si sia stabilito il 21 febbraio come “Giorno dell’Immigrante Italiano” in Brasile.
La scelta di una spedizione rappresentativa della Grande Immigrazione non ha come elemento essenziale la nazionalità italiana degli immigranti ma la forma con la quale è stata realizzata la spedizione. Ciò perché, quello che ha definito il momento storico chiamato “Grande Immigrazione” è stata la propaganda attiva, fatta in particolare nel Nord e Nord Est d’Italia, da agenti locali, compagnie di navigazione e governi statali brasiliani, promettendo agli immigranti il paradiso americano e spingendo all’espatrio milioni di italiani verso il Brasile. Senza dubbi, la prima spedizione capace di coniugare perfettamente tali caratteristiche, è stata la spedizione di Tabacchi; ecco il motivo della sua scelta.
Espirito Santo, ancora una volta, ha dato spettacolo. Erano presenti oltre settanta comuni, con proprie delegazioni. Famiglie tradizionali – formate, oggi, da discendenti di persone che giunsero in Brasile con la spedizione Tabacchi, hanno trovato il tempo per concedere interviste, ricevere squadre di giornalisti e ricevere tutti calorosamente; Insieme, nella figura del giornalista Desiderio Peron, era presente nella copertura totale dell’evento. Abbiamo ascoltato: e storie che si incrociano con la costruzione e lo sviluppo dello stesso Stato di Espirito Santo; senza dubbi, l’immigrazione italiana è stata fondamentale per la colonizzazione dell’entroterra dello Stato, per l’introduzione di nuove tecniche agricole, per l’apertura delle strade, insomma, per lo sviluppo dell’economia regionale e delle economie micro regionali. In tutte le conversazioni, due denominatori comuni: l’orgoglio di essere discendente e il lavoro come bussola della vita.
La simulazione che abbiamo fatto – alla quale, con molto orgoglio, sono stato invitato – dell’arrivo della nave La Sofia al porto di Vittoria, nelle idi del 1874, è stata molto emozionante. Uso di vestiti tipici, intonando canti ed inscenando danze che, si presume, portano la memoria dei primi apportati, abbiamo attraversato il canale verso il porto. Io, in particolare, ho preferito vivere il momento; per questo non ho fatto registrazioni, preferendo un’attitudine contemplativa; in fin dei conti, non è tutti i giorni che si festeggiano i 150 anni di un evento ed è molto probabile che, ai 200 anni, non ci sarò più. Così, ho preferito fissare tutto nella mia memoria.
Apice di tutto – almeno per me – è stato il corteo fatto dal porto alla Chiesa. Gli immigranti si mischiavano a tutti gli altri, che cantavano, ballavano, battevano le mani e salutavano con mani o fazzoletti. Nel corso del percorso, bandiere italiane e delle loro regioni; un’ottima banda animava la festa e, nel bel mezzo del percorso, la grata sorpresa di un coro di bambini, tutti rappresentativi del bel mix che solo il Brasile ha saputo fare, per essere una nazione veramente civilizzatrice: lì c’era il Brasile, con tutti i suoi toni di pelle, nella sua molteplicità di origini, cantando canzoni italiane. Un qualcosa da conservare sempre nelle memorie e nel cuore. Magari potessimo noi brasiliani dimenticare le brutte imitazioni e ci potessimo aggrappare alla nostra stessa lezione per il mondo: quello di essere un paese dove tutto si trasforma e rispettosamente si mischia, senza che, magicamente, si perdano le origini e l’essenza.
Dopo la Messa – speciale, visto che celebrata dal vescovo, nella chiesa madre e alla presenza di una meravigliosa orchestra e di un ottimo coro – tutto si è “brasilianizzato”. Bagnata da una buona e vecchia birra gelata e cachaça, abbiamo finito sambando: era la sintesi dell’allegria italiana e del ritmo africano, che culturalmente qui conserviamo, dentro di noi, italo-brasiliani. Ho un orgoglio immenso di tutte le mie radici e di, come brasiliano, essere anche italiano e, perché non dirlo, africano. Ecco la meraviglia del Brasile e la nostra grande lezione per il mondo.
Per i prossimi 50, 100, 150 anni, desidero che si approfondiscano sempre di più i legami tra Brasile e Italia. Desidero, inoltre, che i nostri connazionali del territorio possano capire molto delle loro radici, qui in Brasile; che noi, italo-brasiliani, mai perdiamo le nostre memorie e non ci distanziamo delle nostre origini, di tutte loro; che tutta la forza delle nostre discendenze ci facciano crescere nella direzione di essere persone migliori e più complete e che la nostra comunità segua decisa nella conoscenza di se, appoggiandosi alla ricchezza della sua diversità etnica e culturale. Un viva per l’Italia! Un viva per il Brasile!