Sono passati esattamente 40 giorni dalla promulgazione del Decreto-Legge n. 36/2025 — già ribattezzato da giuristi, parlamentari e associazioni della diaspora come il Decreto della Vergogna — quando la presidente del Consiglio dei Ministri italiano, Giorgia Meloni, è tornata a menzionare pubblicamente l’America Latina. In un intervento al Parlamento, mercoledì scorso, ha dichiarato che l’Italia sta rinnovando la propria relazione con l’America Latina, alla quale sarebbe profondamente legata anche grazie a una straordinaria presenza di comunità italiane, da lei definite la migliore e più ampia rete diplomatica del Paese.
Un discorso che potrebbe sembrare un tradizionale omaggio diplomatico alla presenza italiana nel continente, ma che ha suscitato reazioni ambivalenti tra i rappresentanti della comunità italo-discendente, soprattutto in Brasile, il Paese maggiormente colpito dalle nuove restrizioni alla trasmissione della cittadinanza italiana per diritto di sangue.
Parole che contraddicono i fatti – Per molti, la dichiarazione di Meloni contraddice apertamente le misure adottate dal suo stesso governo in materia di cittadinanza. Il Decreto-Legge n. 36/2025, firmato anche dal presidente Sergio Mattarella, ha introdotto limiti senza precedenti al riconoscimento automatico della cittadinanza italiana per i discendenti nati e residenti all’estero, colpendo in pieno milioni di italo-latinoamericani che, storicamente, hanno mantenuto vivi i legami culturali, linguistici e identitari con l’Italia.
In questo contesto, le parole di Meloni possono essere interpretate da giuristi e attivisti come pura retorica diplomatica o addirittura come un atto di cinismo politico.
Come si può dire che siamo la migliore rete diplomatica e, allo stesso tempo, escluderci dal diritto alla cittadinanza? Questo ferisce la nostra dignità e la memoria stessa dell’emigrazione italiana, ha commentato un dirigente comunitario intervistato da Revista Insieme.

Uso simbolico della diaspora – Le parole di Meloni rafforzano una tendenza già denunciata da numerose organizzazioni della diaspora: l’uso simbolico e strumentale delle comunità italiane all’estero. Esaltandone l’importanza culturale e strategica, il governo sembra voler attenuare l’impatto internazionale del decreto, pur negando nella pratica il riconoscimento giuridico e politico a gran parte di questi stessi discendenti.
Questo doppio binario – valorizzazione simbolica ed esclusione legale – è stato oggetto di proteste pubbliche in città come San Paolo, Porto Alegre, Roma e Reggio Calabria. Ed è stato contestato anche in sede giudiziaria, come nella sentenza del Tribunale di Campobasso che ha respinto l’applicazione retroattiva del decreto.
Un gesto tardivo di fronte a una rottura – Neppure il momento scelto per la dichiarazione – il 7 maggio – è passato inosservato agli analisti. Esattamente 40 giorni dopo quello che è stato definito il Giorno dell’Infamia, il 28 marzo, data di pubblicazione del decreto, il discorso viene letto come un tentativo di contenere simbolicamente i danni causati dalla nuova normativa, in particolare nei rapporti con l’America Latina.
Anche se il disegno di legge di conversione del decreto è ancora in discussione al Senato, non ci sono segnali concreti che il governo sia disposto a fare marcia indietro nella sostanza — il che rende, secondo i suoi critici, la dichiarazione della Meloni un gesto puramente retorico.
