Il nuovo testo approvato giovedì 8 maggio dalla 1ª Commissione permanente del Senato italiano, nell’ambito dell’esame del DDL 1432, contiene modifiche significative al Decreto-Legge n. 36/2025, conosciuto come “Decreto Tajani”. Sebbene alcuni emendamenti siano stati approvati in versione riformulata, alcune delle modifiche introdotte nel capoverso “Art. 3-bis” dell’articolo 1 sollevano serie preoccupazioni circa gli effetti pratici della proposta per i discendenti degli italiani nel mondo — incluse famiglie attualmente residenti in Italia.
Tra le principali modifiche approvate, si evidenziano le nuove versioni delle lettere c) e d) del comma 1 dell’articolo 3-bis, oltre alla soppressione della lettera e). La nuova formulazione stabilisce che il diritto alla cittadinanza è condizionato, tra l’altro, al fatto che l’ascendente di primo o secondo grado “possegga o abbia posseduto, al momento della morte, esclusivamente la cittadinanza italiana”.
Questo punto ha suscitato forte preoccupazione. L’esigenza di esclusività della cittadinanza italiana nell’ascendente elimina, di fatto, il diritto di milioni di discendenti i cui antenati hanno acquisito una seconda cittadinanza dopo l’emigrazione — come è il caso della maggior parte degli italiani giunti in America del Sud, America del Nord, Australia e Europa centrale a partire dal XIX secolo. La misura compromette anche la situazione delle famiglie miste o di italiani rientrati in Italia dopo essersi naturalizzati in altri Paesi. Persino i discendenti nati e residenti in Italia, figli di matrimoni binazionali, potrebbero essere colpiti se in possesso della doppia cittadinanza fin dalla nascita.
Gli esperti osservano che questa nuova formulazione potrebbe compromettere il riconoscimento della cittadinanza italiana persino per figli e nipoti di italiani nati in Italia, qualora i loro genitori o nonni abbiano acquisito una cittadinanza straniera, anche senza mai aver perso la cittadinanza italiana. Il principio della trasmissione automatica, previsto dalla normativa attuale, verrebbe annullato da questo requisito inedito di esclusività, in contrasto con lo stesso concetto di ius sanguinis.
Un altro punto critico è rappresentato dalla nuova formulazione della lettera d), che collega il riconoscimento della cittadinanza al fatto che il genitore o adottante abbia risieduto in Italia per almeno due anni dopo l’acquisizione della cittadinanza italiana e prima della nascita o dell’adozione del figlio. L’uso del termine “acquisizione” genera incertezza giuridica, poiché rimanda a procedimenti amministrativi di naturalizzazione, incompatibili con la cittadinanza per discendenza, che è originaria e si trasmette automaticamente alla nascita. In questo modo, il testo sembra fondere regimi giuridici distinti — come ius sanguinis, ius soli, ius culturae, ius scholae e persino il cosiddetto ius Italiae — in un’unica struttura, generando ambiguità e insicurezza.
Di fronte a tali incongruenze, analisti ascoltati da Insieme propongono che la lettera c) venga riformulata per garantire il riconoscimento della cittadinanza ai discendenti di cittadini italiani originari, indipendentemente dal fatto che questi abbiano acquisito un’altra cittadinanza per nascita (ius soli) o per naturalizzazione. La lettera d), invece, dovrebbe limitarsi alla dimostrazione della residenza del genitore sul territorio italiano, senza collegamenti con procedimenti di acquisizione della cittadinanza, preservando così la logica del riconoscimento automatico della cittadinanza di origine.
Il rischio, segnalano gli osservatori, è quello di portare avanti una riforma che, nel tentativo di stabilire filtri più rigidi per prevenire abusi, finisca per minare le basi giuridiche e storiche della cittadinanza italiana per discendenza. Limitando la trasmissione ai soli casi di “cittadinanza esclusiva”, la proposta nega la realtà stessa dell’emigrazione italiana, caratterizzata sin dal XIX secolo da processi di integrazione legale nei Paesi ospitanti senza rottura con l’italianità originaria. E, associando la residenza all’“atto di acquisizione”, confonde regimi giuridici distinti, generando incertezza non solo per le famiglie italiane all’estero, ma anche per quelle residenti in Italia.
La versione approvata passerà ora alle prossime fasi dell’iter parlamentare al Senato e, se confermata, potrebbe ridefinire profondamente i criteri di riconoscimento della cittadinanza italiana nel mondo.