La decisione del giudice Fabrizio Alessandria evidenzia la violazione di principi fondamentali della Costituzione Italiana e di trattati internazionali nell’escludere retroattivamente il diritto alla cittadinanza italiana per discendenza
In una svolta giudiziaria che aggiunge ulteriore tensione all’attuale e controverso scenario della cittadinanza italiana, il Tribunale di Torino ha trasmesso alla Corte Costituzionale, in data 25 giugno, una puntuale questione di legittimità costituzionale relativa all’articolo 3-bis della Legge n. 91/1992, introdotto dal Decreto-Legge n. 36/2025 e convertito nella Legge n. 74/2025.
La decisione è arrivata il giorno successivo all’udienza storica della Corte Costituzionale tenutasi a Roma il 24 giugno 2025, convocata per esaminare quattro questioni simili sollevate dai tribunali di Bologna, Roma, Firenze e Milano — queste ultime, tuttavia, in senso opposto rispetto a quella di Torino. L’udienza, considerata la più partecipata nella storia della Corte, ha visto la presenza di migliaia di italo-discendenti e della redazione della rivista Insieme, unico organo di stampa presente in sala.
Nella nuova decisione, il giudice Fabrizio Alessandria afferma che la norma impugnata — l’articolo 3-bis, che impedisce retroattivamente il riconoscimento della cittadinanza italiana per discendenza se non è stata presentata domanda prima del 27 marzo 2025 — rappresenta, di fatto, una revoca implicita e retroattiva della cittadinanza italiana, priva di qualsiasi base costituzionale legittima.
Secondo il giudice, la nuova norma viola gravemente i principi di uguaglianza, di legittimo affidamento e di certezza del diritto, sottolineando che la cittadinanza iure sanguinis è sempre stata riconosciuta, per oltre un secolo, come un diritto originario del discendente di cittadino italiano, e non come un beneficio soggetto a termini amministrativi.
La decisione evidenzia che la retroattività della norma viola gli articoli 2, 3, 22 e 117 della Costituzione Italiana, oltre a contraddire gli obblighi internazionali assunti dall’Italia, tra cui il Trattato sull’Unione Europea e il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, che istituiscono la cittadinanza europea; il Quarto Protocollo Aggiuntivo alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, che garantisce il diritto a entrare nel proprio Paese; e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, il cui articolo 15 vieta la privazione arbitraria della cittadinanza.
La decisione richiama inoltre la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, in casi come Rottmann, Tjebbes e il recente X contro Danimarca, ha condannato la perdita automatica della cittadinanza quando non sono garantiti meccanismi adeguati di difesa e proporzionalità.
Il giudice Alessandria conclude che la norma italiana è arbitraria, priva di un regime transitorio, e incide direttamente su diritti acquisiti, poiché si applica anche a discendenti già nati e con ascendenze documentate, ma che non avevano ancora formalizzato la propria richiesta di riconoscimento della cittadinanza.
Si tratta, sottolinea la sentenza, di un cambiamento repentino in uno dei pilastri della cittadinanza italiana, basato su criteri retroattivi e privi di ragionevolezza, senza eguali nella legislazione europea.
Con ciò, il procedimento a Torino è stato sospeso in attesa della decisione della Corte Costituzionale, cui spetterà stabilire se la revoca retroattiva della cittadinanza per discendenza sia o meno compatibile con la Carta Costituzionale italiana.
La decisione del giudice torinese rappresenta un passaggio simbolico e giuridico rilevante, aumentando la pressione sulla Corte Costituzionale — che ora si trova a esaminare sei questioni formali — e riaccende la speranza di migliaia di discendenti di italiani in Brasile e nel mondo, direttamente colpiti dalla nuova normativa.

L’udienza storica del giorno precedente
L’udienza del 24 giugno, in cui il collegio difensivo ha chiesto anche un pronunciamento della Corte sulla nuova legge (i ricorsi impugnavano la costituzionalità della normativa previgente alla cosiddetta “Legge della Vergogna”), è entrata nella storia della Corte Costituzionale italiana come la più affollata mai registrata nella sala delle udienze.
La mobilitazione della diaspora italiana, in particolare di brasiliani e argentini, ha portato al palazzo della Consulta oltre cento persone, tra avvocati, attivisti e cittadini interessati, oltre alla copertura diretta della rivista Insieme. Un numero elevato di richieste di accreditamento non ha potuto essere accolto a causa della capienza limitata dell’edificio.
La decisione del giorno successivo del giudice torinese rafforza la gravità dei dubbi costituzionali che circondano il cosiddetto Decreto Tajani e accresce la pressione sulla Corte, che dovrà ora esprimersi su impugnazioni multiple, formalmente autonome ma convergenti, contro la stessa norma.
A seguire, pubblichiamo integralmente l’ordinanza di Torino:
TRIBUNALE DI TORINO
Sezione Specializzata in materia di Immigrazione, Protezione Internazionale e libera circolazione dei cittadini UE
Il Tribunale di Torino, in persona del giudice Fabrizio Alessandria,
–ricorrenti
contro
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato ex lege presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Torino
–convenuto contumace
e nei confronti del
PUBBLICO MINISTERO, in persona del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino
-interveniente necessario
a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 16.6.2025, ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
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- Con ricorso ex 281 decies c.p.c. depositato in data 28.3.2025, ritualmente notificato, i ricorrenti convenivano in giudizio il Ministero dell’Intemo chiedendo di accertare e dichiarare il loro status di cittadini italiani iure sanguinis, deducendo di essere discendenti del cittadino italiano (cfr. doc. 1) che, successivamente, emigrava in Venezuela, senza tuttavia mai naturalizzarsi cittadino venezuelano (cfr. doc. 2). Conseguentemente, i ricorrenti chiedevano di ordinare al Ministero dell’Interno e, per esso, ali’ufficiale dello Stato Civile competente, di procedere ali’iscrizione, trascrizione e annotazione della cittadinanza nei registri dello stato civile.
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Il Ministero dell’Interno non si costituiva in giudizio.
Il Pubblico Ministero nulla opponeva all’accoglimento del ricorso.
All’udienza del 16.6.2025, verificata la regolarità e tempestività delle notificazioni, il giudice dichiarava la contumacia del Ministero convenuto. In via preliminare, i ricorrenti eccepivano l’incostituzionalità dell’art. 3-bis della legge n. 91/1992, richiamandosi alle argomentazioni di cui alla memoria autorizzata dell’11.6.2025; osservavano, in particolare, che la questione di costituzionalità sarebbe ammissibile e rilevante, per essere la normativa introdotta dal d.l. n. 36/2025 applicabile al caso di specie (ricorso presentato in data 28.3.2025 e non preceduto da domanda in via amministrativa, trattandosi di discendenza iure sanguinis per linea materna). Il giudice, preso atto, tratteneva la causa in riserva.
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- Preliminarmente va affermata la competenza della Sezione Specializzata m materia di Immigrazione, Protezione Internazionale e Libera circolazione dei cittadini UE presso il Tribunale di Torino, ai sensi dall’art. l 36 eco. 37 L. 206/2021 che ha introdotto all’art. 4, comma 5, del d.l. n. 13/2017, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 46/2017 il seguente periodo: “quando l’attore risiede all’estero le controversie di accertamento dello stato di cittadinanza italiana sono assegnate avendo riguardo al comune di nascita del padre, della madre o dell’avo cittadini italiani”.
- Nel me1ito, e con riferimento all’ammissibilità della questione di costituzionalità eccepita dai ricorrenti, si rileva che – in applicazione della normativa precedente all’entrata in vigore del l. n. 36/2025 – la domanda di parte ricorrente sarebbe stata fondata, in quanto sulla base della documentazione in atti, risulta provata la discendenza diretta per linea paterna da cittadino italiano, nonostante nella linea genealogica figuri un ascendente di sesso femminile, sposata con cittadino straniero e con cui aveva avuto un figlio prima della promulgazione della vigente Costituzione del 1948.
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Si ritiene peraltro che la documentazione offerta in comunicazione dai ricorrenti consenta di ritenere rispettata anche la previsione di cui al novellato art. l 9-bis del d.lgs. n. 150/2011. Come noto, il d.l. n. 36/2025 ha aggiunto a tale norma il comma 2-bis, che introduce il divieto di ricorrere alla prova testimoniale, e il comma 2-ter, ai sensi del quale “nelle controversie in materia di accertamento della cittadinanza italiana chi chiede l’accertamento della
cittadinanza è tenuto ad allegare e provare l’insussistenza delle cause di mancato acquisto o di perdita della cittadinanza previste dalla legge”). Nel caso qui in esame, come già rilevato, è agli atti il certificato negativo di naturalizzazione dell’avo (doc. 2), di talché deve considerarsi assolto anche il nuovo onere probatorio documentale previsto dal d.1. n. 36/2025. Tanto premesso, in punto di fatto i ricorrenti:
allegano di essere tutti discendenti in linea diretta dal s1g. cittadino italiano per nascita, segnatamente deceduto in Venezuela successivamente alla proclamazione del Regno d’Italia (di conseguenza, si deve ritenere che abbia acquisito la cittadinanza italiana in seguito ali’unificazione avvenuta nel 1861; in questo senso, cfr. ex multis l’ord. n. 23849 del 2023 del Tribunale di Roma);
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- allegano che il sig… si è trasferito in Venezuela e non ha mai rinunciato alla cittadinanza italiana;
- ricostruiscono la linea di discendenza, per il tramite della figlia del sig figlie di quest’ultima; e delle…
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- allegano che i discendenti del sig… sono italiani per diritto di nascita, ma che il Consolato del Venezuela non consente di ricevere le istanze di riconoscimento di cittadinanza ove una persona della linea di discendenza sia donna nata prima dell’entrata in vigore della costituzione repubblicana, imponendo a costoro di agire esclusivamente per la via giudiziale (cfr. estratto del sito internet del Consolato Generale d’Italia a Caracas, sub doc. 19).
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A prova di tali fatti, i ricorrenti hanno depositato l’estratto di nascita dell’avo italiano emigrato in Venezuela (doc. 1), il certificato di mancata sua naturalizzazione (doc. 2) e il certificato di matrimonio dell’avo con una donna venezuelana (doc. 3). Inoltre, depositano i certificati di nascita e di matrimonio dei discendenti dell’avo (docc. da 4 a 18), le indicazioni del Consolato italiano in Venezuela circa l’impossibilità di presentare domanda in via amministrativa per i discendenti da donne italiane nati prima del 1948 (doc. 19), nonché l’ordinanza n. 23849 del 2023 del Tribunale di Roma, resa nel giudizio R.G. n. 13107/2022, con cui – in un caso che vedeva quali ricorrenti alcuni parenti in linea collaterale degli odierni ricorrenti, tutti discendenti dell’avo avo… è stato accertato lo status di cittadino italiano dell’avo… della figlia ….e del nipote. ..con il conseguente diritto dei loro discendenti alla cittadinanza italiana (doc. 20).
In diritto, i ricorrenti:
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- richiamano il disposto dell’art. 1 della n. 555 del 1912 circa la trasmissione della cittadinanza iure sanguinis;
- richiamano la se Corte cost., n. 30 del 1983, che ha stabilito che l’art. 1 della legge 555 del 1912 è incostituzionale nella patte in cui non prevede che sia cittadino per nascita anche il figlio di madre italiana;
- danno atto della costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, in ragione della quale non vi è un limite temporale alla possibilità di richiedere la cittadinanza italiana in quanto lo status di cittadino ha natura permanente ed imprescrittibile ed è giustiziabile in ogni tempo, salvo l’estinzione per effetto della rinuncia del richiedente e che la titolarità della cittadinanza italiana va riconosciuta in sede giudiziaria alla donna che l’ha perduta per essere coniugata con cittadino straniero anteriormente al 1 gennaio 1948, in quanto la perdita senza la volontà della titolare della cittadinanza è effetto perdurante di una norma incostituzionale, per violazione del principio della parità dei sessi e della eguaglianza giuridica e morale dei coniugi di cui agli artt. 3 e 29 Cost. (cfr. Cass. civ., Sez. , sent. n. 4466 del 2009);
- richiamano ancora la giurisprudenza di legittimità, a tenor del quale la cittadinanza “per nascita” si acquista a titolo originario, determinando uno status civitatis che ha natura pennanente ed è imprescrittibile e giustiziabile in ogni tempo in base alla semplice prova della fattispecie acquisitiva integrata dalla nascita da cittadino italiano, di talché la linea di trasmissione è prova necessaria e sufficiente per l’accoglimento della tutela giudiziale (nel senso che il richiedente può limitarsi ad allegare e provare di essere discendente di un cittadino italiano);
- menzionano un ulteriore profilo della giurisprudenza di legittimità, che ha chiarito che il cittadino italiano nato e residente in uno Stato estero, dal quale sia ritenuto proprio cittadino per nascita, conserva comunque la cittadinanza italiana e la trasmette ai figli (cfr. civ., Sez. Un., n. 25317 del 2022).
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- Nel contesto di fatto e di diritto appena descritto, è intervenuto il J. n. 36 del 2025, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 74 del 2025.
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Il decreto-legge ha inserito l‘art. 3-bis nella legge n. 91/1992, norma del seguente testuale tenore:
“In deroga agli articoli 1, 2, 3, 14 e 20 della presente legge, all’articolo 5 della legge 21 aprile 1983, n. 123, agli articoli 1, 2, 7, 1O, 12 e 19 della legge 13 giugno 1912, n. 555, nonché agli articoli 4, 5, 7, 8 e 9 del codice civile approvato con regio decreto 25 giugno 1865, n. 2358, è considerato non avere mai acquistato la cittadinanza italiana chi è nato all’estero anche prima della data di entrata in vigore del presente articolo ed è in possesso di altra cittadinanza, salvo che ricorra una delle seguenti condizioni:
a) lo stato di cittadino dell’interessato è riconosciuto, nel rispetto della normativa applicabile al 27 marzo 2025, a seguito di domanda, corredata della necessaria documentazione, presentata all’ufficio consolare o al sindaco competenti non oltre Le 23:59, ora di Roma, della medesima data;
a-bis) lo stato di cittadino dell’interessato è riconosciuto, nel rispetto della normativa applicabile al 27 marzo 2025, a seguito di domanda, corredata della necessaria documentazione, presentata all’ufficio consolare o al sindaco competenti nel giorno indicato da appuntamento comunicato all’interessato dall’ufficio competente entro le 23:59, ora di Roma, della medesima data del 27 marzo 2025;
b) lo stato di cittadino dell’interessato è accertato giudizialmente, nel rispetto della normativa applicabile al 27 marzo 2025, a seguito di domanda giudiziale presentata non oltre Le 23:59, ora di Roma, della medesima data;
c) un ascendente di primo o di secondo grado possiede, o possedeva al momento della morte, esclusivamente la cittadinanza italiana;
d) un genitore o adottante è stato residente in Italia per almeno due anni continuativi successivamente all’acquisto della cittadinanza italiana e prima della data di nascita o di adozione del figlio”.
In buona sostanza, la nuova normativa emergenziale introduce dei requisiti più stringenti per il riconoscimento dello stato di cittadino italiano dei soggetti nati all’estero che, pur avendo il diritto ad essere riconosciuti cittadini italiani ai sensi della legge n. 91/92, non abbiano esercitato tale diritto con domanda (amministrativa o giudiziale) presentata “non oltre le 23:59, ora di Roma” del 27.3.2025; vale a dire, del giorno precedente all’entrata in vigore del 36/2025.
4.1. La disposizione in esame si applica al caso di specie, per i seguenti motivi:
i ricorrenti hanno rappresentato che nel Venezuela l’attribuzione della cittadinanza venezuelana avviene sia iure sanguinis sia iure soli;
i ricorrenti sono tutti nati in Venezuela, di talché essi hanno acquisito (anche) la cittadinanza venezuelana;
ai sensi dell’art. 34 della Costituzione della Repubblica Bolivariana del Venezuela approvata il 20 dicembre 1999, “la nazionalità venezuelana non si perde all’optare o acquisire di altra nazionalità”, di talché il Venezuela consente il regime di doppia cittadinanza;
ai sensi della nuova disposizione di legge, i ricorrenti devono essere considerati come non aver mai acquisito la cittadinanza italiana sin dalla nascita;
i ricorrenti non rientrano nelle clausole derogatorie previste dalla legge, atteso che:
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- non è stata proposta (né risultava proponibile, in ragione del fatto che la figlia dell’avo emigrato ha avuto un figlio nato prima dell’entrata in vigore della Costituzione repubblicana del 1948) domanda in via amministrativa;
- la domanda giudiziale è stata proposta il 3.2025 e, quindi, successivamente alle ore 23:59 del 27.3.2025;
- non risulta che gli ascendenti dei ricorrenti abbiano soggiornato in Italia per due anni prima della nascita del figlio;
- gli ascendenti dei ricorrenti non avevano esclusivamente la cittadinanza italiana
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- I ricorrenti, con memoria autorizzata dell’6.2025, hanno eccepito l’incostituzionalità del predetto art. 3-bis legge n. 91/1992, rilevando che tale norma violerebbe numerosi precetti tutelati dalla Costituzione, in particolare agli artt. 3, 22, 77 e 117 co. 15.1 Orbene, la disamina dell’ammissibilità e della rilevanza della questione di legittimità costituzionale dedotta impone la soluzione di una questione interpretativa, che si ritiene preliminare e dirimente: occorre cioè stabilire quale sia l’efficacia dell’art. 3-bis legge 91/1992 sul diritto di cittadinanza dei ricorrenti. In altri termini, occorre stabilire se la nuova norma introdotta – con efficacia retroattiva – dal d.l. n. 36/2025 incida (i) su un diritto di cittadinanza iure sanguinis già acquisito al patrimonio giuridico dei ricorrenti, ovvero se incida (ii) su una situazione di mera aspettativa al riconoscimento della cittadinanza italiana.5.2.Invero, è evidente che la normativa introdotta con il d.l. 36/2025 comporti una limitazione del diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana previsto dalla legislazione previgente: in questo senso, si rileva che l’appena richiamato art. 3-bis legge n. 9111992 esordisce con l’espressione “in deroga agli articoli …”; si tratta, pertanto, di normativa speciale che deroga agli ordinari criteri in materia di riconoscimento della cittadinanza italiana.
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Né può essere dubitato che tale normativa abbia efficacia (almeno in parte) retroattiva, nel senso che essa si applica a tutte le domande presentate successivamente alle 23:59 del 27.3.2025; vale a dire, anche a persone già nate che, in applicazione della normativa previgente (come detto, espressamente derogata dal d.l. n. 36/2025) avrebbero pacificamente avuto diritto al riconoscimento della cittadinanza italiana.
Nella relazione illustrativa al d.l. n. 36/2025 si legge che il novellato art. 3-bis l. 91/92 “stabilisce una preclusione al!’acquisto automatico della cittadinanza per i nati all’estero in possesso di cittadinanza di Stato estero”, con le sole eccezioni previste alle lettere c) ed) del medesimo art. 3-bis (ascendente di primo o secondo grado titolare esclusivamente della cittadinanza italiana, ovvero residenza “qualificata” in Italia pan ad almeno due anm continuativi). Secondo la medesima relazione illustrativa, dunque, “la disposizione non introdurrebbe un‘ipotesi di perdita della cittadinanza (ulteriore rispetto a quelle previste dall’articolo 13 della legge n. 91 del 1992) bensì una specifica preclusione all’acquisto automatico de/La cittadinanza (ex tunc e dunque operante anche ai nati all’estero prima dell‘entrata in vigore della disposizione stessa) per discendenza, per adozione o per altra causa”.
In tale contesto, come detto, occorre dunque valutare se la deroga introdotta dal d.l. n. 36/2025 costituisca negli effetti una nuova ipotesi di perdita (rectius, revoca) della cittadinanza, ovvero se introduca – come prospettato nella relazione illustrativa – un semplice “meccanismo processuale”, in quanto tale immediatamente applicabile alla stregua del principio tempus regit actum. In altri termini, e in buona sostanza, occorre valutare se l’immediata applicabilità della nuova disposizione normativa di cui all’art. 3-bis legge n. 9 l /1992 sia compatibile con i principi costituzionali e, in particolare, con i principi di ragionevolezza e di affidamento nella sicurezza giuridica più volte affermati dalla giurisprudenza costituzionale (si tratta di principi ricavabili dagli artt. 2 e 3 Cost., che sono stati ripetutamente affermati dalla Corte con particolare riguardo alla materia previdenziale; cfr., ex multis, sentenza n. 69 del 2014 e sentenza n. 173 del 2016), nonché con i principi costituzionali e internazionali che impediscono che un individuo sia arbitrariamente privato della sua cittadinanza (art. 22 Cost., art. 15 co. 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 10.12.1948 e art. 3 co. 2 del Quarto Protocollo Addizionale alla CEDU).
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- A tal fine, si rende necessario un breve excursus sui requisiti per l’accertamento della cittadinanza italiana in favore di soggetti nati all’estero nel regime previgente alla novella di cui al l. n. 36/2025.
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Sul punto, appare utile innanzi tutto richiamare quanto recentemente affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che, nella sentenza n. 25318 del 24.8.2022 (relativa alle conseguenze giuridiche nell’ordinamento italiano della normativa brasiliana che introdusse, con decreto n. 58-A del 1889, la c.d. “grande naturalizzazione”) ha ripercorso i principi fondamentali posti dalla legge n. 91/1992 per l’accertamento del diritto alla cittadinanza italiana. Si riporta di seguito testualmente, per ragioni di chiarezza espositiva, il paragrafo della menzionata sentenza delle Sezioni Unite che ricostruisce i principi attributivi della cittadinanza italiana nel regime normativo vigente sino al 27.3.2025:
“XIII. Essenzialmente la cittadinanza è una qualità, attribuita dalla legge, che indica !’appartenenza di un soggetto a uno Stato.
A essa corrisponde un patrimonio variabile di diritti e doveri di matrice pubblica e costituzionale (uno status, come si suol dire).
A questo riguardo l’ordinamento giuridico italiano mantiene per tradizione un approccio conservatore, senza alterazioni sostanziali rispetto al prevalente criterio di acquisizione della cittadinanza iure sanguinis, praticamente immutato fin dal cod. civ. del 1865 secondo un impianto ereditato prima dalla!. n. 555 del 1912 e poi dalla attuale l. n. 91 del 1992.
L’acquisto fondamentale è a titolo originario per nascita.
Fino al 1992 ciò equivaleva a dire che è cittadino italiano chi sia figlio di padre cittadino, oppure, quando il padre è ignoto (o apolide), chi sia figlio di madre cittadina.
Una tale formula ha nella sostanza caratterizzato le leggi nazionali nell’arco del divenire storico che qui rileva: artt. 4 e 7 del cod. civ. del 1865, art. 1 della !. n. 555 del 1912.
Il quadro è mutato con la l. n. 91 del 1992, frutto di una sopravvenuta maturazione costituzionale, ma semplicemente nel senso che è cittadino per nascita – oggi – chi sia figlio di padre o di madre cittadini, ovvero chi sia nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi (o se non segua la loro cittadinanza in base alla legge dello Stato di appartenenza).
Guardando alle prime manifestazioni della volontà legislativa esternata dalla legislazione precostituzionale, non è dubitabile che il legislatore italiano si sia espresso in termini di sostanziale continuità di scopo e di intenti; ed è infatti comunemente accettata l’opinione che vede nella l. n. 555 del 1912 un semplice punto di peifezionamento della disciplina già insita nel codice civile del 1865.
Può osservarsi che il peso della scelta ispirata ai legami di sangue (per l’appunto iure sanguinis), rispetto ad altri indici di legame tra la persona e il territorio (iure loci o, come anche si dice, iure soli, più o meno temperati da requisiti e condizioni aggiunte), ha giustificato (e tuttora in parte giustifica, nella legge n. 91 del 1992) una decisa restrizione delle possibilità di acquisto della cittadinanza di chi non vanti ascendenti italiani, ma anche – per la contraddizione che non consente – una altrettanto decisa restrizione delle possibilità di ravvisare fattispecie estintive della cittadinanza degli italiani al!’estero.
È un fatto assolutamente ovvio, da quest’ultimo punto di vista, che l’istituto della perdita della cittadinanza italiana può dipendere solo dalla legislazione nazionale, secondo le previsioni in questa pro tempore rinvenibili, non mai invece da decisioni attuate in un ambito ordinamentale straniero.
Proprio da ciò è originato il riconoscimento dei fenomeni di doppia cittadinanza, d’altronde armonici con lo sviluppo e l’evoluzione del diritto internazionale. Fenomeni dei quali l’ordinamento attuale (con la citata l. n. 91 del 1992) tende semmai a risolvere le ipotetiche conseguenti situazioni di conflitto.
Non può non sottolinearsi come della rilevanza di tali fenomeni di doppia cittadinanza abbia dato atto pure (e finanche all’epoca) la tanto evocata sentenza della Corte di cassazione di Napoli del 1907.
La possibilità di aversi nel tempo “una duplice nazionalità” venne già allora considerata una “conseguenza inevitabile(.) del concetto della sovranità, che include necessariamente le note di autonomia ed indipendenza di ciascuna di esse nel proprio territorio”.
La risultante di un tale schema è molto semplice.
La cittadinanza per fatto di nascita si acquista a titolo originario.
Lo status di cittadino, una volta acquisito, ha natura permanente ed è imprescrittibile.
Esso è giustiziabile in ogni tempo in base alla semplice prova della fattispecie acquisitiva integrata dalla nascita da cittadino italiano.
Donde la prova è nella linea di trasmissione.
Resta salva solo l’estinzione per effetto di rinuncia (v. già Cass. Sez. Un. 4466-09). Ne segue che, ove la cittadinanza sia rivendicata da un discendente, null’altro – a legislazione invariata – spetta a lui di dimostrare salvo che questo: di essere appunto discendente di un cittadino italiano; mentre incombe alla controparte, che ne abbia fatto eccezione, la prova dell’evento interruttivo della linea di trasmissione” (così testualmente Cass., SS.UU., sentenza n. 25318 del 24.8.2022).
Ad analoghe conclusioni era già pervenuta in precedenza la giurisprudenza di legittimità, di talché si può parlare di orientamento consolidato. Per completezza, si richiama – tra le molte
– quanto affermato dalla Corte di Cassazione, sempre a Sezioni Unite, nella precedente pronuncia n. 4466 del 25.2.2009, ricognitiva dei principi affermati dalla Corte Costituzionale con le sentenze n. 87 del 1975 e n. 30 del 1983, che avevano – come noto – esteso l’acquisto della cittadinanza a titolo originario per nascita anche ai figli di madre italiana:
“Per la normativa ordinaria, alla cittadinanza ha diritto il figlio di padre o madre cittadini o di genitori ignoti, se nasce sul territorio nazionale (L. 5 febbraio 1992, n. 91, art. 1), con rifèrimento ai concetti di ius sanguinis e ius soli; la Costituzione vieta che lo stato possa perdersi per motivi politici (art. 22 Cost.) e la legge ordinaria precisa che ad esso può rinunciare solo chi ne è titolare (L. n. 92 del 1991, art. 11). La struttura normativa dell’istituto evidenzia che ogni persona ha un diritto soggettivo alla condizione personale costituita dallo stato di cittadino e in tal senso sono pure le convenzioni internazionali rilevanti in questa sede ai sensi dell’art. 117 Cast. (dall’art. 15 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 al Trattato di Lisbona approvato dal Parlamento europeo il 16 gennaio 2008).
La L. n. 92 del 1991 sulla cittadinanza riafferma l’esistenza di tale diritto che può essere solo riconosciuto dalle autorità amministrative competenti (Ministero dell’Interno: artt. 7 e 8), prevedendo eccezionalmente atti concessori di esso da parte del Presidente della Repubblica, con una discrezionalità politica limitata, in rapporto alle circostanze speciali indicate dalla legge, per le quali la cittadinanza viene concessa (art. 9). Lo stato di cittadino è permanente ed ha effetti perduranti nel tempo che si manifestano nell’esercizio dei diritti conseguenti; esso, come si è rilevato, può perdersi solo per rinuncia, così come anche nella legislazione previgente (L. n. 555 del 1912, art. 8, n. 2).
Per la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York il 18 dicembre 1979 e ratificata in Italia dalla L. 14 marzo 1985, n. 132, richiamata in ricorso, alle donne spettano “diritti uguali a quelli degli uomini in materia di acquisto, mutamento e conservazione della cittadinanza”. Nella Legge del 1912, come interpretata dalla Corte Costituzionale nelle due richiamate sentenze, il rapporto di coniugio della donna “maritata” con straniero e quello di ”filiazione” solo da padre cittadino comportavano rispettivamente la perdita o l’acquisto della cittadinanza, non spettante al.figlio di donna che l’aveva perduta per matrimonio.
Nessun riferimento esclusivo alla nascita e al mero ius sanguinis giustificava o giustifica l’acquisto dello stato di cittadino, che sorge dalla filiazione, oggi anche adottiva, essendo dubitabile e superato il collegamento al mero fatto del nascere da un soggetto con una specifica cittadinanza dell’acquisto di questa, con una visione che pericolosamente si accosta al concetto di “razza”, incompatibile con la civiltà prima ancora che con l’art. 3 Cost.. la cittadinanza, come esattamente si afferma dalla migliore dottrina, assume il suo senso e significato non solo nella disciplina dei rapporti verticali del suo titolare con lo Stato che esercita poteri sovrani nei suoi confronti, ma anche in quelli orizzontali con gli altri appartenenti alla società cui egli partecipa con lui titolari del medesimo stato (art. 4 Cost.). Attraverso il rapporto di filiazione che collega una persona alla jòrmazione sociale intermedia costituita dalla famiglia “società naturale” (artt. 2 e 29 Cost.), la persona entra in rapporto con l’intera società e ha diritto ai riconoscimento dello stato di cittadino e dei diritti e doveri conseguenti.
Perciò correttamente si afferma che lo stato di cittadino, effetto della condizione di figlio, come questa, costituisce una qualità essenziale della persona, con caratteri d’assolutezza, originarietà, indisponibilità ed imprescrittibilità, che lo rendono giustiziabile in ogni tempo e di regola non definibile come esaurito o chiuso, se non quando risulti denegato o riconosciuto da sentenza passata in giudicato.
Tale ricostruzione del concetto di cittadinanza emerge dalle stesse sentenze sulla legge precostituzionale che La regolava della Corte Costituzionale, che ritengono la perdita e il mancato acquisto dello stato imposte dalla normativa illegittima, effetto di un matrimonio, sempre che questo permanga efficace e non sia stato sciolto, e dell’essere figlio di madre che la perdita dello stato abbia subito contro la sua volontà, senza rinunciarvi. …” (così testualmente Cass., SS.UU. n. 4466 del 25.2.2009).
In applicazione del c.d. “diritto vivente”, dunque, deve concludersi che – nel regime previgente al d.l. n. 36/2025 – i soggetti nati all’estero che potevano dimostrare la propria discendenza ininterrotta da un cittadino italiano fossero per ciò solo cittadini italiani, essendo la qualità di “cittadino italiano” una “qualità essenziale della persona, con caratteri d’assolutezza, originarietà, indisponibilità ed imprescrittibilità” (così Cass. SS.UU. n. 4466/2009, cit.).
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- Ad avviso di questo Tribunale, dunque, il dubbio interpretativo sollevato retro al par. 5.1 va risolto nel senso che – nel regime previgente al d.l. n. 36/2025 – i nati all’estero da avo italiano erano ab origine cittadini italiani. La circostanza che essi avessero, o meno, agito in giudizio per il riconoscimento “formale” del loro status di cittadini costituiva invero una semplice circostanza di fatto, irrilevante ai fini del riconoscimento del Non poteva cioè parlarsi di rapporto giuridico “a fo1mazione progressiva”, ma di un diritto soggettivo perfetto che sorgeva con la nascita della persona.
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L’ipotesi interpretativa contraria, alla stregua della quale lo status di cittadino non sarebbe ancora “completo”, necessitando di un suo formale riconoscimento giudiziale, contrasta con l’impostazione ermeneutica tradizionalmente adottata dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità più sopra richiamata. Essa contrasta, in particolare, con la natura dichiarativa (e
non costitutiva) che viene pacificamente accordata alle sentenze di accertamento della cittadinanza iure sanguinis; ciò a dimostrazione del fatto che l’intervento giudiziale (o amministrativo) non comportava la costituzione di alcun diritto alla cittadinanza in capo ai discendenti di un avo italiano, ma il semplice 1iconoscimento di un diritto già da essi acquisito. Diversamente opinando, infatti, si verterebbe in un’ipotesi di acquisto della cittadinanza “per naturalizzazione” (come avviene per le persone straniere che risiedano in Italia per un dato periodo temporale, al ricorrere delle circostanze normativamente previste) e non di acquisto della cittadinanza “per nascita”, come indubitabilmente era nel caso dei cittadini iure sanguinis nel regime previgente al d.l. n. 36/2025.
7.1.Rileggendo l’art. 1 l. n. 36/2025 alla luce di tali principi, s1 impongono ancora le seguenti considerazioni.
La nuova nonna comporta, nella sostanza, una limitazione dello status di cittadino, già acquisito a titolo originario dai soggetti nati all’estero con avo italiano.
Come più volte rimarcato, il “diritto vivente” (da ultimo oggetto dell’interpretazione nomofilattica della Corte di Cassazione a Sezioni Unite nella richiamata sentenza n. 25318/22) attribuisce rilevanza – ai fini del riconoscimento dello status di cittadino italiano – alla sola circostanza di essere discendente diretto di un avo italiano (sempre che la linea di trasmissione della cittadinanza non sia interrotta da un volontario atto di revoca; circostanza da escludersi nel caso oggi in discussione), senza che assuma alcuna rilevanza la circostanza che gli ascendenti del ricorrente abbiano, o meno, esercitato il loro diritto al riconoscimento “formale” della cittadinanza. In altri tennini, lo status di cittadino è parte del patrimonio giuridico della persona, e viene acquisito alla nascita a titolo originario: tale diritto, imprescrittibile, può essere oggetto di accertamento giudiziale in qualsiasi momento, ma il mancato accertamento giudiziale del diritto soggettivo non fa venire meno l’esistenza del diritto (in questo senso, si richiama quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità nella sentenza a Sezioni Unite n. 29459 del 13.11.2019: in quel caso la Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sull’applicabilità delle norme restrittive in materia di protezione umanitaria introdotte dalla novella del 2020, ne aveva escluso l’applicazione retroattiva – cioè alle domande presentate precedentemente all’introduzione della menzionata novella – osservando che “il principio generale d’irretroattività. che non gode di copertura costituzionale nella materia in questione, … è pur sempre stabilito, salvo deroghe, dall’art. 11 delle preleggi. Esso, di là da distinzioni, di rilievo eminentemente descrittivo, tra retroattività in senso proprio e retroattività in senso improprio, è volto a tutelare non già (atti, bensì diritti: quel che il divieto di retroattività garantisce è il divieto di modificazione della rilevanza giuridica dei fatti che già si siano compiutamente verificati (nel caso di fattispecie istantanea) o di una fattispecie non ancora esauritasi (nel caso di jàttispecie durevole non completata all’epoca dell’abrogazione”).
Una volta chiarito che, nel caso di specie, i ricorrenti sono nati cittadini italiani, deve conseguentemente concludersi che la normativa di cui al d.l. n. 36/2025 introduce – nella sostanza – una fattispecie di “revoca implicita” della cittadinanza. E, inoltre, si tratta di una ipotesi di “revoca retroattiva”, nella misura in cui le nuove norme si applicano a tutti i casi che non siano pendenti alle 23:59 del 27.3.2025 (giorno precedente all’entrata in vigore del d.l. n. 36/2025).
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Ciò posto, si deve rilevare la sussistenza di seri dubbi in ordine alla compatibilità del menzionato art. 3-bis della legge 5.2.1992 n. 91, introdotto dall’art. 1 c. 1 del decreto-legge 28.3.2025 n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 23.5.2025 n. 74, coi parametri desumibili dagli articoli 2, 3, 22 e 117 comma 1 della Costituzione.
I. – Sulla violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione
Innanzitutto, deve essere contestata la violazione degli artt. 2 e 3 Cost. (violazione del principio d’eguaglianza).
In questa prospettiva, rileva l’assoluta arbitrarietà del trattamento tra coloro che avevano presentato una domanda giudiziale prima del 28.3.2025 e coloro che la hanno presentata dopo, senza che la diversità nella normativa applicabile sia in qualche modo legata ad alcun ulteriore elemento oggettivo rilevante.
A tal proposito, la giurisprudenza costituzionale ha ricavato dagli artt. 2 e 3 della Costituzione l’esistenza di un generale principio di ragionevolezza delle n01me, che devono rispettare un altrettanto generale principio di “affidamento nella sicurezza giuridica”. Tali principi sono stati per lo più affermati in materia previdenziale, dove più spesso si sono registrati interventi normativi che – per far fronte a contingenti esigenze di bilancio – hanno tentato di incidere su rapporti pensionistici già in corso di erogazione. Da qui la definizione dottrinale secondo cui il legislatore ordinario, in materia pensionistica, si trovi di fronte al limite costituzionale invalicabile dei cc.dd. “diritti quesiti”.
Si ritiene tuttavia che il principio di “affidamento nella sicurezza giuridica” e la tutela dei “diritti quesiti” abbiano una portata più ampia, non limitabile alla sola materia previdenziale. L’affidamento nella sicurezza giuridica costituisce infatti un principio immanente nell’ordinamento costituzionale, alla base del “patto sociale” su cui si fonda l’ordinamento repubblicano. Un legislatore ordinario svincolato dal rispetto dei “diritti quesiti”, infatti, potrebbe aggredire non solo consolidati diritti in materia pensionistica o di cittadinanza, ma qualsiasi altro diritto costituzionalmente tutelato (quali, a mero diritto di esempio, il diritto di proprietà o il diritto al risparmio).
Tra le numerose pronunce della Corte Costituzionale che hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale di una normativa ordinaria che incideva retroattivamente su diritti già acquisiti al patrimonio giuridico della persona (in questo senso, cfr. Corte Cost. n. 169 del 2022) si richiama il passaggio argomentativo centrale della sentenza n. 69 del 2014, laddove si legge testualmente:
“A tal riguardo, questa Corte ha ulteriormente, e reiteratamente, precisato come l’efficacia retroattiva della legge trovi, in particolare, un limite nel «principio de/l’affidamento dei consociati nella certezza de/l’ordinamento giuridico», il mancato rispetto del quale si risolve in irragionevolezza e comporta, di conseguenza, l’illegittimità della norma retroattiva (sentenze n. 170 e n. 103 del 2013, n. 271 e n. 71 del 2011, n. 236 e n. 206 del 2009, per tutte).
E, in linea con tale indirizzo, ha anche sottolineato come il principio del!‘affidamento trovi applicazione anche in materia processuale e risulti violato a fronte di soluzioni interpretative, o comunque retroattive, adottate dal legislatore rispetto a quelle affermatesi nella prassi (sentenze n. 525 del 2000 e n. 111 del 1998).
Con ancor più puntuale riguardo a disposizioni processuali sui termini dell’azione, questa Corte ha poi comunque escluso che l’istituto della decadenza tolleri, per sua natura, applicazioni retroattive, «non potendo logicamente configurarsi una ipotesi di estinzione del diritto [… ]per mancato esercizio da parte del titolare in assenza di una previa determinazione del termine entro il quale il diritto [… ] debba essere esercitato» (sentenza n. 191 del 2005)” (così testualmente Corte Cost., sentenza n. 69 del 2014).
Ad avviso del giudice rimettente, tali principi devono trovare applicazione nel caso di specie, dovendosi tenere a mente – in particolare – del “grado di consolidamento” particolarmente elevato della giurisprudenza in materia di cittadinanza iure sanguinis, che consta di un innumerevole di numero di pronunce che (in casi sovrapponibili a quello di specie) avevano pacificamente riconosciuto il diritto alla cittadinanza. Sul punto, si rimanda alla sentenza della Coiie Costituzionale n. 70 del 2024, nella parte in cui afferma che “va considerato il grado di consolidamento della situazione soggettiva originariamente riconosciuta e poi travolta dall’intervento retroattivo (sentenze n. 89 del 2018, n. 250 del 2017, n. 108 del 2016, n. 216 e 56 del 2015)”.
Un ulteriore argomento nel senso dell’arbitrarietà e dell’irragionevolezza del meccanismo introdotto dal d.l. n. 36/2025 (id est, revoca implicita della cittadinanza con efficacia retroattiva e senza alcuna previsione di diritto intertemporale) può essere tratto dall’esperienza comparata di sistemi giuridici affini.
Particolarmente significativo è il caso del!’ordinamento tedesco. La disciplina legislativa federale in materia di cittadinanza è contenuta principalmente nella legge sulla cittadinanza (Staatsangehorigkeitsgesetz – StAG) del 22.7.19I 3 che, nel corso degli anni, ha subito varie riforme. Ai fini che qui interessano, occorre prendere in considerazione la riforma che è stata attuata con legge del 15.7.1999, entrata in vigore I’1.1.2000, che ha introdotto quale ulteriore condizione per l’acquisizione della cittadinanza tedesca il principio del luogo di nascita (ius soli o Geburtsortsprinzip), in aggiunta al principio di filiazione (ius sanguinis o Abstammungsprinzip). In questa prospettiva, l’art. 4(4) StAG stabilisce che “la cittadinanza tedesca non viene acquisita secondo il comma 1 alla nascita all’estero, se il genitore tedesco è nato all’estero dopo il 31 dicembre 1999 e risiede abitualmente lì, a meno che il bambino non risulti apolide “.
Ciò significa che il legislatore tedesco del 1999 ha voluto rendere applicabile la nuova (e più restrittiva) normativa in materia di cittadinanza soltanto ai nati dopo l’ 1.1.2000, senza cioè prevedere alcuna applicazione retroattiva (e in peius). Tale esperienza comparatistica costituisce – ad avviso del giudice rimettente – una dimostrazione ulteriore del!’insostenibilità della scelta normativa del d.l. n. 36/2025, che disapplica la normativa in materia di acquisto della cittadinanza italiana per nascita in vigore sin dal 1912 con decreto-legge avente efficacia immediata ed effetto retroattivo.
II. – Sulla violazione dell’art. 117, comma 1, Cost.
L’irragionevolezza di una normativa che limita il diritto di cittadinanza già acquisito al patrimonio giuridico del cittadino, senza che egli vi abbia rinunciato o abbia commesso un atto “colpevole” in contrasto con il suo status (come nei casi di cui agli artt. 10-bis e 12 legge n. 91/1992), contrasta non solo con i menzionati principi di ragionevolezza e affidamento ricavabili dagli artt. 2 e 3 Cost., ma anche con gli obblighi internazionali assunti dall’Italia ai sensi dell’art. 117 comma 1 Cost.
Sulla giustiziabilità della violazione del diritto internazionale pattizio dinanzi alla Corte Costituzionale, si richiama quel consolidato orientamento giurisprudenziale che trova la sua sintesi nelle sentenze n. 348 e 349 del 2007. Secondo il giudice delle leggi, “in occasione di ogni questione nascente da pretesi contrasti tra norme interposte e norme legislative interne, occorre verificare congiuntamente la conformità a Costituzione di entrambe e precisamente la compatibilità della norma interposta con la Costituzione e la legittimità della norma censurata rispetto alla stessa norma interposta”. In particolare, con riferimento alla necessità di sollevare un incidente di costituzionalità ogniqualvolta la norma interna si ponga in insanabile contrasto con la norma pattizia, la Co,te Costituzionale ha affermato che “al
giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò sia permesso dai testi delle norme. Qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale “interposta”, egli deve investire questa Corte della relativa questione di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell’art. 117, primo comma” (così Corte Cost. n. 349 del 2007).
Con specifico riferimento alla violazione dell’art. 117 co. I Cost. in relazione a norme di diritto dell’Unione Europea – in quanto tali giustiziabili anche mediante la proposizione di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE – si rileva che la giurisprudenza costituzionale italiana si è ormai consolidata nel senso della c.d. alternatività dei rimedi. Si richiama, sull’argomento, la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 7 del 2025, che ha così efficacemente ricostruito i termini della questione:
“La Sezione rimettente si è dunque trovata di fronte al bivio se decidere direttamente sulla contrarietà dell’art. 2641 cod. civ. all’art. 49, paragrafo 3, CDFUE – e, conseguentemente, confermare o annullare la statuizione della Corte d’appello in proposito -, previo eventuale rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia (come suggerito dallo stesso Procuratore generale ricorrente); ovvero se investire questa Corte della valutazione sulla legittimità costituzionale del medesimo art. 2641 cod. civ., alla stregua tanto dei parametri nazionali sui quali si fonda il principio di proporzionalità della pena, quanto dello stesso art. 49, paragrafo 3, CDFUE (oltre che dell’art. 17 CDFUE, che tutela a livello unionale il diritto di proprietà), per il tramite degli artt. 11 e 117, primo comma, Cost.
2.2.2.– La decisione della Sezione rimettente di procedere in questo secondo senso è CO”fl:forme ai princzpz ormai ripetutamente enunciati dalla giurisprudenza costituzionale (a partire dalla sentenza n. 269 del 2017, punto 5.2. del Considerato in diritto) per l’ipotesi in cui il giudice rilevi una incompatibilità tra una legge nazionale e una norma di diritto dell’Unione dotata di effetto diretto.
Ove la questione abbia altresl «un “tono costituzionale”, per il nesso con interessi o principi di rilievo costituzionale» (sentenza n. 181 del 2024, punto 6.3. del Considerato in diritto), il giudice italiano ha sempre – accanto alla possibilità di disapplicare, nel caso concreto, la legge nazionale, previo eventuale rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia in caso di dubbio sull’interpretazione o sulla validità della norma rilevante dell’Unione – i‘ulteriore possibilità di sollecitare l’intervento di questa Corte, affinché rimuova la legge nazionale ritenuta incompatibile con il diritto dell’Unione (nello stesso senso, recentemente, sentenza n. 1 del 2025, punto 3.1. del Considerato in diritto).
Le due possibilità – configuranti un «concorso di rimedi giurisdizionali [che} arricchisce gli strumenti di tutela dei diritti fondamentali e, per definizione, esclude ogni preclusione» (sentenza n. 20 del 2019, punto 2.3. del Considerato in diritto) – si fondano entrambe sul principio del primato del diritto dell’Unione, la cui tutela può essere assicurata, in modo «sempre più integrato» (sentenza n. 15 del 2024, punto 7.3.3. del Considerato in diritto), sia da ciascun giudice attraverso il rimedio della disapplicazione della legge nazionale incompatibile nel caso concreto, sia da questa
Corte attraverso la dichiarazione della sua illegittimità costituzionale per contrasto con la norma unionale.
Quest’ultimo rimedio, come già sottolineato nella sentenza n. 20 del 2019, ha – anzi – particolare rilievo proprio nella materia della tutela dei diritti fondamentali, dove è essenziale che le corti costituzionali e supreme nazionali possano «contribuire, per la propria parte, a rendere effettiva la possibilità, di cui ragiona l’art. 6 del Trattato sull’Unione europea (TUE)[...} che i corri.spandenti diritti fondamentali garantiti dal diritto europeo, e in particolare dalla CDFUE, siano interpretati in armonia con le tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, richiamate anche dall’art. 52, paragrafo 4, della stessa CDFUE come fonti rilevanti» (punto 2.3. del Considerato in diritto).
Al giudice comune spetta, dunque, il compito di individuare il rimedio di volta in volta più appropriato”.
H-1. Tanto premesso, si rileva innanzitutto la violazione dell’art. 117 co. 1 Cost. in relazione agli artt. 9 TUE e 20 TFUE, che istituiscono e regolano la cittadinanza europea come status che si aggiunge a quello di cittadino di uno Stato membro.
Tale censura è ammissibile in ragione del riflesso che la cittadinanza italiana produce circa la titolarità della cittadinanza europea. Essa è altresì rilevante, in quanto la situazione di perdita della cittadinanza italiana introdotta dal d.!. n. 36/2025 indubitabilmente incide su norme di diritto dell’Unione che hanno efficacia diretta nel nostro ordinamento, non potendosi altrimenti qualificare le norme dei Trattati istitutive della cittadinanza europea (“È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro”, art. 9 TUE; “È istituita una cittadinanza del!’Unione. È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro”, art. 20 TFUE).
Si osserva in proposito che la CGUE, nella sentenza 5.9.2023, C-689/21, causa X c.
Udlcendinge– og Integrationsministeriet, è stata chiamata a pronunciarsi su una normativa danese che, per i cittadini danesi nati ali’estero, prescriveva la perdita ipso iure della cittadinanza al compimento dei 22 anni, qualora non sussistesse un legame effettivo con la Danimarca; in quel caso, la Co,te ha testualmente affermato che “la situazione di cittadini dell’Unione che [… ] possiedono la cittadinanza di un solo Stato membro e che, con la perdita di tale cittadinanza, si ritrovano senza lo status conferito dall’articolo 20 TFUE e i diritti a esso correlati ricade, per sua natura e per le conseguenze che produce, nella sfera del diritto dell’Unione. Pertanto, nel!’esercizio della loro competenza in materia di cittadinanza, gli Stati membri devono rispettare il diritto del!‘Unione e, in particolare, il principio di proporzionalità [sentenze del 2 marzo 201O, Rottmann, C-135/08, EU:C:2010:104, punti 42 e 45; del 12marzo 2019, Tjebbes e a., C–221/17, EU:C:2019:189, punto 32, nonché del 18 gennaio 2022, Wiener Landesregierung (Revoca di una garanzia di naturalizzazione), C-118/20, EU:C:2022:34, punto 51]”.
In particolare, la Corte di Giustizia ha avuto modo di sottolineare che “la perdita ipso iure della cittadinanza di uno Stato membro sarebbe incompatibile con il principio di proporzionalità se le norme nazionali pertinenti non consentissero, in nessun momento, un esame individuale delle conseguenze determinate da tale perdita, per gli interessati, sotto il profilo del diritto dell’Unione”. Con la citata sentenza, in conformità alla sua giurisprudenza anteriore (cfr. sentenza 12.3.2019, C-221/17, Tjebbes, punto 41, nonché, più di recente, sentenza 25.4.2024, C-684/22, S.O. c. Stadt Duisburg, punto 43), la Corte ha altresì chiaramente stabilito che lo Stato deve garantire la possibilità di presentare una richiesta di conservazione o recupero ex tunc della cittadinanza entro termini ragionevoli, che possono iniziare a decorrere solo dopo che ogni individuo – destinatario di una possibile decadenza – sia stato specificamente avvertito dell’imminenza di tale evento, concedendogli la possibilità di fonnulare una richiesta diretta ad impedire il verificarsi dell’evento estintivo (CGUE, sentenza 5.9.2023, C-689/21, punti 50-52).
Per le ragioni già ampiamente esposte, deve dunque concludersi che la normativa italiana
introdotta dal d.l. n. 36/2025 viola le norme dei Trattati istitutive della cittadinanza europea, comportando – di fatto – la perdita della cittadinanza italiana in danno di soggetti che (al di là del dato meramente formale di non avere ancora avviato un procedimento giurisdizionale o amministrativo di riconoscimento del loro diritto) erano pacificamente da considerarsi cittadini italiani per nascita, senza che sia stato previsto alcun meccanicismo di diritto intertemporale che consentisse loro la conservazione della cittadinanza entro termini ragionevoli (ad esempio, prevedendo una “finestra temporale” entro la quale poter presentare una domanda amministrativa o giudiziale di riconoscimento della cittadinanza).
11-2. Si ravvisa inoltre una violazione dell’art. 117 co. 1 Cost. in relazione all’art. 15 comma 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 10.12.1948, ai sensi del quale “nessun individuo potrà essere arbitrariamente privato della sua cittadinanza, né del diritto di mutare cittadinanza”: nella specie, si deduce appunto l’arbitrarietà dei criteri di “revoca implicita” introdotti dall’art. 1 c. 1 lett. a) e b) d.l. n. 36/2025, nella parte in cui fanno retroagire la “revoca” (id est, l’impossibilità di far valere in giudizio il proprio diritto originario al riconoscimento della cittadinanza italiana) alle ore 23:59 del giorno precedente l’entrata in vigore del medesimo decreto-legge.
Sul punto, si segnala la differenza sostanziale che intercorre tra l’art. 15 co. 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e l’art. 22 della Costituzione: la norma internazionale adopera infatti l’avverbio “arbitrariamente”, la cui estensione è lessicalmente e strutturalmente più ampia rispetto all’inciso ”per motivi politici” fatto proprio dalla normativa
costituzionale italiana. Se per “motivi politici” devono intendersi motivi “essenzialmente politici” (si pensi al caso della revoca della cittadinanza in danno di una minoranza etnica o degli appartenenti a un dato movimento politico, filosofico, religioso o culturale), l’avverbio “arbitrariamente” contempla invece qualsiasi ipotesi di privazione di cittadinanza che – al di là delle sue motivazioni “politiche” o “comuni” – risulti essere ingiusta, ingiustificata, irragionevole; vale a dire, arbitraria.
Nel caso dell’art. 3-bis cit., per tutte le ragioni diffusamente esposte retro al par. I, deve dunque ritenersi che la perdita indiscriminata e retroattiva della cittadina attuata nei confronti di tutti i cittadini italiani nati ali’estero, in ragione del solo fatto di non avere manifestato (per via amministrativa o giudiziale) la propria volontà di avvalersi del proprio diritto di cittadinanza (giova rimarcarlo ancora, ad essi attribuito fin dalla nascita iure sanguinis e in un momento storico in cui l’affidamento sul perdurare dell’assetto nonnativo e giurisprudenziale consolidato in materia di cittadinanza era massimo) costituisca un’ipotesi di privazione arbitraria della cittadinanza, con conseguente violazione del precetto dell’art. 15 co. 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, tutelato nel nostro ordinamento per il tramite dell’articolo 117 co. 1 Cost. come interpretato dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost., sentenze n. 348 e n. 349 del 2007, cit.).
11-3. Infine, si ritiene che l’art. 3-bis della legge n. 91/1992 violi l’art. 117 co. l Cost. anche in relazione all’art. 3 comma 2 del Quarto Protocollo Addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, ai sensi del quale “nessuno può essere privato del diritto di entrare nel territorio dello Stato di cui è cittadino”: nella specie, ci si troverebbe al cospetto di soggetti titolari sin dalla nascita della cittadinanza italiana (cioè di un diritto di soggettivo), che si vedrebbero privati del loro diritto di entrare nel territorio italiano per il sol fatto di non avere chiesto (in via amministrativa o giudiziale) il riconoscimento del proprio diritto entro le ore 23:59 del giorno precedente l’entrata in vigore del d.l. n. 36/2025.
III – Conclusioni
Deve dunque concludersi che la normativa ordinaria introdotta dal d.l. n. 36/2025 s,a costituzionalmente illegittima nella misura in cui fa retroagire gli effetti limitativi dello status di cittadinanza ad un momento anteriore all’entrata in vigore della legge stessa.
In altri termini, è costituzionalmente illegittimo che il legislatore ordinario stabilisca all’art. 3- bis legge n. 91/1992 che – “in deroga” alla normativa applicabile – “è considerato non avere mai acquistato la cittadinanza italiana chi è nato all’estero anche prima della data di entrata in vigore del presente articolo ed è in possesso di altra cittadinanza”, limitando alle successive lettere da a) ad) il diritto all’accertamento della cittadinanza italiana “per nascita” al rispetto di determinate condizioni inserite ex novo dal medesimo d.l. n. 36/2025.
Si dubita cioè che sia costituzionalmente legittimo – per le ragioni dette e secondo i parametri di cui agli artt. 2, 3 e 117 co. 1 Cost. – far retroagire le limitazioni ad uno status di cittadino che è già stato acquisito a titolo originario dalla persona nata all’estero discendente di cittadino italiano, in ossequio alla nonnativa in vigore sino al 27.3.2025.
La scelta legislativa introdotta dall’art. 3-bis legge n. 91/1992 è, come detto, assimilabile a una “revoca implicita”; tale constatazione avrebbe (quantomeno) imposto la previsione di un ragionevole termine per la presentazione di una domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana (a mero titolo di esempio, “entro un anno dall’entrata in vigore del presente decreto legge”), così “agganciando” la perdita della cittadinanza italiana alla mancata tempestiva presentazione della domanda (amministrativa o giudiziale) di riconoscimento della medesima cittadinanza. L’avere previsto una limitazione retroattiva del diritto a chiedere il riconoscimento della cittadinanza italiana, in capo a soggetti che in applicazione della normativa previgente erano pacificamente considerati cittadini italiani a titolo originario dalla nascita (pur se nati all’estero e in possesso di altra cittadinanza), costituisce dunque – ad avviso di questo Tribunale – una violazione dei sopra richiamati principi di ragionevolezza e affidamento nella sicurezza giuridica in violazione degli artt. 2, 3 e 117 co. I Cost.
La disposizione di cui all’articolo 3-bis della legge 5 febbraio 1992, n. 91, introdotta dal decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36, presenta dunque profili di possibile incompatibilità con i parametri sopra richiamati nella parte in cui stabilisce al comma 1, primo periodo, l’applicabilità della nuova nonnativa a chi è nato all’estero “anche prima della data di entrata in vigore del presente articolo”, nonché con riferimento alle condizioni introdotte alle lettere a), a-bis) e b), in quanto in tal modo introduce un’ipotesi di revoca automatica e con effetto immediato della cittadinanza italiana per tutti quei soggetti nati ali’estero e in possesso di altra cittadinanza che non rispettino le caratteristiche soggettive introdotte dal medesimo decreto legge all’art. 1, lettere c) e d) (sussistenza del c.d. genuine link). In altri termini, l’incostituzionalità parziale dell’art. 3-bis cit. deriva dal fatto che sarebbe stato possibile prevedere una normativa intertemporale tale consentire alle persone interessate (cioè agli italiani nati all’estero, in possesso di altra cittadinanza e privi di un “genuine link” con l’Italia) di essere debitamente informate delle modifiche normative intervenute, onde poter presentare entro un termine ragionevole – la domanda (amministrativa o giudiziale) di riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis.
La dichiarazione di parziale incostituzionalità dell’art. 3-bis legge n. 91/1992 nei termini sopra prospettati consentirebbe inoltre di conservare l’effetto utile della riforma legislativa che persegue l’intento di dare concreta attuazione nel nostro ordinamento al principio internazionale del “legame effettivo” (o “genuine !in/è’, ribadito da ultimo dalla Corte di Giustizia UE nella sentenza del 29.4.2025, causa C-181/23) – eliminando le sole conseguenze pregiudizievoli derivanti dall’applicazione retroattiva (cioè a tutte le persone già nate) della nuova normativa. Attesa la natura derogatoria dell’art. 3-bis legge 91/1992, infatti, una volta eliminati i periodi che espressamente ne prevedono l’applicazione retroattiva, resterebbe un’unica interpretazione costituzionalmente orientata della nuova normativa in materia di cittadinanza: quella dell’applicabilità dell’art. 3-bis cit. soltanto alle persone nate successivamente all’entrata in vigore del d.l. n. 36/2025, valendo – in assenza di un’espressa previsione di retroattività – la regola generale di cui all’art. 11 delle preleggi, alla stregua della quale“la legge non dispone che per i‘avvenire”.
In questa prospettiva, la dichiarazione di incostituzionalità parziale dell’art. 3-bis cit. potrebbe anche essere accompagnata da un intervento di tipo manipolativo-additivo della Corte Costituzionale, con previsione di un meccanismo di diritto intertemporale che garantisca la possibilità (a tutte le persone già nate alla data di entrata in vigore del d.l. n. 36/2025) di presentare una domanda di riconoscimento della cittadinanza entro termini ragionevoli, in applicazione dei principi affermati dalla Corte di Giustizia UE nella menzionata sentenza 5.9.2023, C-689/21.
Per tutte le ragioni che precedono, non è manifestamente infondata la questione di incostituzionalità all’articolo 3-bis della legge 5 febbraio 1992, n. 91 (Nuove norme sulla cittadinanza), introdotto dal decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36 (Disposizioni urgenti m materia di cittadinanza), limitatamente alle parole “anche prima della data di entrata in vigore del presente articolo” e alle condizioni di cui lettere a), a-bis) e b), in riferimento ai paramet1i di cui agli a1ticoli 2, 3 e 117 della Costituzione, avuto riguardo per quest’ultimo ai principi derivati dall’ordinamento internazionale e, in particolare, dall’art. 9 del Trattato sull’Unione Europea, dall’art. 20 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, dall’art. 15 comma 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 10.12.1948 e dell’art. 3 comma 2 del Quarto Protocollo Addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
P.Q.M.
visti gli articoli 134 della Costituzione, 1 legge costituzionale n. 1/1948 e 23 legge n. 87 del 1953,
ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3-bis – limitatamente alle parole “anche prima della data di entrata in vigore del presente articolo” e alle condizioni previste alle lettere a), a-bis) e b) – della legge 5 febbraio 1992, n. 91, introdotto dal decreto-legge 28 marzo 2025, n. 36,
convertito con modificazioni dalla legge 23 maggio 2025 n. 74, in riferimento agli articoli 2, 3 e 117 comma 1 della Costituzione, quest’ultimo in relazione ai principi derivati dall’ordinamento internazionale e, in particolare, dall’art. 9 del Trattato sull’Unione Europea, dall’art. 20 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea, dall’art. 15 comma 2 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 10.12.1948 e dell’art. 3 comma 2 del Quarto Protocollo Addizionale alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo;
DISPONE
la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio;
ORDINA
che la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Carnera dei Deputati.
Torino, il 25 giugno 2025
Il Giudice Fabrizio Alessandria”