L’avvocata Claudia Antonini, vicepresidente di Natitaliani, ha denunciato alla Camera dei Deputati italiana che il Decreto-Legge n. 36/2025 minaccia di distruggere le garanzie costituzionali e trasformare il riconoscimento della cittadinanza italiana in un processo esclusivo, discriminatorio e disumano. Ha affermato che la cittadinanza non è una concessione dello Stato, ma un diritto originario, automatico e preesistente alla richiesta, e ha accusato il governo di usare un discorso allarmistico sulle frodi per giustificare un attacco contro 60 milioni di discendenti di italiani.
Antonini ha sottolineato che in oltre 30 anni di attività non ha mai riscontrato un sistema di frodi di massa, solo casi isolati legati a manipolazioni di documenti italiani. Ha affermato che il Brasile, ad esempio, ha un sistema rigoroso di registrazione civile, con carta filigranata, QR code, numerazione univoca, verifica digitale e ufficiali laureati in giurisprudenza. Al contrario, ha criticato la precarietà del sistema italiano, la mancanza di digitalizzazione e la confusione generata da omonimie e dall’assenza di connessioni tra gli atti.
L’avvocata ha denunciato il degrado cronico della rete consolare, con file fino a 15 anni, carenza di personale e strutture obsolete, sottolineando che lo Stato incassa milioni in tasse senza reinvestirli nei servizi. Ha criticato la distruzione della PEC, l’eliminazione dell’uso di documenti digitali e la proposta di centralizzare i procedimenti in un unico ufficio a Roma, il che, secondo lei, creerà un “ingorgo monumentale”, danneggiando soprattutto chi ha pazientemente atteso per anni.
Antonini ha condannato la creazione di quelli che ha definito “tribunali della cittadinanza”, la privatizzazione di funzioni essenziali e la logica da “catena di montaggio” burocratica, affermando che il decreto tratta i cittadini come numeri, ignorando storie e vite. Ha chiesto investimenti urgenti in personale, digitalizzazione, interoperabilità, trasparenza e rispetto dei trattati internazionali, oltre a un cambiamento di approccio dello Stato, che, secondo lei, deve servire la collettività e non spingere i cittadini verso la giustizia ordinaria.
Il deputato Fabio Porta ha elogiato il lavoro di Natitaliani, sottolineando la raccolta di oltre 100 mila firme in poche ore contro il decreto. Antonini ha concluso il suo intervento chiedendo giustizia, non favori, e ha affermato che continuerà a lottare finché verità e dignità non torneranno a guidare l’azione pubblica italiana.
A seguire il testo integrale dell’intervento di Claudia Antonini:
Signor Presidente, Onorevoli Deputati
A nome di Natitaliani e dando voce a oltre 60 milioni di italiani nati all’estero, vi ringraziamo per questa audizione.
Interveniamo oggi per richiamare l’attenzione sulla qualità e l’efficienza dei servizi rivolti ai cittadini italiani nati o residenti all’estero.
Partiamo da un principio fondamentale: LA CITTADINANZA NON È UNA CONCESSIONE, È UN DIRITTO.
Siamo nati italiani prima della riforma, sotto la Legge 91/92, che stabilisce che la cittadinanza per discendenza è originaria, automatica, preesistente alla richiesta.
Non si tratta di una naturalizzazione, né di un favore dello Stato: è il riconoscimento di una condizione acquisita per nascita.
Per noi, essere italiani non è un’aspirazione: è appartenenza.
Eppure stampa, parlamentari, il Ministro degli Esteri e perfino la Presidente continuano a definire questo diritto come “concessione”. Una distorsione grave, che altera la comprensione giuridica e alimenta una narrazione fuorviante.
Noi di Natitaliani l’abbiamo chiarito in ogni sede. Poche settimane fa, proprio qui alla Camera, abbiamo promosso un incontro sul diritto costituzionale e comunitario connesso alla cittadinanza.
Oggi, però, non parliamo di principi, ma di fatti. Di problemi strutturali gravi che minano l’applicazione di questo diritto.
Parliamo di sottodimensionamento storico della rete consolare e degli uffici di stato civile, carenza di personale, strumenti obsoleti e di carichi di lavoro disumani.
Non è un’opinione: è una realtà certificata da relazioni ufficiali, dai sindacati e perfino dal Ministero.
Con oltre 6,4 milioni di iscritti all’AIRE (dati ISTAT 2024) – la metà dei quali risiede in America Latina – l’apparato consolare è strutturalmente inadeguato. Nel 2012 l’ho denunciato all’ambasciata di Brasilia. Mi risposero che ero “piena di fantasia”.
Oggi, mentre la domanda cresce, il rapporto tra cittadini e personale continua a precipitare.
Le conseguenze sono chiare: tempi insostenibili con attese decennali, famiglie impossibilitate a effettuare registrazioni e la chiara violazione dei principi di legalità, efficienza e parità di trattamento.
Senza investimenti seri in personale, digitalizzazione e interoperabilità, ogni riforma resterà lettera morta. O peggio: diventerà una nuova barriera illegittima.
Nel frattempo, cresce una narrazione mediatica e politica allarmista, che agita lo spettro di abusi, frodi e falsificazioni nelle richieste di cittadinanza.
Ma dove sono i dati? Dove sono le prove?
Abbiamo presentato accessi agli atti e consultato rapporti di Ministeri, Procure e Corte dei Conti: non esistono dati ufficiali che giustifichino questo allarme.
Eppure, è da questa narrativa che nasce l’urgenza del DL 36, che parla di “pericoli per la sicurezza nazionale”.
Un uso scorretto e sproporzionato del potere legislativo.
Sì, esistono casi isolati, come in ogni sistema. Ma non un fenomeno strutturale.
Si evidenzia che i certificati rilasciati dalle autorità brasiliane sono emessi su carta di sicurezza filigranata, dotata di filo di sicurezza, pellicola protettiva per la stampa laser e numerazione univoca. Tali documenti sono registrati sia digitali che cartacei, hanno codice hash e codice QR per la verifica dell’autenticità del documento, nonché dell’apostilla e della firma elettronica qualificata, consultabili attraverso il sito ufficiale. Si sottolinea, inoltre, che tutti gli Ufficiali di Stato Civile brasiliani sono in possesso di laurea in Giurisprudenza.
Ora guardate un certificato italiano. Come si verifica?
Altro punto importante, che serve per disambiguare omonimie – molto comuni – ed altri dati, è l’accesso agli stati di famiglia. Come potrà funzionare un Dipartimento senza questi elementi fondamentali per comprendere molte situazioni?
L’Italia ha firmato la Convenzione dell’Aja nel 1961, ma l’ha attuata solo nel 2011.
Non ha ancora ratificato né l’e-Register né l’e-Apostille, adottati già da 56 Stati.
Il Regolamento UE 1191/2016 è un passo avanti, ma non basta.
In 30 anni di attività, ho visto poche frodi, quasi sempre manipolazioni di documenti italiani per correggere atti esteri.
Quanto ai cosiddetti “Black Friday”: li condanniamo con forza e senza esitazione.
Ma non sono reati, sono una degenerazione comunicativa che va condanata e che dovrebbe subire sì il controllo degli organi competenti quando configurano esercizio illegale di alcune professioni, come, ad esempio, quella forense.
Il vero problema è uno Stato che impone ostacoli, ritardi e tasse abusive e discriminatorie, 600 € a cittadino.
Eppure è comodo puntare il dito contro le agenzie. Usare o no i servizi di disbrigo pratiche amministrative è una scelta dell’utente.
Ma lo puntiamo anche ai CAF? O quelli servono?
Nessun tribunale ha mai messo in discussione il principio dello ius sanguinis.
È più difficile ammettere che lo Stato incassa milioni senza reinvestirli, lasciando consolati, comuni e tribunali al collasso.
Con la legge 74/2025 la cittadinanza non è diventata “una cosa seria” ma è stata trasformata dal proprio Stato in un prodotto di lusso per chi può permetterselo!
Noi chiediamo al Parlamento ed al Governo di rafforzare gli organici consolari con assunzioni e valorizzazione del personale, di promuovere la digitalizzazione dei servizi e l’interoperabilità delle banche dati; l’autenticazione sicura da remoto, la raccolta e pubblicazione trasparente dei dati, per distinguere i casi isolati da problemi strutturali reali.
Può esserci giustizia senza tutela degli innocenti?
Punire una intera comunità invece di punire i colpevoli non è giustizia, è omissione. Perchè lo Stato non ha impiegato le sue energie per punire chi fa mercimonio di diritti fondamentali.
Gli italiani all’estero non sono un pericolo ma parte integrante dell’Italia.
Una cittadinanza consapevole non può voltare le spalle ai propri figli nati all’estero.
Il DDL è miope, disumanizzante e basato sulla sfiducia.
Non si può applicare la logica della catena di montaggio (comma 7) a procedimenti che riguardano la vita delle persone.
Dietro ogni atto esiste una persona, la sua storia, la sua vita.
Questa riforma ci ha strappato l’identità e ci ha categorizzato in italiani di serie A, B, C… negando la natura originaria della cittadinanza e sostituendo il diritto con filtri amministrativi arbitrari.
Veri tribunali della cittadinanza!
Il comma 3 spiana la pericolosa strada alla privatizzazione di funzioni essenziali, con possibilità di delega di parti del procedimento a soggetti privati – come ANUSCA -, orientati al profitto anzichè al miglioramento delle condizioni di lavoro degli Uffici di Stato Civile e dei consolati.
Un tale assetto viola i principi costituzionali: uno Stato di diritto non può delegare la cittadinanza ai privati senza controlli efficaci.
Si vende come “efficienza” un taglio delle garanzie pubbliche e della responsabilità istituzionale. Non si vedono contrappesi, strumenti di verifica né forme di partecipazione del cittadino. L’amministrazione rifiuta il contatto diretto e agisce unilateralmente, delegando la tutela dei diritti alla giustizia ordinaria.
Come può l’Italia, nel 2025, rifiutare documenti digitali verificabili emessi da altri Stati? Molti Paesi UE ed extra-UE hanno sistemi molto avanzati.
Che fine ha fatto la libera circolazione dei documenti amministrativi nella UE?
Oggi si intravede solo una diffidenza generalizzata verso cittadini e funzionari consolari e comunali che da sempre hanno custodito quei documenti.
Si vuole creare un sistema inefficiente e contraddittorio: addirittura eliminare la PEC per le notifiche, privando i cittadini di una prova certa e della possibilità di comunicazione e aumentando il lavoro agli uffici.
Si elimina la PEC, si torna alla carta, senza regole di gestione, archiviazione, sportelli.
Modernizzazione? O regressione?
I documenti digitali sono più sicuri, tracciabili, sostenibili, agili. Permettono ricerche, indicizzazioni, condivisioni, firme e accessi da remoto.
Il comma 5 dimensiona i bisogni in base alle riscossioni consolari;
il comma 6 introduce la soglia delle 100 istanze.
Ma molte sedi hanno subito calamità (ad esempio gli alluvioni in Brasile) o sono storicamente sottodotate o mal gestite!
Questa norma finirà per colpire proprio chi ha rispettato le regole, atteso oltre dieci anni, senza ricorrere alla giustizia. È questo il rispetto che lo Stato dimostra ai suoi cittadini?
Le istanze del 2024 riguardano i pochi fortunati che hanno superato un sistema opaco e pieno di barriere.
E l’effettiva trascrizione degli atti nei comuni? Riconoscimento e trascrizione non possono essere separati.
Serve una collaborazione strutturata tra Ministero degli Esteri e Ministero degl’Interni, di cui i Comuni sono parte, con programmi digitali integrati e tracciabili per registrazione e iscrizione AIRE in tempi certi.
Solo un sistema anagrafe/stato civile aggiornato potrà garantire efficacia e tempestività, garantendo certezza giuridica.
Nelle ultime elezioni del COMITES, almeno nella circoscrizione da dove provengo, Porto Alegre, in Brasile, circa il 30% dei nostri connazionali non risultava all’AIRE pur avendo regolare passaporto.
È importante sapere che a Roma, l’Ufficio di Stato Civile di via Petroselli, esiste un arretrato trentennale di circa 130.000 atti da trascrivere, gestito da sole sei persone?
Al comma 7 del DDL si aferma che ogni stima del bacino potenziale è “congetturale”, ma gli archivi consolari non sono “congeturali”, contengono dati precisi sul numero di invii e di persone in attesa?
Il problema è che quegli invii spesso non diventano trascrizioni, lasciando migliaia di pratiche tecnicamente “incomplete”.
L’Italia è ancora un paese di emigrazione.
Trattare i cittadini nati all’estero come una minaccia è una mistificazione pericolosa.
Parlare che i 60 milioni di cittadini nati all’estero sono una minaccia è fuorviante. Il vero rischio non è il numero di domande, ma l’inefficienza cronica che si somma alla discriminazione.
Le ACLI hanno già capito le gravi complicazioni. Loro sono nel quotidiano delle famiglie all’estero e sanno che ora i nostri giovani lavoratori, studiosi, ricercatori emigrati devono pensarci due volte prima di naturalizzarsi all’estero, per non perdere il diritto di trasmettere la cittadinanza ai figli e ai nipoti.
I nuovi nati all’estero, da genitori doppi cittadini, dovranno dimostrare che i nonni sono soltanto italiani.
I figli minorenni di cittadini naturalizzati non otterranno più la cittadinanza insieme ai genitori, ma dovranno dimostrare la residenza continuativa in Italia per almeno due anni. Potete immaginare cosa significa?Basterà un errore burocratico per condannarli alla condizione di stranieri e influire sul loro destino.
Cittadini catalogati in base alla capacità di trasferire la cittadinanza: questo avete creato!
Il DDL introduce un termine illegittimo di 48 mesi per la conclusione delle pratiche, violando la legge 445/2000, che fissa il massimo a 24 mesi. Quindi, incompatibile con i principi di efficacia e tempestività.
Tutto ciò porta al collasso del sistema e a una valanga di ricorsi anche da parte di famiglie finora fiduciose o rassegnate.
Un’amministrazione che spinge i cittadini verso la giustizia fallisce nella sua missione primaria: servire la collettività.
Per quanto riguardo il ruolo dei consolati, Come si può pensare di sostituire un organico di almeno 600 risorse umane distribuite in 208 sedi diplomatiche con soltanto “2 dirigenti, 30 funzionari e 55 assistenti”, in tutto 87 unità?
Guardate che soltanto il Consolato di San Paolo conta 32 impiegati e 20 digitatori. Fate i conti: abbiamo 208 sedi!
Serve un piano strutturale, non cosmetico.
Le modifiche proposte e il nuovo dipartimento sono un fallimento annunciato: non porteranno efficienza, ma al disastro amministrativo e all’aumento esponenziale dei contenziosi.
Noi, italiani nati all’estero, pretendiamo rispetto.
Pretendiamo le scuse pubbliche e la ritrattazione formale da parte della stampa, delle istituzioni e di chi ci ha offeso, denigrato, delegittimato.
Abbiamo assistito in silenzio a campagne mediatiche che ci hanno dipinti come opportunisti, falsari, profittatori. Basta.
Ora esigiamo lo stesso spazio, la stessa visibilità, la stessa attenzione, per raccontare la nostra verità.
Una verità fatta di appartenenza, di legami familiari, di rispetto per la legge, di amore per l’Italia.
Grazie alla Commissione per averci ascoltato, al Presidente Daniel Taddone per la fiducia, ai colleghi di Natitaliani – Contestabile, Barbanti, Andretta e De Simone – per i loro contributi, al Presidente e alla Vicepresidente di ARPEN Brasile, Devanir Garcia e Karine Boselli, per le informazioni sulla sicurezza dei documenti di stato civile.
Oggi NON vi abbiamo chiesto un FAVORE. VI ABBIAMO CHIESTO GIUSTIZIA.
E continueremo a farlo, finché verità e dignità non torneranno a guidare l’azione pubblica.
Grazie”