Una recente decisione del Tribunale di Caltanissetta ha gettato luce su un fenomeno che si è intensificato negli ultimi mesi: la fretta di molti italo-discendenti di avviare azioni giudiziarie per il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis prima dell’entrata in vigore delle nuove tasse consolari e giudiziarie previste dalla Legge di Bilancio italiana.
Nel caso deciso il 21 luglio 2025 dal giudice Marcello Testaquatra, una famiglia brasiliana si è vista respingere la richiesta di riconoscimento della cittadinanza perché aveva presentato la maggior parte della documentazione fuori dal termine processuale. Nel ricorso iniziale, depositato nel dicembre 2024, i richiedenti avevano allegato soltanto l’atto di nascita dell’avo italiano, e per di più in modo incompleto. Solo cinque mesi dopo — a procedimento già avviato — hanno tentato di integrare il fascicolo con certificati di matrimonio, di morte e prova della mancata naturalizzazione.
Il giudice ha ritenuto tale documentazione tardiva e, quindi, inutilizzabile. In assenza di prove valide, la domanda è stata rigettata e gli autori condannati al pagamento di € 3.809,00 a titolo di spese processuali, oltre a imposte e tasse di legge. Vi sono notizie che anche il Tribunale di Roma stia decidendo nello stesso senso.
La sentenza è emblematica perché mostra come la corsa precipitosa ai tribunali, motivata dal tentativo di evitare i costi più alti annunciati dal governo italiano, possa trasformarsi in un boomerang. Molti ricorrenti, ansiosi di “assicurarsi un posto in fila”, hanno promosso azioni senza aver raccolto tutta la documentazione necessaria. Ora, oltre a vedersi respingere le proprie istanze, rischiano di uscire dal processo con un pesante onere economico.
Va ricordato che, fino a pochi anni fa, la stessa Corte di Cassazione italiana si era espressa in senso opposto. Nel 2021, nell’ambito del procedimento sommario di cognizione (art. 702-bis c.p.c.), i giudici di Roma avevano affermato che fosse ammissibile la produzione di documenti anche successivamente al deposito iniziale del ricorso, fino alla prima decisione del magistrato.
Con la riforma processuale introdotta nel 2024, però, le regole sono state irrigidite: nel rito ora applicato alle cause di cittadinanza prevale la preclusione immediata, ossia tutti i documenti devono essere presentati già con il ricorso introduttivo. La sentenza di Caltanissetta rivela proprio questo cambio di paradigma — da un sistema più elastico a uno decisamente più rigido, con conseguenze severe per chi non si prepara fin dall’inizio.
Non ci sono ancora dati ufficiali su quanti processi rientrino in questa situazione, ma avvocati specializzati sottolineano che il fenomeno non è isolato. In varie sezioni specializzate in immigrazione, soprattutto nel sud Italia, negli ultimi mesi si sono moltiplicati i ricorsi presentati in fretta, molti dei quali con istruttoria documentale carente. La decisione di Caltanissetta, quindi, funziona come un severo avvertimento: tentare di aggirare l’aumento delle tasse senza rispettare i requisiti formali può comportare una doppia penalizzazione — la perdita della causa e il peso delle spese.