Decreto che esclude la cittadinanza italiana discrimina e indigna i discendenti


Articolo del magistrato in pensione ed ex ministro di Stato Walter Fanganiello Maierovitch, pubblicato oggi (13/04) sul sito UOL, qui riprodotto con autorizzazione dell’autore e tradotto anche in lingua italiana con l’ausilio dell’intelligenza artificiale.


La saggezza popolare insegna che “il mondo gira”.
Negli anni ‘90, l’uomo più ricco d’Italia, il controverso imprenditore Silvio Berlusconi, cominciò a coltivare il sogno di diventare il capo del governo italiano, con il suo partito Forza Italia. Certamente, Berlusconi non sognava ancora di diventare il presidente del Consiglio dei famigerati scandali del “bunga-bunga” e del caso “Ruby, ruba-cuore” — la ragazza marocchina minorenne che lui aveva inventato essere la nipote del dittatore egiziano Mubarak.

PATROCINANDO SUA LEITURA

All’epoca, Berlusconi sapeva che avrebbe dovuto sconfiggere il leader del centro-sinistra e della sinistra italiana, il rispettato e integerrimo professore Romano Prodi.
In perfetto stile machiavellico, nacque così l’ammissione e l’attuazione del voto degli italo-discendenti residenti all’estero. Venne diviso il mappamondo in diaspore popolose di elettori di origine italiana, con i consolati impegnati a pieno ritmo nel riconoscimento delle cittadinanze. Solo così Berlusconi avrebbe potuto ottenere la maggioranza in Parlamento.
Attenzione: per raggiungere questo scopo, gli immigrati e i loro discendenti erano considerati utili.

L’Italia adottava già allora il criterio dello “ius sanguinis”, il diritto di sangue, per riconoscere la cittadinanza italiana. La cittadinanza iure sanguinis era una tradizione anteriore all’unificazione italiana del 1861, e la prima Costituzione repubblicana del 1948 seguì questo criterio della trasmissione per sangue. Già all’articolo 22 stabiliva che nessuno può essere privato della cittadinanza. All’estero, o meglio nelle diaspore italiane, prevalse la coalizione guidata da Romano Prodi. Berlusconi e il suo partito Forza Italia persero.

Le svolte del mondo e l’ombra di Tajani
Torno alle “volte” che il mondo compie. Dall’eredità politica del defunto Berlusconi è emersa la leadership di Antonio Tajani, oggi vicepresidente del Consiglio e ministro degli Affari Esteri nel governo di Giorgia Meloni, ex militante della gioventù fascista e leader del partito Fratelli d’Italia.

Tajani è l’autore del decreto-legge n. 36 del 28 marzo 2025, entrato in vigore grazie a un “inciucio” (accordo sottobanco) di urgenza, in un contesto in cui non esisteva alcuna reale urgenza o emergenza. Ricordo che il decreto-legge italiano corrisponde alla misura provvisoria brasiliana.

Con un decreto-legge viziato da evidenti profili di incostituzionalità e palesemente discriminatorio, si è posto fine alla trasmissione della cittadinanza a partire dalla seconda generazione, introducendo ulteriori ostacoli e un pericoloso effetto retroattivo che cancella diritti acquisiti in base alla legge precedente.

Lo stesso partito Forza Italia cambia faccia. Prima, con Berlusconi, la trasmissione della cittadinanza per “ius sanguinis” era illimitata, nella logica della ricerca dei voti degli immigrati e dei loro discendenti. Ora, Forza Italia, con Tajani, si dedica a “tagliare la cittadinanza” (tagliare la cittadinanza).

“O tempora, o mores”, starebbe gridando a pieni polmoni il giurista e oratore romano Cicerone (103-43 a.C.), ancora oggi presente in immagine nel celebre affresco di Palazzo Madama, sede del Senato italiano, e con il busto esposto nei Musei Capitolini di Roma.

ITALIANITÀ
I medicinali venduti nelle farmacie, di regola, hanno effetti collaterali. Il decreto-legge Tajani possiede come effetto collaterale l’annientamento, in breve tempo, dell’italianità.
L’italianità è l’anima della cittadinanza. In modo semplice, può essere definita come “l’essere e il sentirsi italiano o discendente di italiani”. Chiunque desideri sentire l’italianità basta che assapori i racconti dell’opera Brás, Bexiga e Barra Funda del compianto giornalista Antônio de Alcântara Machado (1901-1935).

Apro una parentesi. Nel quartiere operaio della Barra Funda, roccaforte di immigrati meridionali, del Mezzogiorno d’Italia, è nato, cresciuto e da lì è partito questo cronista di UOL.

Con la fine dell’“essere e del sentirsi italiano”, cioè con la scomparsa dell’italianità, essa svanirà definitivamente a causa del brusco taglio della cittadinanza.
La visione miope del ministro Antonio Tajani gli impedisce di percepire la fine dell’italianità nelle diaspore italiane sparse in Sud America e nel mondo.

L’italianità nasce da trasmissioni naturali di conoscenze, rafforzate dalla convivenza comunitaria. Si tramandano, di generazione in generazione, la lingua, il dialetto, i costumi e le abitudini, i valori etici, la cultura, la religione, insomma la civiltà.

La città di San Paolo è la più grande città italiana fuori dall’Italia. Il Collegio Dante Alighieri, situato nel quartiere dei Jardins, è il più grande collegio italiano del mondo fuori dall’Italia: è stato fondato dagli italiani e, fino ad oggi, non ha mai avuto bisogno di chiedere una sola lira, o un solo euro, al governo italiano.

Un altro esempio significativo. L’immigrato conte Rodolfo Crespi (1874-1939), fondatore e dirigente del più grande gruppo industriale del Brasile e co-fondatore del Collegio Dante Alighieri, ha lasciato un esempio dell’anima dell’italianità con la fondazione della squadra di calcio Juventus, del quartiere della Mooca, stabilendo una squadra chiamata Juventus ma con la maglia color granata, come quella del Torino. Una integrazione tra i piemontesi della Juventus di Torino (maglia bianconera) e il Torino (maglia granata).

CITTADINANZA E LA SUA ANIMA
I costituzionalisti italiani definiscono la cittadinanza come lo status giuridico di colui che appartiene a un determinato Stato e, per questo, è soggetto a una serie di diritti e doveri pubblici. La cittadinanza italiana è peculiare. Questo perché possiede un’anima speciale, sensibile, che le generazioni ricevono come un soffio divino.

Quest’anima si chiama italianità ed è, per chi ha occhi per vedere e cuore per sentire, visibile e percepibile ovunque, in ogni ambiente. L’emigrante ha alleviato il dolore della distanza, della separazione, grazie alla preservazione dell’italianità.

È importante ricordare che il “Made in Italy” (gastronomia, moda, cultura, ecc.) dei giorni nostri ha avuto, in ogni italo-discendente, qualunque fosse la generazione, un propagandista. Ad esempio, l’italo-discendente non scambierebbe mai un espresso Illy per un altro di marca non italiana. Al supermercato preferisce sempre i prodotti italiani.

‘PARTIGIANI ED ORIUNDI’
L’oriundo italiano ha lo spirito del partigiano, il combattente della libertà, e aborrisce i tristi anni del fascismo. E il decreto-legge Tajani ha una matrice fascista. Come ha detto e scritto nel libro pubblicato in questo anno 2025 il grande intellettuale italiano Luciano Canfora, “il fascismo non è mai morto”.

Quanto all’italianità e ai giuristi, è commovente quando costituzionalisti di altri Paesi considerano la Costituzione italiana “la più bella del mondo”.

È sempre ricordato l’insegnamento del compianto giurista Piero Calamandrei, uno dei padri della Costituzione italiana. Egli rispose, nel gennaio 1955, ai giovani italiani:
“Se volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate sulle montagne dove caddero i partigiani (combattenti della libertà). Andate nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. In qualsiasi luogo dove fu ucciso un italiano che cercava di riscattare la libertà e la dignità, andate lì, – o giovani – perché lì è nata la nostra Costituzione”.

ATTENZIONE, ANCORA UNA VOLTA
È questa la Costituzione italiana sopra menzionata che riconosce la cittadinanza iure sanguinis e il principio repubblicano dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge.
Per un Paese che ha vissuto l’“incubo” del fascismo e ha avuto truppe naziste sul proprio territorio, la sua Costituzione democratica vieta ogni discriminazione, garantisce le libertà pubbliche e individuali.

In questo modo, gli italiani, quelli delle diaspore e i loro discendenti, hanno, grazie all’italianità, la consapevolezza esatta della legalità democratica. Questo è stato travolto, persino con un falso marchio di urgenza che non esisteva, dal decreto-legge Tajani.
La Costituzione italiana non ha nemmeno avuto bisogno di esprimere esplicitamente la trasmissione della cittadinanza iure sanguinis. Questo perché proveniva da precedenti sistemi consolidati e dalla tradizione di un popolo che, dopo un plebiscito e il voto delle donne, ha scelto di abbandonare la monarchia per la repubblica.

L’irrispettoso ministro Tajani, come si dice nel linguaggio popolare, “ha passato lo straccio” per cancellare e privare i discendenti della cittadinanza.

In sintesi: limitare la trasmissione della cittadinanza per ius sanguinis significa uccidere l’italianità. Uccidere i nostri. I nostri, con sangue italiano nelle vene, senza cittadinanza, saranno stranieri in Italia.

Ancora di più: poiché la cittadinanza italiana, in forza del Trattato di Maastricht, comporta anche la cittadinanza europea, gli esclusi dal decreto Tajani, incostituzionale e precipitato, saranno stranieri in tutti gli Stati membri dell’Unione Europea.

CRIMINALITÀ ORGANIZZATA
Tutti sanno che è attraverso il diritto penale e il diritto processuale penale che si reprimono i comportamenti criminali. A reprimere i crimini agiscono la polizia giudiziaria e il Pubblico Ministero (in Italia, la magistratura del Pubblico Ministero).

Non è tramite un decreto-legge, volto a stabilire nuove regole per l’acquisizione e la trasmissione della cittadinanza, che si prevengono e si reprimono i crimini.
Il decreto Tajani, con il pretesto della prevenzione, punisce discendenti innocenti, che non sono autori né partecipi di reati. Peggio ancora, si procede verso una cieca e incostituzionale discriminazione.

Ridurre la trasmissione della cittadinanza con il pretesto di porre fine alla cosiddetta “industria della cittadinanza” — che è reale, esiste — significa non credere nell’efficienza delle forze dell’ordine. È questo che si evince dal decreto-legge Tajani.

Un semplice atto amministrativo delle autorità consolari potrebbe stabilire la buona pratica dell’accreditamento delle persone, fisiche o giuridiche, che prestano servizi di pratiche amministrative e di consulenza legale specializzata.

A proposito di crimini, il Brasile mantiene con l’Italia un Trattato di Cooperazione Giudiziaria, stipulato durante il governo dell’allora presidente Fernando Henrique Cardoso. Inoltre, la Costituzione brasiliana consente l’estradizione degli stranieri e, in caso di reati gravi, anche dei naturalizzati. Di conseguenza, lo scambio di informazioni e l’azione repressiva colpirebbero l’industria della cittadinanza.

ANCORA UN PUNTO FINALE
Spetta allo Stato, attraverso la legislazione, stabilire i requisiti per giungere al riconoscimento della cittadinanza. Ad esempio, quelli legati all’italianità, come la conoscenza della lingua, della cultura, della storia, insomma della civiltà.
L’Italia, tramite le sue forze di polizia statali e militari (i Carabinieri), ha scoperto e represso le attività di associazioni criminali, dotate di un forte potere corruttivo, dedite alla vendita di cittadinanza, con il richiedente che forniva una falsa dichiarazione di residenza e un contratto di locazione fittizio. Sono state operazioni di successo, con l’avvio dei dovuti procedimenti, condanne, arresti e la revoca di cittadinanze, carte d’identità e passaporti.

È opportuno ricordare l’esperienza delle forze di polizia italiane, delle procure e della magistratura nella lotta e nella repressione della criminalità organizzata di matrice mafiosa. In altre parole, l’Italia ha esperienza e capacità per reprimere il mercato criminale della vendita di cittadinanza, con l’emissione documentale di passaporti.
È puro populismo presentare un decreto-legge Tajani per tale scopo. In un italiano chiaro e semplice, è stato “un colpo sparato nel proprio piede”.