Il rappresentante in Brasile della Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon lancia l’allarme sui rischi giuridici, storici e morali del Decreto-Legge n. 36/2025 per la cittadinanza italiana iure sanguinis
Una ferma critica al Decreto-Legge italiano n. 36 del 28 marzo 2025, noto come Decreto Tajani, è stata resa pubblica questa settimana sotto forma di una dichiarazione ufficiale firmata da Filippo Marcon, delegato per il Brasile dell’Istituto Nazionale per la Guardia d’Onore alle Reali Tombe del Pantheon. Nel documento, Marcon esprime “profonda preoccupazione” per il testo approvato dal governo Meloni, che modifica radicalmente l’accesso alla cittadinanza italiana iure sanguinis.
La riflessione parte da un’affermazione inequivocabile: “L’Italia nacque sul principio del sangue, non della terra”. Il documento ricorda che, fin dall’Unità, nel 1861, il Paese scelse consapevolmente il principio dello ius sanguinis – il diritto alla cittadinanza basato sulla discendenza – come fondamento giuridico e simbolico dell’appartenenza alla nazione italiana.
Secondo Marcon, tale scelta non fu casuale, bensì radicata nella realtà frammentata della Penisola prima dell’unità politica, quando gli abitanti dei diversi regni e ducati erano formalmente stranieri gli uni rispetto agli altri. L’identità italiana, tuttavia, già batteva nei cuori di coloro che condividevano la lingua, la cultura, i valori e il sangue di un’Italia ancora inesistente sulle mappe, ma viva nello spirito del popolo.
Quando il Paese si unificò, prosegue il documento, non si poteva certo ricorrere a criteri territoriali per stabilire chi fosse italiano. La cittadinanza fu dunque attribuita sulla base della storia familiare e della discendenza, come strumento di coesione nazionale. “Fu il sangue, la discendenza, la storia familiare a definire la cittadinanza. Ed è per questo che nacque lo ius sanguinis, come forma di riconoscimento del legame spirituale con la Patria.”
Analizzando il ruolo degli emigrati italiani e dei loro discendenti, il documento afferma che essi sono “i veri custodi dell’identità nazionale”. Milioni di italiani lasciarono la Penisola, spinti dalla povertà e dalle difficoltà politiche del periodo post-unitario, trovando accoglienza – in modo particolare – in Brasile.
Marcon sottolinea che i discendenti di questi emigranti “non hanno mai dimenticato le loro radici”, trasmettendo con orgoglio la lingua, la cultura e l’amore per la patria d’origine. Il testo ricorda inoltre che migliaia di italo-discendenti, pur nati all’estero, fecero ritorno volontario in Italia per combattere nella Prima Guerra Mondiale. Durante la Seconda Guerra, il Brasile avrebbe rinsaldato questo legame con un gesto eroico: “Fu la Força Expedicionária Brasileira (FEB), composta da valorosi soldati brasiliani, a combattere fianco a fianco con gli Alleati nella campagna d’Italia, distinguendosi nella presa di Monte Castello e in molte altre battaglie fondamentali per la liberazione del Paese.”
Il pronunciamento denuncia che il nuovo decreto non si limita a richiedere un requisito di residenza triennale sul territorio italiano. Il punto più allarmante, secondo il testo, è l’intenzione di limitare la trasmissione della cittadinanza italiana ai figli nati all’estero, anche se già cittadini fin dalla nascita. Una tale misura creerebbe, di fatto, due classi di italiani: quelli nati in patria e quelli nati fuori, negando l’uguaglianza tra i cittadini e tradendo il principio fondativo della nazione. “Si finirebbe così per dividere un popolo che ha lottato con coraggio per essere unificato.”
Oltre a rappresentare un errore storico e politico, sottolinea Marcon, la proposta presenta gravi profili di incostituzionalità. Il documento cita esplicitamente gli articoli 3, 10, 11 e 136 della Costituzione della Repubblica Italiana, osservando che la misura, introducendo distinzioni tra cittadini, rischia di violare il principio di uguaglianza, gli impegni internazionali assunti dall’Italia e i diritti acquisiti dei cittadini già riconosciuti. Viene inoltre richiamato il principio universale dell’irretroattività della legge: una norma – afferma il testo – non può privare un cittadino di un diritto già acquisito, e qualsiasi tentativo in tal senso costituirebbe una violazione diretta della certezza del diritto.
Alla luce di tali rischi, la dichiarazione lancia un appello al Parlamento italiano e alle autorità competenti affinché valutino attentamente l’impatto del decreto, nel pieno rispetto dei principi costituzionali di uguaglianza, unità e continuità storica. “L’Italia è una sola. E appartiene a tutti i suoi figli, ovunque essi si trovino”, conclude il documento firmato da Filippo Marcon.
La presa di posizione si aggiunge a una serie crescente di reazioni critiche sorte dopo la pubblicazione del Decreto Tajani, a testimonianza di una mobilitazione sempre più ampia della società civile, della diaspora e delle istituzioni impegnate nella salvaguardia della storia e dell’identità italiana.