Preparazione della cartellina con i documenti e le categorie professionali in Brasile
Cari lettori, andiamo avanti. Nell’ultimo numero, ho messo in evidenza alcuni casi di pubblica conoscenza che ci dimostrano chiaramente la necessità di cercare una qualche regolamentazione per il settore della prestazione dei servizi in multiple cittadinanze. Avrei potuto presentare oltre trenta casi, ma ho scelto quelli che considero più rappresentativi.
Dobbiamo tenere presente che la cosa che rende più difficile la regolamentazione del settore è la doppia nazionalità della prestazione dei servizi. Non ci possono essere dubbi sul fatto che, nei casi di richiesta di una seconda cittadinanza, necessariamente ci ritroveremo in mezzo a due giurisdizioni: quella di origine del richiedente e quella di destinazione della richiesta. Considerando l’extraterritorialità delle giurisdizioni contro la ricerca corporativa delle diverse classi professionali – in particolare gli avvocati – che hanno l’esclusiva, il compito diviene estremamente difficile.
Nel caso della cittadinanza italiana, c’è un’ulteriore aggravante: il fatto che, oggi, la più importante via per il riconoscimento sia diventata quella giudiziaria, esigendo che avvocati regolarmente iscritti in Italia svolgano il decisivo compito nel trattamento delle richieste che partono dal Brasile. Torneremo su questo tema nel prossimo numero.
È sempre bene ricordare che la via giudiziaria è una distorsione causata dall’incapacità dell’Amministrazione Pubblica italiana a trattare l’altissima domanda che, oggi, c’è all’estero. I processi amministrativi – ossia presentati presso Ambasciate e Consolati – sarebbero la regola. Così, in risposta alla progressivamente crescente domanda della via amministrativa, in Brasile, ancor prima che qualsiasi avvocato italiano avesse avuto almeno modo di sentir parlare di processi di riconoscimento della cittadinanza, sono sorte imprese che hanno fornito i servizi dagli anni ’90 in poi, da quando è stata promulgata l’attuale legge della cittadinanza (legge n. 91 del 1992).
La necessità di presentare, all’Amministrazione Pubblica italiana all’estero, la cartellina contenente le dovute traduzioni e legalizzazioni (di seguito, apostille), oltre a moduli, inizialmente in lingua italiana, correttamente compilati, senza dubbi richiede una prestazione di servizio da parte di traduttori certificati: da lì il pionierismo di questa classe di professionisti nella strutturazione di molte imprese specializzate in processi di riconoscimento.
Non è una forzatura concludere, come cosa essenziale, che insieme ai servizi di traduzione, la necessità dei richiedenti di contrattare, anche, l’organizzazione delle varie tappe, richieste e inoltri burocratici presso gli organi pubblici brasiliani – gli Uffici di Stato Civile – e italiani – i Consolati ed Ambasciate, servizi che, notoriamente, sono stati assorbiti dalle imprese di riconoscimento della cittadinanza, a volte fondate dai traduttori stessi o anche da persone senza una formazione o con una formazione ad essi correlata.
Non si è mai data la dovuta attenzione sull’assorbimento dei servizi di intermediari da parte di terze persone e imprese, in particolare da parte dei traduttori pubblici, forse per il fatto di considerare tali servizi come di mero corollario – o almeno connessi – allo stesso servizio di traduzione. Tuttavia, alla luce della regolamentazione dell’attività di fornitore di servizi nel nostro paese, Legge 14.282/2021, c’è da chiedersi se è dovuto o no l’assorbimento di questi servizi da parte della classe dei traduttori: o, come vedremo più sotto, da altre classi professionali o anche da imprese e persone che non siano intermediari documentali.
Benché sarà nel prossimo numero che verrà affrontata la classe degli avvocati, credo di poter anticipare qualcosa: credo che solo avvocati e/o uffici legali dovrebbero poter svolgere, senza problemi di ordine legale o etico, la prestazione di servizi di presentazione pratica presso gli organi pubblici brasiliani. Non verrebbero così discusse – come potrebbe succedere nel caso dei traduttori o di altre classi, imprese e persone – le competenze professionali degli avvocati per organizzare procedure e fare richieste, anche se professionisti di un altro ordine (gli intermediari documentali) siano organizzati per farlo.
Senza entrare nella questione dello scontro tra giurisdizioni e il corporativismo degli avvocati di qui e di là, lo scenario diviene più complesso al considerare altri fattori, come: i. la creazione di molte imprese di cittadinanza da parte di persone senza alcuna formazione o con formazione totalmente affine; ii. il fatto dei richiedenti richiedere non solo risposte meccanizzate da parte dei fornitori di servizi, ma, al contrario, vere consulenze specializzate – in gran parte di natura giuridica e III. la massificazione della prestazione dei servizi, con la moltiplicazione fuori controllo di fornitori di servizi che, molte volte nemmeno sono organizzati come imprese, che passano a terzi i servizi, seppur ciò sia esplicitamente proibito, tanto dalle leggi brasiliane come dalle leggi italiane.
Tutti i tre fattori di complessità sopra citati portano problemi gravi da risolvere in una futura regolamentazione del settore. Ovviamente potremmo dare una risposta semplice a tutti: dare l’esclusiva del procedimento all’avvocatura brasiliana – con l’ovvia eccezione delle traduzioni pubbliche – necessari per l’istruzione dei processi di riconoscimento, tanto quelli processati dinnanzi all’Amministrazione Pubblica italiana come quelli processati là.
Io, in particolare, sono contrario a questa soluzione semplicista – e per una questione di Giustizia. Imprese pioniere, trasparenti ed etiche sono nel mercato da molto tempo: e ancor prima che gli avvocati di qui scoprissero i grandi guadagni che si possono ottenere lavorando su questa “specialità”. Sarebbe incostituzionale una regolamentazione che sottraesse a queste antiche imprese – fondate da traduttori pubblici o anche da persone senza formazione o con formazione simile – la possibilità di proseguire con i loro affari. Però, dare a Cesare quello che è di Cesare è, senza dubbi, una misura di Giustizia, nel senso del vecchio detto giuridico: Suum cura tribuere (dare a ciascuno il suo, ndt). Ora, anche se si stesse parlando di imprese che meritino di poter operare sul mercato, atti propri dell’avvocato – come consiglieri e consulenti giuridici – non possono essere resi da imprese che non siano studi legali. Per questo credo sia imprescindibile che imprese di riconoscimento della cittadinanza siano almeno partner degli avvocati o di studi legali che possano, al loro posto, praticare atti propri della categoria.
Per quanto riguarda i servizi di intermediari, forse che si applichi la stessa logica. Credendo che la categoria degli avvocati sia l’unica ad espletare la regolamentata attività, l’assunzione degli avvocati o di studi legali brasiliani da parte delle imprese di cittadinanza, a mio parere, prenderebbe “due piccioni con una fava”. Pertanto, procedure e richieste – in particolare quelle che richiedono una delega – dinnanzi agli organi pubblici brasiliani, dovrebbero essere organizzate e processate da avvocati o studi legali. Con ciò non si vuole dire che intermediari documentali e le loro imprese non siano ugualmente in grado dal punto di vista legale; tuttavia, chi farebbe l’assistenza e la consulenza giuridica regolarmente richiesta? Non avrebbe senso per le imprese di cittadinanza aver bisogno di due partner distinti, potendone avere solo uno; ma, come sostengo in questo articolo, nulla impedirebbe che intermediari documentali potessero, loro stessi, costituire “imprese di cittadinanza” per lavorare specificatamente con la procedura burocratica che coinvolge tali richieste – a condizione che, ovviamente, rispettino le proibizioni alla pratica di atti propri degli avvocati.
Nel prossimo numero parleremo sulle battaglie di categoria tra avvocati, brasiliani e italiani, nel contesto dello shock di giurisdizioni – e come si potrebbe trovare una soluzione. A presto.