Perché bisogna regolamentare il settore della cittadinanza italiana (IV) Che fare in questo scenario senza regole?

Che fare in questo scenario senza regole?

Ancora oggi ho ricevuto una foto di un “franchising” in cittadinanza italiana. Un bel negozio, in un centro commerciale: un vero punto di raccolta di servizi legali per professionisti stranieri e senza alcun appoggio di avvocati brasiliani. In un altro giorno mi hanno inviato un annuncio che circola in un veicolo nell’entroterra di San Paolo: “vuoi diventare cittadino italiano? Scopri come!”.

La proibizione della commercializzazione del diritto è uno degli obiettivi primari della deontologia giuridico-professionale, ovunque nel mondo; e mi ha rattristato molto questa realtà con la cittadinanza italiana. Concludo gli articoli di questa serie difendendo l’obbligatorietà di partecipazione degli avvocati brasiliani in questo settore. Benché, in particolare, non creda che si possa o si debba far diventare questo genere di pratiche esclusive degli avvocati, difendo la necessità che le imprese di cittadinanza contrattino avvocati o si associno a uffici brasiliani, sempre al fine di proteggere le persone da deviazioni di natura etica.

PATROCINANDO SUA LEITURA

Credo, ancora, che tutti debbano rispettare un certo dovere di astensione alla propaganda; non voglio dire che non possano creare campagne di marketing digitale – almeno in un primo momento – ma che queste campagne dobbano essere in sintonia con il diritto di fondo che regge le imprese e i professionisti del settore. Così, fiere, sconti, rate, condizioni in generale, o, in altre parole, linguaggi vicini al “mercanteggiare” e della propaganda ordinaria devono essere sempre evitati.

Anche a questo rispetto, importante sottolineare che non ci sono, oggi, specialisti in cittadinanza. Così, sostenere un titolo inesistente, non solo non è etico ma è anche criminale. Anche coloro che hanno ottenuto titoli simili, come, per esempio, master o dottore in diritti di nazionalità o questioni migratorie, devono utilizzare i titoli di cui veramente sono titolari. Per questo, fino a che non ci saranno corsi specifici in “polipatria” o, in un modo più specifico, in cittadinanza italiana, deve essere vietato l’uso di questo “titolo”.

L’associazionismo, in uno scenario senza regole, deve essere la fonte delle norme per il settore, fino a quando non ci sarà un regolamento. Per questo motivo la creazione di un’associazione di imprese del ramo, di associazioni professionali, anche e specificatamente internazionali, in particolare nel caso degli avvocati brasiliani e italiani, e di commissioni vincolate a organi già esistenti, senza dubbi, è una misura impositiva. L’unica forma di discutere e produrre intese e regole che possano rendere più etica questa prestazione di servizi – anche modellando una futura ed eventuale regolamentazione – è associarsi, a vari livelli, da parte degli interessati; anzi, farlo prima che sia troppo tardi. È di primaria importanza che imprese e professionisti inizino ad associarsi, al fine di produrre regole che siano parametri comportamentali, tanto per i fornitori di servizi, come per i clienti.

Nello campo della formazione è necessario entrare nelle facoltà, università e altre istituzioni di istruzione superiore, qui e in Italia, cercando di fomentare l’emergere di discipline e corsi che, effettivamente, trattino accademicamente la materia. Benché sia diventata molto comune l’offerta di “corsi” di cittadinanza, non si tratta di vere formazioni accademiche – nella maggior parte delle volte, solo una fonte di reddito in più per i “professori” ed un modo meticoloso di creare nuovi consulenti in Brasile. Rendere accademica tali discussioni sulla cittadinanza italiana o, più genericamente, sul fenomeno della “polipatria”, nelle sue più svariate sfaccettature, è il percorso affinché siano sedimentati veri – e validi – corsi di formazione nel settore.

Infine, anche in questo scenario senza regole, spetta a ciascuno fare (o non fare) quello che la legge richiede (o non consente). Le imprese hanno sempre bisogno di registri attivi e validi; pratiche private non possono essere svolte da chi non possiede i titoli e le competenze necessarie; le tasse devono essere pagate; i diritti dei consumatori devono essere sempre rispettati; classi professionali ben stabilite devono essere considerate e rispettate – e negli ultimi due casi, anche a livello internazionale. Ossia: anche se il settore non ha una regolamentazione propria, c’è molto da fare e molto che “non si deve fare”. L’assenza di regolamentazioni specifiche non può mai giustificare quello che abbiamo visto verificarsi nel “mondo della cittadinanza”. Ai contraenti, gli stessi consigli di sempre: aprite gli occhi, fuggite dall’ovvio e dalle facili promesse; scegliete bene i vostri fornitori di servizi, selezionandoli per i giusti motivi al fine di non dover piangere in seguito.

Al prossimo numero! Arrivederci!