Su richiesta della Prima Sezione, le Sezioni Unite della Corte Suprema (Cassazione) potrebbero giudicare, forse già quest’anno, una controversia relativa alla cittadinanza italiana iure sanguinis. In discussione, la perdita automatica della cittadinanza italiana da parte dei figli minori di emigranti — proprio una delle situazioni colpite dalle nuove e controverse disposizioni della Legge n. 74/2025, che ha convertito il cosiddetto Decreto Tajani, o “Decreto della Vergogna”.
Per la seconda volta dalla storica sentenza del 2009 che ha riconosciuto il diritto alla cittadinanza italiana trasmessa per via materna, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione potrebbero tornare a pronunciarsi sul riconoscimento della cittadinanza iure sanguinis. La questione è stata trasmessa dalla Prima Sezione alla Presidenza della Corte, che deciderà se attribuirla all’esame delle Sezioni Unite, massimo organo deputato all’uniformità della giurisprudenza italiana.
La notizia è stata comunicata dall’avvocato Marco Mellone, patrocinatore delle due cause che hanno originato la richiesta, riguardanti una famiglia statunitense. In una nota inviata alla Rivista Insieme, Mellone afferma che “la cittadinanza italiana iure sanguinis torna alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione”, lasciando intendere che la questione potrebbe essere esaminata in udienza plenaria già nel corso del 2025 — benché non sia ancora stata annunciata una data ufficiale.
Il nuovo giudizio riguarda l’applicazione dell’articolo 12, secondo comma, dell’antica Legge n. 555 del 1912, che tratta della perdita della cittadinanza italiana da parte dei figli minori quando uno dei genitori acquisisce una diversa cittadinanza. “Parliamo – spiega Mellone – del caso dell’emigrante italiano che ha acquisito la cittadinanza brasiliana mentre il figlio, nato in Brasile e cittadino brasiliano dalla nascita, era ancora minorenne (21 anni fino al 1975).”
Le due decisioni interlocutorie (qui e qui i file in PDF), pubblicate dalla Prima Sezione Civile della Suprema Corte tre giorni fa (il 18 luglio 2025), riconoscono esplicitamente l’esistenza di un contrasto interpretativo e chiedono alla Presidenza della Corte di valutare il rinvio della questione alle Sezioni Unite, secondo quanto richiesto dal Pubblico Ministero e dagli stessi ricorrenti.
“È una notizia rilevante, poiché riguarda un numero enorme di discendenti di emigrati italiani (principalmente negli Stati Uniti, ma anche in Argentina e in altri Paesi) che hanno dovuto acquisire la cittadinanza del Paese di emigrazione per poter lavorare,” dichiara Mellone. “Il numero dei potenziali interessati da questa futura sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione è molto più alto rispetto a quello dei discendenti coinvolti nel caso della ‘grande naturalizzazione brasiliana’.”
Secondo il giurista, il rilievo del giudizio dipende anche dal fatto che la Suprema Corte si era già espressa in maniera univoca contro il riconoscimento della cittadinanza in questi casi — e ora potrebbe cambiare orientamento. “Raramente la Suprema Corte cambia idea dopo diverse sentenze univoche sullo stesso tema,” osserva Mellone.
Uno degli aspetti più delicati, secondo l’avvocato, è che entrambe le decisioni menzionano esplicitamente la nuova Legge n. 74 del 2025, che ha convertito in legge il Decreto-Legge n. 36 del 2025 — misura soprannominata “Decreto della Vergogna”. La Cassazione intravede la possibilità che le nuove regole possano essere applicate anche a procedimenti ancora pendenti, precedenti all’entrata in vigore della norma. “Anche la Corte Suprema solleva dubbi sull’applicabilità delle nuove regole ai casi già pendenti prima dell’entrata in vigore del ‘Decreto Tajani’ e chiede che la questione venga discussa dalle Sezioni Unite,” sottolinea l’avvocato.
“È una ulteriore conferma della necessità che la Corte Costituzionale si pronunci quanto prima sull’applicabilità della nuova legge ai casi anteriori alla sua entrata in vigore e, soprattutto, sulla sua incostituzionalità,” conclude Mellone.

Nei due procedimenti, i tribunali inferiori avevano negato il riconoscimento della cittadinanza a discendenti di italiani il cui padre (nato negli Stati Uniti rispettivamente nel 1931 e nel 1933) avrebbe perso la cittadinanza italiana durante la minore età, a causa della naturalizzazione della madre — emigrata italiana — negli anni ’40. Entrambe le sentenze ora impugnate si basavano sulla tesi secondo cui la perdita della cittadinanza del genitore si estenderebbe automaticamente al figlio minorenne, anche se questi avesse già acquisito la nuova cittadinanza iure soli alla nascita.
Il nodo interpretativo ruota ora attorno al verbo “acquisire” utilizzato nell’articolo 12, che secondo Mellone e i ricorrenti non può essere inteso come “possedere già dalla nascita”. Le decisioni riconoscono che tale interpretazione solleva un legittimo e profondo dubbio sulla correttezza della linea finora dominante nella giurisprudenza italiana.
I giudici ricordano inoltre che, nel corso dei decenni, lo stesso Ministero dell’Interno — attraverso circolari come la K.28.1 del 1991 e la Circolare n. 9 del 2011 — ha riconosciuto la validità della doppia cittadinanza per nascita e la non applicabilità dell’articolo 12 in questi casi.
Marco Mellone osserva che l’udienza potrebbe svolgersi ancora nel 2025, ma precisa che la convocazione dipenderà dalla decisione della Presidenza della Corte di Cassazione. Ricorda che le ultime occasioni in cui le Sezioni Unite hanno esaminato questioni di cittadinanza sono state nel 2009 (cittadinanza per via materna) e nel 2022 (grande naturalizzazione). E conclude: “Le decisioni delle Sezioni Unite sono quasi sempre seguite da tutti i giudici nazionali e possono indurre anche il Ministero dell’Interno a modificare la circolare n. 43347 del 3 ottobre 2024.”