Trentini, gli italiani (sempre) dimenticati: un’ingiustizia storica che si ripete

AVVERTENZA: Il testo fa parte dell’intervento dell’autore durante la conferenza dei Consulenti della Provincia Autonoma di Trento, svoltasi nel pomeriggio di oggi (07/10/2025) a Rio dos Cedros-SC (la cui diretta è stata vietata dagli organizzatori)


La cittadinanza italiana è sempre stata motivo di orgoglio, identità e appartenenza per milioni di discendenti di italiani sparsi in tutto il mondo. Tuttavia, per le persone “nate e già residenti nei territori appartenenti all’Impero Austro-Ungarico e i loro discendenti” – territori passati poi al Regno d’Italia all’inizio del XX secolo – questo processo di riconoscimento della cittadinanza italiana non è mai stato semplice. Dalla fine della Prima Guerra Mondiale fino ai giorni nostri, la lotta per il riconoscimento dello status civitatis italiano da parte degli ex sudditi austro-ungarici e dei loro discendenti è stata segnata da lacune giuridiche, omissioni politiche e, soprattutto, esclusioni. L’ultima di queste si è consolidata con la Legge n. 74/2025, frutto del cosiddetto “Decreto della vergogna”, che ha modificato drasticamente il regime di trasmissione della cittadinanza italiana previsto dalla Legge n. 91/1992 e dai precedenti, lasciando – ancora una volta – fuori gli austro-ungarici.

 Anzitutto, occorre precisare che i termini “trentini” o “tirolesi” sono i più comunemente usati per designare i destinatari della Legge n. 379/2000, che ha introdotto la possibilità di riconoscere la cittadinanza italiana agli immigrati austro-ungarici e ai loro discendenti. In realtà, la legge si applica ai trentini/tirolesi dell’attuale regione del Trentino-Alto Adige, ma anche agli immigrati e discendenti di coloro nati e già residenti nell’ex provincia italiana di Fiume, Gorizia, Pola, Zara e in alcuni comuni di Trieste, così come in territori che attualmente non appartengono più all’Italia, in virtù del Trattato di Osimo del 10/11/1975.

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 È altresì importante chiarire che, mentre la legge in questione parla di persone nate e già residenti nel territorio austro-ungarico, è stata la circolare K.78 del Ministero dell’Interno italiano, datata 19/02/2001, a regolamentare e a elencare i documenti richiesti ai richiedenti la cittadinanza italiana all’epoca della presentazione della domanda presso l’autorità amministrativa competente. Tra questi documenti figuravano attestati di appartenenza a circoli o altra documentazione idonea a comprovare l’appartenenza al gruppo etnico-linguistico italiano. Un trattamento speciale nell’analisi delle richieste fu stabilito anche dalla circolare K.60.1 del 22/05/2006, che istituì una Commissione interministeriale a Roma per l’analisi delle domande e dei documenti correlati.

 Diversamente da altri emigranti italiani, gli austro-ungarici con comprovato legame etnico-linguistico italiano non erano sudditi italiani al momento della loro emigrazione tra il 1867 e il 1919, periodo in cui quei territori appartenevano all’Impero Austro-Ungarico. I trentini/tirolesi, dunque, non furono mai cittadini italiani in senso proprio, anche perché l’Italia si unificò nel 1861 e l’attuale regione del Trentino-Alto Adige non è considerata una regione preunitaria dal punto di vista storico. Le spedizioni di Garibaldi e Anita non riuscirono ad annettere tale regione al neonato Regno d’Italia. Solo con l’entrata in vigore del Trattato di Saint-Germain-en-Laye (16/07/1920), coloro che rimasero residenti in quei territori furono formalmente riconosciuti come cittadini italiani.

 D’altro canto, i residenti che erano emigrati da quei territori dovettero rinunciare formalmente alla sudditanza austriaca al momento dell’emigrazione e non poterono nemmeno beneficiare del passaggio automatico della cittadinanza. Inoltre, essendo privi di accesso alle informazioni e lontani dalle autorità consolari italiane, quasi la totalità di quegli immigrati non esercitò il diritto di opzione previsto dall’articolo 78 del Trattato di Saint-Germain-en-Laye. Di conseguenza, migliaia di famiglie tirolesi rimasero in stato di apolidia per decenni. In Brasile, ad esempio, all’inizio del secolo scorso l’Ambasciata del Regno d’Italia era situata a Rio de Janeiro, capitale dell’allora Regno del Brasile, mentre gli immigrati tirolesi si stabilirono nelle foreste brasiliane a Rodeio, Nova Trento e Rio dos Cedros, nello stato di Santa Catarina, a circa 1.000 chilometri dalla capitale. Praticamente tutti quegli immigrati morirono apolidi.

 Ottant’anni dopo, solo nel 2000, grazie alla mobilitazione della comunità trentina internazionale, in particolare guidata dall’Associazione Trentini nel Mondo, il Parlamento italiano approvò la Legge n. 379/2000. I destinatari della norma erano gli immigrati nati e già residenti in quei territori austro-ungarici e i loro discendenti, che potevano finalmente optare per la cittadinanza italiana davanti all’autorità competente per il loro luogo di residenza, nel periodo compreso tra il 2000 e il 2005 e, dopo la proroga della Legge n. 51/2006, dal 2006 fino al 16/12/2010.

 Queste leggi hanno permesso agli immigrati austro-ungarici di etnia italiana e ai loro discendenti di richiedere la cittadinanza italiana attraverso una dichiarazione formale di volontà – il cosiddetto atto di cittadinanza – equiparato al diritto previsto all’art. 70 del Trattato del 1920 per coloro che sono rimasti nei territori dell’ex Impero Austro-Ungarico. Fu un progresso significativo, ma limitato: il riconoscimento non avveniva per l’ius sanguinis (diritto di filiazione, in vigore in Italia dal 1865), ma come concessione legale, con effetti ex nunc (cioè a partire dalla firma del giuramento). In altre parole, i discendenti divennero italiani a partire dalla data dell’atto di cittadinanza, e non dalla nascita, come avviene con gli italiani iure sanguinis, i cui effetti sono ex tunc (fin dalla nascita). In Brasile, la competenza per la ricezione delle domande spettava all’autorità consolare italiana.

 Un dettaglio importante: già nel 2001, la fila d’attesa dei discendenti di immigrati italiani per il riconoscimento della cittadinanza italiana presso la rete consolare in Brasile era di circa 15-20 anni. Fu quindi imprescindibile, all’epoca, il supporto amministrativo offerto ai consolati dai numerosi circoli trentini presenti in Brasile, con particolare rilievo al Circolo Trentino di Curitiba, che centralizzò tutte le domande della circoscrizione consolare del Paraná e di Santa Catarina e sviluppò il modus operandi dei cosiddetti “giuramenti”, applicato poi anche nelle altre circoscrizioni consolari, come vere e proprie cerimonie civiche collettive per la firma degli atti di cittadinanza, raccolti nei cosiddetti “libri consolari”.

 Durante il periodo di validità della legge, dal 2000 al 2010, si stima che siano stati realizzati circa 3.500 pratiche grazie all’attività dei circoli trentini in Brasile, con una media di 10-15 persone adulte ogni pratica. Solo nella circoscrizione consolare del Paraná e Santa Catarina, furono firmate esattamente 14.066 opzioni di cittadinanza. Nella circoscrizione del Rio Grande do Sul, furono 6.550; in quella di Rio de Janeiro, altri 7.000; a San Paolo, altri 5.000, per un totale di circa 32.616 richieste, senza contare i minori, stimati a circa un terzo di tutte le domande. Si sa che questo numero rappresenta oltre il 60% di tutti i processi della Commissione interministeriale di Roma, a livello mondiale.

 Nonostante questi numeri impressionanti e l’eccellente organizzazione dei circoli trentini, i tempi per la conclusione delle richieste purtroppo superarono i 10 anni di attesa per la Commissione a Roma, oltre ad un ulteriore blocco presso i consolati italiani che non riuscirono a concludere i processi e a informare i richiedenti che i loro procedimenti erano già stati analizzati. Vi sono casi in cui, ancora nel 2020, i processi non erano stati inviati alla Commissione o erano già rientrati dal 2012 ma i richiedenti non erano stati contattati per l’iscrizione all’AIRE.

 E vi sono molte altre situazioni di cui ancora oggi non si conoscono i dettagli.

 E in mezzo a tutto questo, emerge un nuovo tipo di esclusione nei confronti dei discendenti trentini. Approvata dal Parlamento italiano nel maggio del 2025, la Legge n. 74/2025 – derivata dal Decreto-Legge n. 36/2025, voluto dal ministro Antonio Tajani – ha ristretto la trasmissione della cittadinanza italiana unicamente ai discendenti di coloro che sono già cittadini iure sanguinis e, inoltre, ha fissato il termine del 31/05/2026 per la registrazione presso i consolati dei figli minorenni dei cittadini italiani. In pratica, ciò significa che i trentini che hanno ottenuto la cittadinanza tramite la Legge 379/2000 e la sua proroga, poiché non sono cittadini italiani iure sanguinis secondo quanto ora prevede la legge, non possono più trasmettere la cittadinanza ai propri figli minorenni. In altre parole, la nuova legge non fa alcun riferimento agli austro-ungarici, creando così un limbo, una lacuna normativa che ignora completamente tutto il trattamento speciale che per decenni è stato riconosciuto agli immigrati nati e già residenti nei territori dell’Impero Austro-Ungarico e ai loro discendenti.

 In questo scenario di “italiani dimenticati” dalla Repubblica Italiana, emergono 4 (quattro) casi drammatici nei quali si trovano oggi i discendenti degli immigrati austro-ungarici:

 1º caso – Richiedenti tramite la Legge 379/2000 il cui processo non è stato ancora concluso dal consolato, ovvero, che non sono stati formalmente informati di essere cittadini italiani, ma che, tra il momento della firma dell’atto di cittadinanza (fino al 2010) ed oggi, si sono sposati e hanno avuto figli, ma non possono iscriversi all’AIRE né registrare i loro figli entro il termine fissato dalla Legge 74/2025;

 2º caso – Richiedenti già riconosciuti e iscritti all’AIRE, ma che non hanno registrato i propri figli minorenni nati prima dell’entrata in vigore della nuova legge;

 3º caso – Richiedenti già riconosciuti e iscritti all’AIRE, i cui figli sono nati dopo l’entrata in vigore della nuova legge;

 4º caso – Tutti coloro che desiderano avere altri figli.

 Purtroppo, la Legge n. 74/2025 non copre nessuno di questi casi, poiché nel suo testo si limita ad attribuire la cittadinanza italiana solo per ius sanguinis (con effetto ex tunc) e non menziona minimamente coloro la cui cittadinanza è stata riconosciuta tramite il beneficio della Legge 379/2000 e della Legge 51/2006 (con effetto ex nunc).

 Tuttavia, l’interpretazione che dovrebbe essere data in via amministrativa per i casi 1º e 2º, è che a tutti i figli nati prima della data dell’atto di cittadinanza si applichi l’art. 14 della Legge 91/1992, che stabilisce che i figli minorenni di chi acquista la cittadinanza italiana acquisiscono anch’essi la cittadinanza se convivono con il genitore. A tutti i figli nati dopo la firma dell’atto di cittadinanza, invece, dovrebbe applicarsi il principio dello ius sanguinis previsto all’art. 1 della stessa Legge 91/1992, poiché nati da cittadini italiani. In questo senso, i consolati non dovrebbero interpretare diversamente, né impedire la presentazione delle domande da parte di chi ha origine trentina.

 Qualsiasi impedimento da parte delle autorità consolari al riconoscimento della cittadinanza per queste persone potrebbe essere oggetto di un’azione giudiziaria direttamente in Italia. Ciò creerebbe un nuovo blocco burocratico per i trentini, costretti a intraprendere un lungo percorso giudiziario.

 Nei casi 3º e 4º, poiché la Legge 74/2025 non menziona affatto i trentini riconosciuti cittadini italiani tramite le Leggi 379/2000 e 51/2006, si verifica una esclusione oggettiva di una categoria di cittadini voluta dal legislatore del passato, ma che oggi si ritrova nuovamente in un limbo giuridico. E allora si configura un paradosso crudele, creato proprio dal “Decreto della vergogna”:

  • Ai discendenti di immigrati italiani provenienti da altre regioni italiane, la cittadinanza continua a essere trasmessa per iure sanguinis, con effetti retroattivi (ex tunc), ma con un termine per la presentazione delle domande fissato al 31/05/2026;
  • Per i trentini con processo in corso o cittadinanza già riconosciuta, nonostante decenni di lotta e una parziale riparazione storica, la cittadinanza italiana rimane restrittiva, fragile e ora senza effetti generazionali;
  • E senza contare tutti coloro che non riuscirono a presentare la domanda entro il termine di validità della Legge 379/2000, una situazione estremamente ingiusta che dovrebbe essere riaperta senza alcun limite temporale.

Queste distinzioni generano una discriminazione interna tra cittadini italiani, in violazione dei principi fondamentali dello stesso Ordinamento italiano, oltre che del diritto europeo e internazionale.

In conclusione, si deve dire che la questione della non applicazione della Legge 74/2025 ai nati prima della sua entrata in vigore è già arrivata alla Corte Costituzionale italiana, ma è fondamentale sottolineare che fino a oggi non è stata fatta alcuna menzione specifica ai trentini. Di fronte a ciò, rimangono solo alcune strade possibili affinché i trentini possano continuare a trasmettere la cittadinanza italiana ai propri figli:

  1. Aspettare pazientemente e passivamente una Sentenza della Corte Costituzionale italiana che dichiari l’illegittimità costituzionale dell’intera Legge 74/2025, ipotesi nella quale si tornerebbe al regime della Legge 91/1992 e, di conseguenza, alla possibilità per i trentini già riconosciuti cittadini italiani di trasmettere la cittadinanza ai propri discendenti;
  1. Promuovere azioni giudiziarie collettive o cumulative presso il TAR (Tribunale Amministrativo Regionale), affinché molti trentini con figli minorenni possano presentare la documentazione ai consolati anche dopo il termine previsto; sebbene, nel contesto attuale, queste alternative sembrino di efficacia limitata e non immediata;
  1. Intraprendere immediatamente, con massima urgenza, un’azione giudiziaria singola presso il Tribunale Civile di Trento, accompagnata da una forte mobilitazione politica delle associazioni e della stessa Provincia Autonoma, per ottenere una Ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale italiana. Questa iniziativa permetterebbe di portare finalmente la questione dei trentini dimenticati all’interno dei procedimenti già in corso, che stanno discutendo la legittimità della legge voluta dal Ministro Tajani. In tal modo, già nella prossima pronuncia della Corte, si potrebbe garantire anche ai trentini la possibilità di continuare a trasmettere la cittadinanza italiana.

Cari trentini, come ha ben detto il Ministro Tajani, “la cittadinanza italiana è una cosa seria”, ma la serietà non può essere confusa con l’arbitrarietà o l’esclusione. Per i trentini, essa rappresenta molto più di un documento: è il riconoscimento di una storia segnata da spostamenti forzati, da lacune giuridiche e da una lunga attesa di riparazione civica. La cittadinanza è appartenenza, è identità. Proprio perché così seria, con tutto il rispetto, nemmeno un ministro dovrebbe avere il coraggio di ignorarla, o di dimenticare gli austro-ungarici morti apolidi e i loro discendenti.

La Legge n. 74/2025 rischia di cancellare questo senso di appartenenza. Se nel 2000 abbiamo conquistato un diritto storico, nel 2025 non possiamo accettare che venga nuovamente negato. Il cammino potrà essere lungo, ma la mobilitazione politica e giudiziaria sarà fondamentale per difendere il diritto dei trentini alla continuità della cittadinanza italiana. E questa lotta, ancora una volta, sarà anche una lotta per memoria e giustizia storica.

Ora più che mai, la comunità internazionale trentina unita – associazioni, circoli trentini, Associazione Trentini nel Mondo, Unione delle famiglie trentine, Provincia Autonoma di Trento, rappresentanti politici di destra e di sinistratutti questi attori devono unirsi attorno a un’unica causa: la continuità dell’appartenenza civica e, magari, la rimozione delle barriere legislative e delle scadenze per la presentazione di nuove opzioni per la cittadinanza italiana da parte dei residenti trentini che non hanno potuto farne richiesta fino al 2010. La lotta non è solo legale, ma soprattutto politica e storica alla continuità della trentinità all’estero. Grazie.