u SAN PAOLO – SP – ‘indagine conoscitiva della Commisssione Affari Costituzionali del Senato, giunta il 28 dello scorso mese, le cui impressioni e suggerimenti riferirà al Parlamento ed al governo, ha portato un gruppo di senatori in giro per il mondo in visita alle comunità italiane.
Nella riunione, nella residenza consolare a San Paolo, con i rappresentanti della comunità, è apparso chiaro che i politici italiani sono terrorizzati dal fatto che 18 dei “loro” devono far posto a 18 dei “nostri”, e da questa nuova realtà che si affaccia sullo spettro della politica in Italia.
Oltre al loro indiscusso interesse affinché le liste elettorali tra AIRE e consolati siano attualizzate e che i rappresentanti eletti all’estero abbiano un sostanziale numero di voti, che il cittadino sia informato a tempo, è apparsa però chiara la loro preoccupazione perché i nuovi arrivati voteranno il bilancio dello Stato, decideranno sulle tasse, ossia decideranno dove andranno a finire i soldi del contribuente italiano ed uno di loro un giorno potrà diventare primo ministro oppure presidente della repubblica. Ora, noi residenti all’estero, non paghiamo tasse in Italia a meno che non avessimo delle proprietà o degli interessi sul posto, ma ne abbiamo pagate moltissime alimentando l’economia italiana con le rimesse che da più di un secolo si incanalano nella penisola, e ne paghiamo oggi comperando automobili FIAT, pneumatici Pirelli, cellulari TIM, anche se fabbricati qui, e consumando pasta, vino, olio ed altro prodotti che vengono direttamente dall’Italia.
È rimasto chiaro il pensiero di alcuni senatori, che sono sicuro si saranno scervellati per trovare una formula per far pagare tasse a chi ha il dititto di voto all’estero, solo che questa formula non l’hanno ancora trovata, non credo che la troveranno facilmente.
Citare la frase – non chiedere quello che il Paese può fare per te, ma quello che tu puoi fare per il Paese – del presidente Kennedy – è stato fuori luogo, perché noi per la Patria abbiamo dato il sangue dei nostri nonni, padri e fratelli che sono morti in guerra, abbiamo ceduto il nostro posto di lavoro a chi è rimasto in Italia, abbiamo contribuito e stiamo contribuendo per l’espansione dell’italianità, della sua cultura, dei suoi prodotti, senza di cui l’Italia, paese campanilista, sarebbe ancor più isolata dallo scandire delle campane della globalizzazione
Questi senatori non hanno ancor capito che l’Italia è diventata un paese asfittico, rinchiusa nel suo guscio fiscale-politico-teocratico, che ha bisogno di aria nuova, di aprirsi al mondo, ma non solo come vogliono loro ma con un intendimento con l’Italia che vive fuori d’Italia e siamo ben 60 milioni, anche se per ora con i conosciuti ritagli del Ministero degli interni proporzionalmente saremo ben pochi ad andare al voto
I senatori sono anche preoccupati, ma direi, più che altro occupati con le cittadinanze, con ciò che il cittadino fa e farà con questo diritto e vogliono modificare la legge limitandone l’accesso, così come i vari decreti, regole, ripensamenti, disposizioni, provvedimenti, deliberazioni, norme, indirizzi, direttivi, orientamenti del Ministero degli Interni, che ha creato un terreno minato che ha trasformato la legge in un colabrodo il cui brodo pieno di cartaccia fa solo perdere tempo al personale dei consolati e soldi a chi ha questo diritto ed è totalmente fuori sintonia e contro lo spirito di tale legge, promulgata da un Parlamento saggio e lungimirante, ora però gli attuali legislatori vogliono fare una legge “taylor made” che serva ai loro scopi ed interessi. I politici ed i burocrati italiani hanno sempre voluto limitare, se non calpestare i diritti dei cittadini: diciamo chiaro che il cittadino deve disporre dei suoi diritti a suo bel piacere e che questi diritti non possono essere limitati o calpestati da chi che sia.
Mettere sul tavolo – che la cittadinanza deve essere concessa – solo a coloro che parlano la lingua italiana, è un’altro assurdo perché non dobbiamo scordarci che chi è emigrato alla fine del secolo XIX secolo in generale non parlava l’italiano ma sì il veneto, il calabrese, il piemontese, il siciliano e cosi via. Fino al 1945 nelle campagne venete si parlava quella lingua, solo nelle città medie e grandi si parlava un italiano mischiato al dialetto, negli Stati del Sud Paraná, Santa Catarina e Rio Grande do Sul, con prevalenza di emigranti veneti è sorta un’altra lingua il “Talian” lingua veneta con un po’ di portoghese, nella II guerra mondiale in Brasile era proibito parlate l’italiano e credo che lo fosse anche nei paesi a cui l’Italia aveva dichiarato lo stato di belligeranza, pretendere ora che i discendenti, per legge, debbano parlare l’italiano è fuori tempo e luogo.
Però il pericolo ora c’è ed è che la legge che ha istituito lo “jus sanguinis” sia modificata in peggio da questo Parlamento.
La creazione di uno spazio sempre più grande di intendimento, il processo di assimilazione del rinnovato cittadino italiano all’estero, è un lungo processo che si estenderà per generazioni, così come è stata la sua assimilazione nei nuovi Stati di residenza e non avverrà per decrelo, legge, o volontà di alcuni senatori o deputati.
Hanno fatto parte della comitiva i senatori Andrea Pastore, Massimo Villone, Antonio Del Pennino, Luciano Falcier, Graziano Maffioli, Pierluigi Petrini, Piergiorgio Stiffoni e Sauro Turroni.