u CURITIBA-PR – Da più parti, da ultimo dal G20, si invocano nuove regole per i mercati finanziari, perché la crisi che viviamo è globale.
Alcuni Paesi, tra cui l’Italia e gli stati Uniti, sono già in recessione tecnica con una crisi spaventosa del settore automobilistico che impiega centinaia di migliaia di lavoratori.
Sarebbe, però, un errore se si affrontasse soltanto il problema delle regole e non contestualmente si avesse una contestuale strategia, una comune visione di un nuovo modello di sviluppo mondiale.
Un modello più giusto per le popolazioni e più equilibrato tra i vari continenti che compongono il nostro pianeta.
Personalmente ritengo che questa debba essere l’ambizione cui finalizzare gli incontri e i lavori del G20.
Il Neo -Presidente degli Stati Uniti parla di un nuovo modello di sviluppo, di una nuova civiltà.
Naturalmente si può essere d’accordo nella misura in cui esso non riguardi solo gli Stati Uniti d’America. Cosa del resto impossibile in un mondo globalizzato.
È certo, comunque, e sarebbe sbagliato se, una volta superata la crisi, si tornasse allo status quo ante e cioè ad un assetto mondiale profondamente squilibrato ed ingiusto che oltre all’esistenza di larghe fasce di povertà distrugge molte risorse ambientali e genera focolai di guerra.
La crisi che come uno tsunami ha investito i mercati finanziari riguarda tutti i Paesi e purtroppo non sarà di breve durata.
Nessuno è in grado di quantificarne la portata, ma gli effetti devastanti sull’economia reale, sull’occupazione, sulle imprese, sui redditi delle famiglie e sulla qualità della loro vita sono già pesanti e diffusi, dagli USA all’Europa, alla Cina e, ritengo di non sbagliare se aggiungo i Paesi del Mercosul.
Non vi sono soltanto i mutui sub prime, ma anche gli hedge funds, i derivati, gli O.T.C. e le stesse carte di debito.
A fine dicembre 2007 i soli derivati contrattati sui mercati ammontavano a ottantamila miliardi di dollari; una cifra ben superiore ai cinquantaseimilasettecento miliardi di dollari che costituiscono il Pil mondiale del 2008.
Una cifra che è quasi cinque volte quella del Pil dell’Europa e trenta volte quella del Pil Mercosul.
Sono dati che devono far riflettere ogni governante responsabile e gli stessi economisti.
Probabilmente nell’ultimo decennio si sarebbe potuto intervenire se si fosse dato ascolto a quei pochi studiosi ed economisti che avvertivano e denunciavano il rischio di una crisi finanziaria globale.
In Italia, dopo il crac della Parmalat, la nota multinazionale che operava anche in Brasile e che determinò un buco di ben quattordici miliardi di euro, da Parlamentare presentai una mozione che impegnava il Governo ad attivarsi per promuovere una Conferenza internazionale dei Capi di Governo al fine di definire una più giusta architettura finanziaria ed evitare il ripetersi di crac e bolle speculative.
Richiamavo le vicende del fondo LTCM e della Henron negli USA e quella dei Bond Argentini.
Dall’insieme di dette vicende emergevano già i segnali di una crisi profonda del sistema bancario- finanziario, di una crisi che superava i circuiti delle borse e toccava profondamente il mondo delle produzioni e la vita reale dei cittadini, i loro risparmi ed il loro lavoro.
Nel dibattito parlamentare emersero con nettezza relativamente al crac Parmalat le responsabilità del sistema bancario oltre che dei managers, dei consulenti e delle agenzie di rating.
Si comprese come gli effetti del default di una singola società multinazionale o di uno Stato, come l’Argentina, erano tali da richiedere regole e controlli comuni, non a livello di singolo Paese ma a livello internazionale.
Né l’Italia né l’Europa da sole possono garantire trasparenza ed efficienza ai mercati né tanto meno controlli incisi.
Occorrono regole condivise ed efficaci per le operazioni finanziarie che oggettivamente travalicano i confini nazionali, che inquinano le economie reali, impoveriscono i vari Paesi e spesso violano il principio di legalità ricorrendo, ai paradisi fiscali, utilizzando e riciclando risorse rivenienti da attività illecite.
Il Brasile, per il ruolo che ha nel Mercosul e nel G20, può svolgere una funzione importante quanto l’Europa.
Occorre avere, però, la consapevolezza che i problemi posti dall’attuale crisi, al di là delle misure emergenziali adottate negli Stati Uniti, nell’Europa ed in Cina, richiedono un approccio multidisciplinare che guardi non solo alla finanza, ma anche, e soprattutto, all’economia reale, alla cooperazione, ai diritti e alla sicurezza.
Bisognerà prendere atto dei limiti delle attuali Istituzioni internazionali a partire dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale.
Tali istituzioni dovrebbero finalizzare le proprie attività alla stabilità dei mercati finanziari ma anche alla crescita economica e soprattutto ad uno sviluppo ecocompatibile. Per i Paesi poveri anche più celere!
Se vero è che il Presidente eletto degli Stati Uniti d’America, nel suo primo intervento, ha detto che “la crisi economica degli USA è la più grave della nostra vita”, evidentemente anche nel più grande e sviluppato Paese del cosiddetto mondo occidentale si comincia ad avere la consapevolezza che il debito pubblico americano (passato in pochi anni da 5.678.648.844.656 a 10.566.146.196.490) non può essere ulteriormente scaricato né sulle economie degli altri Paesi né sulle future generazioni.
Gli Stati pertanto devono porre un limite alla finanziarizzazione selvaggia così come devono porre ordine nei loro conti pubblici.
Il credito e la finanza, come si ipotizzò nel
Bisogna ritornare alla tensione e allo spirito di crescita che stava alla base del sistema sorto a Bretton Woods, che avrebbe dovuto portare al superamento del colonialismo e a debellare la miseria ed il sottosviluppo.
Molto è stato fatto, anche se a volte in maniera distorta.
Il benessere di molti popoli è sicuramente aumentato. Ma, a distanza di sessant’anni da Bretton Woods, purtroppo, in molte parti del pianeta vi sono ancora miseria, epidemie e guerre.
Nessuno di noi mette in discussione il libero mercato, ma il diffondersi della cosiddetta economia di carta non può continuare a penalizzare quella reale.
Gli sconvolgimenti e gli squilibri che vi sono nella finanza e nella economia mondiale rendono urgenti i lavori del G20.
Mi auguro che si avvii una profonda e seria riflessione critica e si definisca un nuovo complesso di regole per il sistema monetario e finanziario, ma anche per il commercio e per l’ambiente.
In quella sede il Mercosul, l’Europa,
Comunque al centro delle scelte, che si andranno a compiere, occorre mettere non i banchieri e i finanzieri che spesso sono una superclass senza vincoli e senza preoccupazioni né nazionali né sociali, ma l’uomo, le sue attività, il suo ingegno, le sue necessità e i suoi diritti.
Questo è il new deal che noi riteniamo necessario per l’oggi e per il domani dell’intera umanità.