u ROMA – ITALIA – Brasile tra il 1945 ed il 2000 con particlare riferimento ai rapporti tra politica estera e politica interna

 

PATROCINANDO SUA LEITURA

CAPITOLO IV

I PROBLEMI FONDAMENTALI DELLO SVILUPPO BRASILIANO DAL SECONDO DOPOGUERRA: L’INDUSTRIALIZZAZIONE E LA QUESTIONE AGRARIA

 

1  I cicli storici dell’economia brasiliana  sono tradizionalmente basati sul prevalere di determinate produzioni agricole o di materie prime agro-industrali, in entrambi i casi destinati essenzialmente all’esportazione.

Si hanno così, in successione, i periodi della gomma, del tabacco, del cotone e, soprattutto, del caffè che ha profondamente influenzato dal 1870 al 1950 l’intero assetto economico del Paese. Gli studi di Roberto Simonsen e di Celso Furtado (1) mostrano infatti come le fluttuazioni dei prezzi del caffè determinassero la disponibilitá di risorse da impiegare per gli investimenti industriali o per quelli nelle infrastrutture.

Gli equilibri che emergono da questa tipo di assetto agricolo (con alcune propaggini nel settore agro-industriale giá alla fine del secolo scorso) erano propri di una societá tradizionale basata su di um radicato dualismo tra “have” ed “have-nots”. Peraltro tale situazione non era comunque dissimile da quella vissuta dalla gran parte degli altri Stati latino-americani, ma risultava ancor più anacronistica in considerazione della doviziosa dotazione di risorse del Brasile.

Le prime iniziative industriali nel ‘900 erano inoltre visibilmente subordinate alle esigenze delle potenze economiche dominanti (la Gran Bretagna fino alla Prima guerra mondiale, gli Stati Uniti successivamente). Quest’assetto subisce un radicale mutamento com l’avvento al potere di Vargas nel 1930 che persegue un modello attivo di sviluppo, essenzialmente rivolto all’industrializzazione.

Sulla scia delle politiche di rilancio del settore secondario impostati dai regimi totalitari europei, Vargas istituisce anche relazioni sindacali basate su principi di concertazione obbligatoria tra le parti.

 

2.La nuova fase di industrializzazione stimola progressivamente la diversificazione e l’espansione del settore, puntando in particolare sulla crescita della siderurgia. É infatti noto come proprio le vicende legate alla necessitá di finanziamenti internazionali per la costruzione del gigantesco impianto di Volta Redonda abbiano influenzato scelte fondamentali di política internazionale a cavallo degli anni ’40 e probabilmente la stessa entrata in guerra del Brasile a fianco degli Alleati (2).

Dopo il 1945 si afferma il modello di politica industriale definito “import substition” che anzi deriverebbe nella sua prima fase proprio dalla “codificazione delle esperienze di sviluppo di Messico, Argentina e Brasile” (3).  Secondo Prebisch, il ricorso a tali politiche era reso necessario dalla tendenza strutturale alla caduta delle ragioni di scambio dei paesi del Terzo Mondo e dalla convenienza generale a sviluppare l’industria. Attraverso di essa si sarebbero propagati infatti importanti effetti di complementarietà in grado di dinamizzare l’intera base economica del Paese.

In Brasile tale scuola di pensiero origina una variante locale che raggiunse notorietà internazionale a cavallo tra gli anni ’60 e gli anni ’70: il cosiddetto “desarrollismo”. Esso ebbe in Andrè Gunder Frank e nel futuro Capo dello Stato, Fernando Henrique Cardoso, i suoi esponenti di maggior rilievo (4). Il loro assunto partiva dalla considerazione che il modello di sviluppo affermatosi in America Latina era basato su relazioni di dipendenza, di una periferia rispetto al centro del sistema rappresentato dai Paesi industrializzati.

In tale contesto il ruolo dello Stato diveniva cruciale non solo per promuovere la crescita economica, ma soprattutto per ridurre le disuguaglianze sociali.

Indipendentemente da tali idee, in Brasile il ruolo del settore pubblico in questo periodo diviene centrale e mira, da un lato, a canalizzare gli investimenti nei settori di base (chimica, mezzi di trasporto, elettronica di consumo) e, dall’altro, a gestire direttamente le imprese nei settori strategici (petrolio, energia nucleare, minerali, cantieristica, infrastrutture di trasporto).

 

3. La politica industriale realizzata dal regime militare a partire dal 1964 é quindi un approfondimento di questa tendenza di “statalizzazione” del’economia, mirando nel contempo ad accentuare la presenza sui mercati internazionali.

Questa politica si differenzia però da quella auspicata da Kubitschek che riteneva un elemento centrale l’associazione del capitale estero allo sviluppo del Paese. Secondo gli economisti del regime militare, la crescita delle esportazioni di manufatti serviva a procurarsi i mezzi necessari ad importare beni di capitale e tecnologie avanzate in grado di accrescre il rilievo del Brasile nella gerarchia internazionale. Il ritmo dell’industrializzazione non é pertanto piú considerato un obiettivo in sé, ma diviene subordinato alla crescita delle  esportazioni nazionali.

Nel settore secondario si comincia ad instaurare alla fine degli anni’60 un modello “export led” che avvicina il Brasile alle economie asiatiche dinamiche (Corea del Sud, Taiwan, Singapore, ecc.) anzichè agli altri Paesi latino-americani di maggiori dimensioni quali il Messico e l’Argentina. Questi ultimi infatti sperimentano persistenti difficoltà nell’organizzazione di una base industriale diversificata.

Il documento che guida questa fase di politica industriale é il “PAEG” (acronimo di “Programa de Açao Econômica do Governo”) del 1964 che individua nell’inflazione accelerata il principale ostacolo alla crescita dell’economia.

 

4. Il successo incontestabile dell’industrializzazione brasiliana tra il 1930 ed il 1970 comporta però due questioni di fondo che meritano di essere sollevate in questa sede.

La prima si riferisce ai rapporti tra autoritarismo e successo economico. Secondo alcuni osservatori, infatti un regime democratico difficilmente può realizzare programmi ortodossi di gestione dell’economia. Altri studi propendono, invece, quantomeno per una sorta di indefinizione statistica in merito al contesto istituzionale piú propizio ad un piano di stabilizzazione, osservando che se si prendessero in conto anche gli indicatori sociali ai fini di una valutazione “ex-post” di tali piani,  i sistemi democratici presenterebbero più di frequente dei vantaggi comparativi rispetto a quelli autoritari (5).

L’altra problematica attiene all’ampliamento degli squilibri territoriali nelle fasi di decollo economico che finiscono coll’aggravare le peculiari problematiche del Brasile (vedi capitolo precedente). É stato infatti rilevato come nella prima fase (dal 1920 al 1958) dell’industrializzazione l’incidenza della regione di San Paolo sia passata dal 31 al 58% della produzione totale (6). Se é vero che con la diffusione delle piccole e medie aziende nei decenni successivi il peso di San Paolo é relativamente diminuito, va però ricordato che i primi 4 Stati (oltre a San Paolo, il Rio Grande do Sul, Minas Gerais ed il Paranà) hanno fatto registrare una concentrazione sempre più elevata rispetto alle altre aree.

 

5. A partire dal 1990 in Brasile si inaugura una nuova politica economica. La meta é  l’apertura internazionale per far rientrare con decisione il Brasile nel processo di globalizzazione dell’economia mondiale. L’esito inizialmente favorevole di quest’apertura (crescita della produzione industriale del 6,8% nel 1993 e del 7% nel 1994) non contraddice la diffusa opinione secondo la quale in questa fase di generale interdipendenza dei mercati non sussistano spazi per una vera e propria politica industriale. Invece si puó ritenere che a contare sia piuttosto il dosaggio delle misure adottate in questo settore dai governi Collro e Cardoso, un “fine tuning” che ha consentito al Brasile di diversificare ulteriormente il ventaglio di comparti indistriali ed al tempo stesso di assicurarne il progresso tecnico (7).

Paralellamente ai processi di privatizzazione (che comunque sono stati  meno vigorosi che nel resto dell’America Latina), a partire dal 1989 viene intrapresa una decisa flessibilizzazione della politica cambiale attraverso l’adozione di tassi di cambio fluttuanti della moneta nazionale ed una completa libertà dei mercati valutari senza più interventi a sostegno del Banco Central ed in concomitanza con l’adozione del “Plano Real” nel 1994.

In questo modo diviene possibile anche ridurre le misure di promozione delle esportazioni (FINEX e BEFIEX) adottate sin dagli anni ’60 per compensare il tasso di cambio artificialmente alto mantenuto dal Governo di Brasilia (8).

Si puó comunque affermare che a a partire dagli anni ’80 l’industria brasiliana ha conosciuto um significativo processo di internazionalizzazione e ció anche in confronto ad altri Paesi avanzati (tab. 3) – con crescenti volumi di scambi inter – ed intrasettoriali con l’estero misurati dalla crescita dei coefficienti di esportazione e di importazione sul totale dei beni prodotti in tutti i settori (beni tradizionali, beni intermedi, prodotti elettronici e meccanici).

Nel contempo la presenza di imprese multinazionali resta molto elevata e, contrariamente alle previsioni, non è diminuito durante il lungo periodo di crisi della domanda interna degli anni ’80, indicando che il Brasile ha continuato ad apparire uno dei mercati potenzialmente piú promettenti. Ad esempio, nel 1990 le imprese a controllo estero contavano per il 33% del totale delle vendite interne e per il 44% delle esportazioni industriali (9).

 

6. Nonostante questi lusinghieri risultati, nel sistema produttivo brasiliano permanevano a metà degli anni ‘90 preoccupanti elementi di fragilità. Tra quelli più significativi si segnalano:

– la difficoltà di disporre di fonti di finanziamento interno a lungo termine (la propensione al risparmio delle famiglie é storicamente bassa rispetto ai parametri internazionali , non superando il 13-14% del PIL);

• i persistenti sforzi di riduzione dello stock di debito pubblico che privano il settore anche di quegli incentivi ed agevolazioni normalmente diffusi persino nei Paesi OCSE;

• la mancanza di criteri consensuali sui settori da sostenere con una politica governativa attiva. Ciò anche a causa della scomparsa dei tradizionali vantaggi dei quali godevano Paesi come il Brasile nella fase precedente la globalizzazione (dotazione di materie prime, basso costo della manodopera). Secondo alcuni studiosi, esso avrebbe  potuto avvalersi dell’esperienza dei Paesi asiatici di successo che, di fatto, considerano l’apporto proveniente da ciascun settore alla bilancia commerciale ai fini della scelta dei programmi da adottare (10).

 

7. Come ricordato all’inizio del capitolo, l’altra faccia dell’assetto economico del Brasile é costituita dall’agricoltura. Essa ha tradizionalmente rappresentato un limite per la crescita economica del Paese a causa dei rapporti sociali e giuridici antiquati in essa prevalenti che hanno dato vita addirittura ad una vasta letteratura sulla cosiddetta “geografia della fame” (ll). In effetti il dualismo in cui si riassume il processo di sviluppo del Brasile é in definitiva un contrasto tra agricoltura ed industria. La prima ha presentato una lunga tendenza alla stagnazione produttiva (in particolare tra il 1950 ed il 1970) che rendeva esuberanti ingenti masse di contadini privi di terra e quindi desiderosi di trasferirsi negli insediamenti urbani per migliorare le precarie condizioni di vita. Queste condizioni – nell’opinione della maggioranza degli osservatori – erano imputabili all’ineguale assetto fondiario. In Brasile la grande proprietà controllava nel 1960 circa il 60% della superficie coltivabile ed alla fine del secolo non si discostava da questa percentuale.

Come nel resto dell’America Latina, l’utilizzazione estensiva del suolo per colture da esportazione (caffé, cotone, soia, ecc..) “consente al latifondista di conseguire un reddito molto elevato rispetto agli investimenti effettuati” (12). In tal modo si sono altresì ridotti gli stimoli ad ammodernare le tecniche di produzione tanto piú che i ceti politici non si sono mostrati disposti a portare effettivamente a termine quei progetti di riforma agraria che fin dagli ani ’50 venivano periodicamente proposti. Tali progetti oscillavano inoltre tra due visioni divergenti: da un lato, la riforma agraria come “socializzzaione del processo produttivo”, ossia un mutamento dei rapporti di proprietá orientato a scopi essenzialmente sociali, e, dall’altro, la riforma come “razionalizzaione produttiva” che funga da presupposto di uno sviluppo orientato dal mercato ed in grado di competere con i maggiori produttori internazionali .

 

8. La “questione agricola” si è identificata in larga misura com il problema del Nordest. La sovrappopolazione, la siccità ricorrente, l’alto livello di analfabetismo, insomma tutti gli indicatori negativi di quella regione, sono abitualmente ricondotti agli assetti economici che vi predominavano (tab.4). La situazione di emergenza socio-economica é stata alla base dei progetti di colonizzazione delle regioni amazzoniche e centrali del Paese che abbiamo prima passato in rassegna.

Parimenti molti imputano ai fermenti sociali che hanno percorso il Nordeste a cavallo degli anni ’60 – con la formazione delle “Leghe contadine” di Francisco Juliao-  l’essere stato uno dei fattori di massiccia adesione dei ceti dirigenti di quella regione al colpo di Stato del 1964.

Uno dei piú acuti osservatori dell’area, l’economista Celso Furtado, aveva invece immaginato un piano di risanamento economico integrato (ricalcato invero sul modello della nostra Cassa per il Mezzogiorno) da realizzare attraverso un’agenzia pubblica – la SUDENE – che inizialmente poteva contare su di un vasto sostegno internazionale, in particolare degli Stati Uniti e della Banca Mondiale (l3).

Il mancato sviluppo di quella regione costituiva a partire dal secondo dopoguerra una delle principali preoccupazioni delle autoritá brasiliane anche sul piano internazionale in quanto gli indicatori colà registrati erano talmente inferiori al resto del Paese da evidenziare una grave carenza di capacitá di gestione della cosa pubblica (14).

Nel resto del territorio brasiliano invece la produzione agricola dopo il 1970 cresce piú della popolazione totale, favorendo un trasferimento di risorse verso il settore industriale e dei servizi che consentiva di innescare condizioni economiche di crescita complessiva. La “frontiera agrícola” si sposta verso Ovest – il Mato Grosso e Goiás – ed assorbe la manodopera proveniente dai settori agricoli piú moderni nel Sud del Paese ove si diffonde la meccanizzazione. Durante il regime militare l’agricoltura brasiliana resta però legata ad un modello essenzialmente esportatore e non é quindi in sintonia con il resto dell’economia che punta – come detto – su di un progetto di carattere “nazionalistico”.

Nella transizione democratica tale caratteristica si attenua e prevalgono le ragioni del mercato che sembrano orientare le produzioni anche verso il maggior soddisfacimento della domanda interna, come nel caso dei cereali il cui raccolto aumenta costantemente.

E’ utile ricordare che a partire dalla stabilizzazione economica seguita al Piano Real, si è registrato un aumento sostenuto e generalizzato della produzione agricola accompagnato dalla crescita di un forte settore agro-industriale. Entrambi  divengono un fattore propulsivo della inserzione del Brasile nel commercio internazionale ed orientano il suo atteggiamento in fori negoziali come l’Organizzaizone Mondiale del Commercio. Un’altra conseguenza è uno sviluppo territoriale più equilibrato con l’emergere di poli urbani di dimensioni medie legate al ciclo produttivo agricolo.  

 

TABELLA 3. Coefficienti di Esportazione ed Importazione dell’Industria Manufatturiera

 

BRASILE

GIAPPPONE

USA

SPAGNA

ANNO

1980

1989

1993

1994

1992

1992

1991

Coeffic.ti di Esportazione

%

%

%

%

%

%

%

Tradizionali

10,5

14,2

17,2

18,3

3,5

6,5

9,9

Prodotti Primari

5,3

22,9

24,8

22,1

8,7

11,6

22,9

Metalmeccanici Elettronici

8,3

18,1

19,4

19,2

20,4

19,7

32,8

Totale

8,5

17,7

19,8

19,6

13

13

19,5

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Coeffic.ti di Importazione

%

%

%

%

%

%

%

Tradizionali

1,9

4,2

7,2

8,3

7,3

9,3

13,3

Prodotti Primari

12,3

10,9

15,1

13,5

7,3

13,1

38,4

Metalmeccanici Elettronici

13,2

16,1

23,5

31,9

3,6

22,7

49,1

Totale

7,7

9,2

14,1

16,7

5,4

15,9

29,1

 

 

 

 

 

 

 

 

Fonti: IBGE, DECEX, CEPAL (base di dati PADI) e UNIDO

 

TABELLA 4 – INDICATORI SOCIO-DEMOGRAFICI BRASILIANI (1985)

 

Famiglie              %

Poveri                 %

Speranza           di vita

Mortalità inf.        %

Alfabe-tizzazione %

NORD

254

22

65

50

79

NORDOVEST

5161

46,6

53

105

61

CENTRO / OVEST

697

6,3

66

50

82

SUDEST

3511

31,7

65

57

87

SUD

1442

13

68

45

88

BRASILE

11066

100

63

65

80

 

 

 

 

 

 

FONTI: DROULERS, 1990, 64, N.º 214