u ROMA – ITALIA – Brasile tra il 1945 ed il 2000 con particlare riferimento ai rapporti tra politica estera e politica interna

CAPITOLO V – LINEE PROGRAMMATICHE DELLA POLITICA ESTERA BRASILIANA DOPO IL 1964

PATROCINANDO SUA LEITURA

Il colpo di stato militare dell’aprile 1964 segna una evidente cesura nelle linee d’azione della politica estera brasiliana. Alcuni osservatori hanno addirittura rilevato che, verosimilmente, sarebbero state proprio una serie di iniziative troppo spregiudicate intraprese nell’ambito della cosiddetta “politica estera indipendente” di Quadros e Goulart ad avvicinare agli ambienti golpisti influenti settori del mondo politico e dei mezzi di comunicazione del Paese (1).

 

Un certo scalpore era stato infatti suscitato da iniziative quali il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con l’Unione Sovietica nel novembre 1961; l’astensione del Brasile al momento di votare per l’esclusione di L’Avana dall’Organizzazione degli Stati Americani (O.S.A.) ed il voto contrario dato nello stesso foro all’intervento militare sull’isola nell’ottobre 1962. Un’azione profondamente innovativa della prassi diplomatica brasiliana venne inoltre rappresentata in quel periodo dall’esproprio dell’azienda statunitense di telecomunicazioni I.T.T. da parte del Governatore dello Stato di Rio Grande do Sul, Lionel Brizola (2).

 

L’antica aspirazione del Brasile a svolgere un ruolo di maggior rilievo sulla scena internazionale aveva come portato alcune conseguenze negative. Innnanzitutto, andava formandosi per la prima volta nella sua storia un contenzioso crescente con gli Stati Uniti, principalmente di natura economica, ma non privo di risvolti di ordine politico.

Esso stava comportando alcune conseguenze pratiche negative come, ad esempio, la mancata erogazione nel 1962 di un prestito dell’importo di 130 milioni di dollari in favore della SUDENE per lo sviluppo del Nordeste da tempo promesso e, soprattutto, l’approvazione ad opera del Congresso USA dell’emendamento Hikenlooper in base al quale veniva sospesa la concessione di aiuti ai Paesi che non concedevano un’ “indennizzazione pronta, adequata ed effettiva” in caso di nazionalizzazioni di imprese  (3), come era il caso per l’ ITT.

 

Un effetto preoccupante di tale situazione era costituito dal calo degli investimenti stranieri diretti che erano diminuiti di oltre il 50% nel biennio 1962-1963.

 

La gran parte degli studiosi della politica brasiliana del secondo dopoguerra ritengono quindi affatto naturale il tentativo di “correzione di rotta” apportata a partire dal 1964 dal Generale Castello Branco (4).

Il primo governo del regime militare decide  di adeguare la política esterna ai principi del liberalismo economico e del recupero dell’alleanza con la superpotenza continentale.

 

Riemergeva cosí quello che da piú parti é considerato il principale asse di oscillazione della politica estera brasiliana (5): il pendolarismo tra “americanismo” ed “europeismo”. Nel movimento di riavvicinamento a Washington, il Cancelliere Vasco Leitão da Cunha seguì essenzialmente due concetti ispiratori:

 

a) il bipolarismo: esso aveva una duplice valenza. Sul piano interno per affermare la nozione di “nemico político” e consentire alle Forze Armate di svolgere anche una funzione di controllo dell’ordine pubblico ; su quello internazionale per appoggiare l’occidentalismo e le iniziative di sicurezza collettiva. La nuova priorità assegnata alle relazioni col blocco occidentale comportava comunque la necessaria accettazione di un certo grado di interdipendenza sul piano militare, economico e politico.

 

b) l’apertura al capitale straniero: essa non si presentava certo come una novità poichè riprendeva le direttrici adottate, seppur con qualche esitazione, sotto Vargas tra il 1945 ed il 1960. A quest’apertura si accompagnava ora la convinzione che il capitale internazionale sarebbe affluito spontaneamente una volta create le condizioni politico-ideologiche interne di stabilità. Non era cioè percepita la necessità, oramai diffusa nell’economia mondiale, di realizzare politiche attive dal lato dell’offerta (infrastrutture, ricerca e sviluppo, ecc.) per divenire meta privilegiata di investimenti esteri.

 

Anche a causa di queste debolezze di fondo l’ “opzione di base per l’Occidente” si rivela di breve durata. La forza dirimente del bipolarismo veniva infatti messo in discussione dalla distensione avviata tra Stati Uniti ed Unione Sovietica.

Il riallineamento con Washington non stava inoltre incoraggiando la ripresa degli investimenti esteri, in parte per una relativa scarsità di capitali sui mercati finanziari, in parte per la concorrenza degli altri Paesi del Terzo Mondo ove la decolonizzazione era pressoché conclusa ed in parte ancora per l’immagine negativa che le misure di eccezione adottate per reprimere le opposizioni avevano creato al Brasile all’esterno. Le  élites e le classi medie nazionali cominciano così a mostrare segni di scontento per una politica estera che non appariva in grado di servire gli interessi del Paese, favorendo piuttosto la cosiddetta “snazionalizzazione” dell’economia.

 

3. La produzione accademica del periodo e le stesse valutazioni dei principali organi di stampa sembrano indicare una rinnovata consapevolezza circa la necessità di dotarsi di strumenti internazionali in grado di accompagnare lo sviluppo economico del Paese. Un primo esempio di tale tendenza é l’istituzione di una Sezione del “Banco do Brasil (principale Istituto di credito pubblico del Paese) specializzata nell’assicurazione del credito all’esportazione.

 

I testi dell’epoca e le relazioni annuali dell’Accademia Militare delle “Agulhas Negras” (dalla quale provenivano i quadri dirigenti dell’Esercito) dimostrano che tale convinzione era particolarmente radicata proprio tra i ranghi medi e medio-alti delle Forze Armate. Da tali ambienti proverrá significativamente la più articolata definizione del progetto di “Brasile-potenza” che – come vedremo – ispirerà tutta la seconda fase (1968-1980) del regime militare.

 

Una prima svolta significativa della politica estera del periodo autoritario avviene nel 1967 con l’ascesa al potere del Generale da Costa e Silva. In questa fase la diplomazia inizia ad essere coscientemente concepita come strumento dell’espansionismo economico.Tale impostazione rimarrà invariata nelle sue grandi linee sino al completamento della transizione democratica con Sarney, benchè subisca um ridimensionamento notevole a esguito della seconda crisi petrolifera (1980-82).

 

Con molta chiarezza il Rapporto annuale del Ministero degli Esteri brasiliano del 1967 affermava che quest’azione doveva essere “… a servizio dello sviluppo mediante il massimo sfruttamento delle opportunità che il settore esterno poteva offrire all’accelerazione del progresso ed alla modernizzazione del Paese” (6).

 

Invero, é stato anche notato come in tal modo la politica estera veniva a svolgere funzioni sostanzialmente ancillari rispetto alla politica interna di sviluppo economico che assumeva connotati quasi autarchici e di stretta responsabilitá nazionale (7).

 

Secondo questa concezione, l’azione diplomatica doveva esercitarsi in quattro direzioni principali: aumento dei flussi finanziari internazionali necessari a realizzare i programmi di investimento e sviluppo; modifica delle basi normative ed istituzionali del commercio internazionale; allargamento dei mercati disponibili per i prodotti brasiliani; acquisizione della scienza e tecnologia necessarie all’indipendenza economica.

 

Dopo l’auge raggiunta nell’epoca di Vargas, tornava quindi  ad affermarsi il concetto di “nazionalismo” che fungeva da elemento ideologico unificante del nuovo modello di Stato autoritario brasiliano. Non sembra a questo proposito da escludere l’interpretazione che vedeva in questa linea d’azione una mano tesa verso alcuni settori della sinistra laburista che – sia con Goulart che con Quadros – considervano la tutela dell’ “interesse nazionale” la stella polare della politica estera brasiliana, rifiutando però allineamenti automatici con altri  partners ed interpretandolo soprattutto in chiave anti Washington.

 

La nuova dottrina diplomatica fu quindi battezzata “Diplomazia della prosperità” dal Cancelliere Magalhães Pinto. Considerando la sua sostanziale persistenza nel prosieguo del regime militare, essa venne però meglio caratterizzata dagli studiosi dell’epoca come “pragmatismo responsabile” oppure (dallo stesso Presidente Geisel nel 1974) come “pragmatismo dei mezzi” (8).

 

Un segnale importante del’enfasi nazionalista si evince già nel viaggio di da Costa e Silva negli Stati Uniti nel febbraio 1969. É reso di pubblico dominio il duro alterco che il Presidente ha con il Sottosegretario di Stato per l’America Latina, Lincoln Gordon, al sentirisi offeso da una sua valutazione sulle modalitá di sostegno allo sviluppo internazionale espresse dal Brasile.

 

Delle direttrici di “Brasile potenza” prima descritte, si può osservare che:

a) le nuove basi del commercio internazionale e la crescita dei prodotti manufatti e dei mercati di esportazione sono effettivamente sviluppate. L’obiettivo consisteva nel generare un attivo strutturale della bilancia commerciale da destinare all’investimento interno;

b) la diversificazione dei flussi finanziari internazionali viene ottenuta, ma a condizioni di rimborso non più favorevoli di quelle normalmente prevalenti sul mercato.

c) l’acquisizione all’estero della scienza e della tecnologia (informatica, nucleare e spaziale) necessaria all’obiettivo dell’indipendenza economica non risultava invece possibile.

Essa infatti riguardava il  cuore dei processi di ristrutturazione della divisione internazionale del lavoro ed incontrava notevoli resistenze al suo trasferimento da parte dei Paesi piú industrializzati;

 

 

I risultati solo parzialmente positivi della “diplomazia della prosperità” stimolavano il riemergere di un’ altra tendenza strutturale della politica estera brasiliana: la ricerca di una posizione “intermedia” del Brasile in seno alla comunitá internazionale.

É di notevole significato in tal senso il discorso proferito nel 1972 dal Ministro degli Esteri Gibson Barbosa alla Scuola Superiore di Guerra. Egli attribuiva alla politica estera cinque funzioni essenziali: 1) utilizzare il potere nazionale in favore dei popoli che mirano al progresso;
2) favorire la realizzazione di un Nuovo Ordine Economico Internazionale anche come fattore di pace;
3) puntare ad alterare l’attuale equilibrio cristallizzato del potere mondiale;
4) intensificare sia l’estensione che l’universalità dell’azione esterna del Paese (8).

 

Dopo la prima crisi petrolifera, il Brasile non muta queste linee programmatiche, ma vede con scetticismo i dibattiti Nord/Sud che vanno occupando uno spazio preponderante nei vari organismi internazionali. L’urgenza di ottenere risultati tangibili sul piano dello sviluppo economico interno faceva infatti premio sui tempi lunghi delle iniziative multilaterali e rendeva necessario cercare una via più diretta per legittimare il dominio autoritario delle Forze Armate sulla societá civile.

 

Alla ricerca di nuovi margini d’azione, viene allargato così il concetto di “pragmatismo” tracciato dal generale Medici.

In primo luogo, il Brasile si fa portatore di una radicale proposta di modifica delle regole del commercio internazionale tra Paesi sviluppati e PVS in seno all’Accordo Generale sulle tariffe ed il Commercio (GATT). Formulata per la prima volta nel settembre 1975 dal Cancelliere Azeredo da Silveira nella VII Sessione Speciale dell’Assemblea Generale dell’ONU, essa viene ripresa in piú occasioni nel biennio successivo (9).

Il suo scarso successo operativo spinge Brasilia ad intensificare le relazioni bilaterali con altri paredri in grado di offrire spazi adeguati alle sue esigenze di approvvigionamento tecnologico nonchè sbocchi alla produzione manifatturiera che erano originati dall’industrializzazione accelerata in corso nel Paese.

 

Guadagnano così nuovamente peso i rapporti con i Paesi europei: innanzitutto – come verrà esaminato piú a fondo nel capitolo VI – con la Repubblica Federale Tedesca, con la quale si spera di instaurare una vera e propria partnership tecnologica e strategica, soprattutto in campo nucleare. Anche con Francia, Italia e Gran Bretagna vengono firmati nell’autunno del 1975 accordi di cooperazione economica che consentiranno uma significativa espansione dell’interscambio commerciale.

 

In secondo luogo, si intensificano i rapporti con l’America Latina e con l’Africa.

Con il subcontinente viene tessuta in pochi anni una rete di accordi ed intese di natura economica che stimolano ‘le relazioni commerciali. Fanno parziale eccezione il Cile e l’Argentina con le quali permanevano visioni contrastanti sullo sviluppo dell’integrazione regionale.

Questa politica verrá coronata nel 1977 dal Trattato di Cooperazione Amazzonica (10), zona strategica per i programmi di sviluppo del regime militare, stipulato su iniziativa del Brasile con i sette Paesi attraversati dal bacino fluviale. Esso ricalca lo schema del Trattato del Bacino del Plata, concluso anni addietro con gli stati del Cono Sud.

In Africa il Presidente Geisel deve però affrontare i nodi della decolonizzazione dei possedimenti portoghesi. Negli anni precedenti si erano infatti scontrate in seno all’Itamaraty due tendenze: l’una di sostegno ala presenza del Portogallo in considerazione dei vincoli storici che lo univano al Brasile e che comportava l’astensione in occasione delle votazioni che miravano a condannare l’apartheid; l’altra auspicava invece un continente africano pienamente indipendete nel quale potesse esplicarsi l’azione diplomatica brasiliana al fine di ottenere i consensi di quegli Stati nei fori internazionali ove era dibattuto il Nuovo Ordine Economico Internazionale che – come si é detto – combaciava in larga misura con gli interessi del Paese. Quest’ultima tendenza finisce col prevalere allorché nel 1975 il Brasile riconosce – per primo al mondo – l’indipendenza dell’Angola.

 

Infine, lo stesso Geisel articola una politica “tous azimuts” per rafforzare la posizione internazionale del Paese. Egli cerca in particolare di stringere le relazioni con i Paesi arabi produttori di petrolio (del quale vi era un crescente fabbisogno per accompagnare la crescita economica interna) che costituivano mercati di esportazione di notevole interesse potenziale. In questa prospettiva, Brasilia é costretta a discostarsi dalla precedente posizione di equidistanza mantenuta riguardo al conflitto arabo-israeliano. Nel 1975 nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con un voto a sorperesa si appoggia il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione ed alla sovranitá e viene condannato il sionismo quale forma di razzismo.

 

La politica estera di Geisel é forse la piú incisiva del ventennio autoritario. Essa ottiene degli indubbi successi e vale alla sua diplomazia numerosi riconoscimenti per l’abilitá ela competenza con la quale viene condotta.

Tuttavia sul regime brasilano cominciano ad addensarsi le ombre delle pressioni interne ed internazionali in favore di una sollecita democratizzazione. Tali richieste assumono un peso difficilmente sopportabile al momento della seconda crisi petrolifera che, a differenza della prima, provoca nel Paese una forte e duratura ondata recessiva accompagnata dalla crescita esponenziale degli oneri dell’indebitamento esterno.

Gli Stati Uniti, dal canto loro, collegano le richieste di democratizzazione anche all’abolizione delle leggi di protezione del mercato nazionale in alcuni settori strategici (informatica, prodotti farmaceutici), minacciando rappresaglie economiche.

 

In queste condizioni il generale Figuereido avvia, a partire dal 1979, un’opera di graduale apertura della vita politica brasiliana che non manca di ripercuotersi anche sulla sua azione internazionale.

 

Nel complesso, all’inizio degli anni ’80 la politica estera brasiliana diviene chiaramente meno assertiva. Le nuove tensioni di natura strategica tra Stati Uniti ed Unione Sovietica non suscitano, ad esempio, reazioni significative in Brasile . Esso sembra invece privilegiare di nuovo i fori multilaterali per denunciare i difetti del sistema economico internazionale. Significativi sono gli interventi dei rappresentanti brasiliani in seno all’ONU nel 1980 dove viene sostenuta l’esigenza di “negoziati globali” Nord-Sud e nel 1983 in seno al “Gruppo dei 77” ove la delegazione si pronuncia per un deciso rafforzamento della cooperazione Sud-Sud.

 

Su di un altro versante l’onere del debito estero spinge a chiedere un “trattamento speciale” per il Paese sulla falsariga di quelli concessi alla Germania tra le due guerre ed all’Europa Occidentale dopo la Seconda Guerra mondiale. Tuttavia i negoziati con le banche creditrici sono affidati a tecnici della Banca Centrale e del Ministero delle Finanze cosicché le posizioni di taglio politico – sostenute dall’ltamaraty e da buona parte degli esponenti parlamentari – non trovano un  riscontro operativo concreto.

 

Sugli scacchieri esterni Figuereido mira a rafforzare i legami con alcuni PVS di rilievo quali la Cina, l’Iraq e l’Argentina, ma con modesti risultati pratici.

 

All’indomani del ripristino delle istituzioni democratiche, il Presidente José Sarney eredita quindi una situazione carica di difficoltá. L’opinione pubblica presta un’attenzione modesta all’attività internazionale del Paese, trovandosi assorta nei dibattiti sulle opzioni di fondo dell’assetto costituzionale e della politica economica, in particolare per il controllo dell’inflazione galoppante.

Al centro del dibattito nazionale si inseriscono in primo piano le questioni legate al debito estero che viene individuato di per sè come il maggior ostacolo ad una politica estera attiva anziché come il risultato di scelte sbagliate che avevano puntato ad una crescita economica più elevata rispetto alle effettive capacità del Brasile.

 

Nel lustro di Sarney si registrano nel complesso solo graduali e moderati cambiamenti di rotta rispetto alle linee-guide perseguite sin dal 1967 e soprattutto a quello adottate da Figuereido dopo il 1979.

Non mancano interpretazioni diverse che invece vedono dal 1985 una forte discontinuità nella politica estera per l’abbandono del progetto di elevare il grado di autonomia dello Stato brasiliano nel contesto internazionale come effetto della  crisi economica (11).

Tuttavia ai rapporti amichevoli, ma costellati da elementi di contenzioso commerciale, con gli Stati Uniti ed i paesi europei, si affianca con vigore una crescente attenzione verso l’America Latina, considerata sempre piú lo scenario di naturale attuazione ed influenza del Brasile. La spinta decisiva in tal senso viene dalla quasi síncrona democratizzazione dei Paesi del Cono Sud, tra i quali l’Argentina assume sin dal 1986 un inusitato rilievo strategico.

 

Si può comunque affermare che, per la prima volta nel periodo in esame,la politica estera presenta una relativa autonomia rispetto alle scelte di politica economica (contraddittorie e difficili) adottate in ambito strettamente interno.

 

L’evoluzione della politica estera assicurata dal Presidente Collor a partire dal 1990 é invece nuovamente correlata in maniera organica alle vicende interne. Le forze che lo hanno condotto al successo contro il candidato della sinistra social-sindacale, Lula, puntano infatti a delineare un nuovo assetto economico piú competitivo ed orientato decisamente  in senso liberista sulla scorta di quanto andavano realizzando in quel volgere di anni Paesi come Argentina, Cile e Messico.

 

Come vedremo in dettaglio più avanti, Collor ed il suo Ministro degli Esteri, Francisco Rezek, conferiscono la massima priorità all’America Latina sullo scenario esterno, collegandola a tre fronti di azione complementare:

i) apertura dell’economia con la riduzione dei dazi doganali e delle barriere non-tariffarie e l’adozione di misure di sostegno agli investimenti stranieri;

ii) definizione di un’ “agenda positiva” con gli Stati Uniti;

iii) strategia negoziale ortodossa in materia di debito estero, accettando sia i meccanismi istituiti in seno alla comunitá finanziaria internazionale quali il Piano Brady sia il rispetto dei parametri di “condizionalita’” previsti dal Fondo Monetario Internazionale.

 

Nonostante i risultati economici del triennio 1990-1993 siano stati sostanzialmente deludenti e caratterizzati da um tasso d’inflazione tra i piú elevati al mondo, le misure adottate da Collor costituiscono un punto di non ritorno e segnano quella che potremmo definire la “normalizzazione” del Brasile nello scenario internazionale.

 All’inizio degli anni ’90 il Brasile lascia da parte la pretesa di essere un Paese dalle aspirazioni speciali ed in grado di influenzare con relativa autonomia gli equilibri politici e militari delll’emisfero americano. Questa nuova consapevolezza in campo internazionale- si basa essenzialmente sull’accettazione delle debolezze e delle necessità del sistema economico interno.

 

Come si evidenzierà meglio nel corso del mandato del Presidente Fernando Henrique Cardoso, le esigenze di “mettere la casa in ordine” divengono un prius logico ai fini dell’inserzione esterna del Brasile nella fase della globalizzazione dell’economia mondiale (12).

Nonostante l’epilogo mortificante del suo mandato, al Presidente Collor va quindi ascritto il merito di aver posto le basi per questo cambiamento strutturale del modello di sviluppo e, quindi, della stessa politica estera del Brasile.