u Ritengo di conoscere in modo abbastanza approfondito e completo, per esperienza personale, la realtà universitaria e in Italia e per quanto riguarda alcuni paesi della Comunità Europea. Ho inoltre vissuto di prima persona il sistema sud-americano, che poi, logicamente, è di stampo totalmente statunitense.
Non è che emergano poi questi enormi abissi tra i due sistemi scolastici, a livello di impostazione organizzativa, anzi, osservati dal di fuori, possono anche apparire pressoché simili.
Le divergenze più palesi riguardano sicuramente i contenuti pragmatici su cui si basano le discipline e, di conseguenza, l’iter universitario che ogni alunno decide di seguire.
Soffermandomi ora all’interno delle dinamiche della nazione brasiliana, ho notato alcune consistenti differenze alla radice. Per quanto concerne le strutture parascolastiche, quali gli spazi adibiti ai vari ambiti, gli strumenti e l’organizzazione, le disomogeneità sono certamente legate alle distinte potenzialità economiche delle società su cui poggiano. L’Italia vanta di finanziamenti più elevati e quindi di maggiori possibilità di investimento, pur essendo costantemente troppo scarse o, ancor peggio, non attinenti alle reali esigenze rivelate. In relazione alle problematiche che vive il Brasile in quanto paese ancora in via di sviluppo, sono comunque molto valide le strutture brasiliane, come le mense, le biblioteche, le aule, gli ambienti ricreativi, i dispositivi elettronici e tutti i vari supporti per l’insegnamento e la ricerca.
Il fatto, ecco, che mi ha lasciato perplessa è la faccenda degli scioperi, dico appunto faccenda perché cambia notevolmente un’impostazione di base che di per sé potrebbe essere di eccellente qualità. E la nota interessante è che tale problema sussiste in tutti i settori pubblici del paese. Che si tratti della mensa o della biblioteca universitaria, delle pompe di benzina, delle poste o di qualsiasi altro campo in mano al monopolio statale, gli scioperi hanno tempistiche di durata che evadono incredibilmente da ogni logica umana. Io stessa, in un arco di tempo di quattro mesi, la durata quindi di un semestre accademico, sono stata alle prese con una mensa universitaria prelibata e incredibilmente economica (un pranzetto di ottima carne brasiliana, riso, fagioli, insalate e dessert costa 1 Real, ossia poco più di 30 centesimi di euro…), almeno questa è l’ottima fama di cui gode tra i 40.000 studenti del campus universitario iscritti ogni anno, perché io l’ho visto aperta e funzionante solo durante gli ultimi giorni. Di pari passo, la biblioteca, davvero gigante e interessante sia per la mole che per la qualità del materiale, l’hanno riaperta solo verso fine semestre. Per non parlare poi delle poste che impedivano di mandare e ricevere posta, o meglio era vivamente sconsigliato dai funzionari stessi, visti i mucchi di posta arretrata che si dovevano smaltire… e che rischiava solo di essere stata dispersa in qualche angolo di mondo… Insomma, se uno sciopero da noi di 3 giorni riesce a bloccare il paese in modo drastico, uno di 3 mesi là è normale, o comunque può capitare, e non serve agitarsi tanto, perché non serve a nulla! Una filosofia di vita certamente invidiabile, ma forse poco applicabile in una società sfrenata e accanita come la nostra…
Un’altra sostanziale divergenza consiste nei contenuti delle discipline studiate. Quello che voglio dire è che, per quanto i professori siano preparati e in gamba, affermazione estremamente vera e sicura, ho riscontrato una certa carenza nella tipologia di materiale e nella modalità di preparazione alla materia. Ogni disciplina non consiste in una sola prova finale, bensì questo è scaglionato in due o tre prove intermedie, da eseguire prevalentemente in casa, senza dover effettuare poi l’esame di fine semestre. Alcune volte si prepara un’esposizione finale, dove l’alunno illustra al docente e alla classe un tema di approfondimento. Questo evita una preparazione obbligatoria alla disciplina, impegno sicuramente tedioso, ma che permette di avere una visuale solida e soprattutto completa della materia che si ha frequentato.
Anche la gestione degli orari di corso può rendere poco pratica la giornata dello studente, che si trova a dover scegliere che materie frequentare principalmente in base agli orari di insegnamento. Sì, perché la prima lezione inizia alle 7.30 spaccate, se non prima, del mattino, mentre l’ultima si conclude alle 22.30 della sera. A meno che non si abbia la fortuna di vivere davanti all’Università, fate un po’ voi qualche calcolo!
Tali elementi rendono, a mio parere, migliore, sotto il profilo della praticità, dei contenuti e delle modalità, il sistema italo-europeo rispetto a quello brasiliano-statunitense.
Vorrei, infine, fermarmi un attimo su ciò che riguarda prettamente l’ambito linguistico. Principalmente perché è quello in cui ho lavorato e studiato in prima persona, e quindi sperimentato sulla pelle, in secondo luogo perché è quello che maggiormente lega gli interessi degli studenti brasiliani, figli magari di discendenti italiani, nel conoscere la nostra realtà. Devo ammettere con fierezza che ho incontrato dei professori piuttosto validi, sia sotto il profilo professionale, di preparazione, che umano. L’Italia si porta addosso lo scheletro di questo rapporto freddo, lontano e distaccato tra docente e alunno, aspetto che sovente distanzia i ragazzi per paura di essere mal giudicati. In Brasile, invece, esistono meno formalismi, ma più contatto e spontaneità, dettagli che valuto molto positivi e intelligenti, totalmente a favore dello studente. Poi, meraviglioso questo aspetto che da loro non si ragiona a scomparti: non è che a 25 anni è imperativo concludere l’università perché poi bisogna intraprendere una carriera professionale. L’università da loro spesso è vissuta anche come passione, nel senso che un ventenne si può trovare come compagno di banco un cinquantenne, che ha deciso di intraprendere o riprendere una prima o seconda laurea, magari semplicemente per cultura personale.
Riprendendo il tema delle facoltà linguistiche, ho incontrato in Brasile una massiccia carenza di docenti madrelingua, mancanza, a parer mio, indispensabile per l’arricchimento linguistico-culturale degli studenti. Le attività complementari di stage o tirocinio, previste per fine corso, prevedono poche esperienze all’estero, un po’ perché la quantità di pratiche burocratiche da sbrigare è sconfortante, un po’ perché i prezzi sono totalmente fuori parametro. Solo pochi riescono a venire in Italia, e comunque solo dopo aver ottenuto i documenti necessari per il visto, per nulla scontati per i brasiliani, e aver sostenuto un esame di buona conoscenza della lingua italiana. C’è una miriade di giovani brasiliani, figli di discendenti italiani, che farebbero carte false per poter effettuare un’esperienza socio-culturale in Italia, sogno che rimane quasi sempre irrealizzato e irrealizzabile per tutti, a meno che non si abbiamo particolari disponibilità economiche.
Tali questioni sono fondamentali per chi studia lingue, e l’Italia è nettamente in vantaggio. Anzi, sempre di più si sta aprendo a nuovi scambi e collaborazioni con università partner all’estero.
Riguardo ciò che si prospetta per il post-laurea, un brasiliano, dopo aver fatto due anni di “mestrado”, che corrisponde oggi un po’ al nostro biennio di laurea specialistica, può, tramite bando di concorso, accedere al “doutorado”, sistema di specializzazione per l’insegnamento universitario e la ricerca, aderente a quello europeo.
In qualità di insegnante di lingue e di eterna studentessa e studiosa della loro cultura, spingo per fomentare l’incremento dei rapporti intercontinentali tra queste due nazioni legate indissolubilmente da 150 anni oramai, tramite borse di studio, incentivi e facilitazioni. È questa una direzione intelligente che la società dovrebbe prendere per garantire al proprio futuro, ossia ai giovani, ora che i limiti di trasporto non lo impediscono più, di vivere in prima persona la cultura delle loro origini e la lingua che stanno studiando, per tornare più ricchi e arricchiti di un bagaglio cultuale che i libri non potranno mai insegnare, e per poterlo trasmettere poi di conseguenza ai loro connazionali, creando una rete più reale e vera di rapporti tra i due stati.

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