u SAN PAOLO – SP – Il 5 luglio, in occasione della visita in Brasile, dove si è recato a Brasilia per porgere l’invito del governo italiano al presidente Luiz Inácio Lula da Silva, per visitare l’Italia, invito che è stato accolto e fissato per il 17 ottobre, il Ministro degli esteri Gianfranco Fini ha avuto incontri con il suo collega ministro Celso Amorin, arrivando a San Paolo il giorno seguente, dove si è riunito con il Gruppo degli imprenditori italiani del GEI, ha proferito una conferenza alla Fondazione Getulio Vargas, ha visitato il CREN-Centro di recupero ed educazione nutrizionale, finendo il programma con un incontro con la comunità al Circolo Italiano dove è stato ricevuto dal presidente Mario De Fiori che porgendo il saluti a nome di tutti, gli ha consegnato una targa-ricordo.

PATROCINANDO SUA LEITURA

Prendendo al parola l’ambasciatore Michele Valensise ha detto : “Sono particolarmente lieto, questa sera, di dare il benvenuto al presidente Fini, in questo edificio che porta il nome del nostro paese e che è un simbolo della forza, della tenacia, della vitalità, della generosità della comunità italiana in questo nostro bellissimo Brasile. La devo ringraziare molto on. Fini, per aver deciso di fare questa breve ma intensissima visita, e dulcis in fundo per noi, perché un incontro con la comunità è una occasione per ribadire il nostro impegno al servizio della comunità italiana, che tanto ha fatto per lo sviluppo del Brasile, che ormai da tutti noi, dal governo, dal parlamento è riconosciuta come una grande risorsa della nostra politica, della nostra proiezione, ed è una comunità di cui dobbiamo essere orgogliosi, e lo siamo.

Credo che sia un dulcis in fundo, non solo per noi che viviamo quotidianamente in questo sforzo di politica di sistema con la comunità, e viviamo quotidianamente il loro ruolo in questo paese, ma credo che sia un dulcis in fundo, anche per lei che conosce così bene i problemi della comunità italiana ed il loro ruolo, la loro potenzialità ed il carattere essenziale che sta nello sviluppo di relazioni armoniose ed ancora più intense che noi abbiamo in questo momento con il Brasile. Oggi noi abbiamo difronte una comunità cresciuta, affermata, integrata, ricca di valori, solidale e quanto di meglio l’Italia possa presentare qui, io ho un orgoglio particolare, lo dico senza alcun velo di retorica, nello svolgere le mie funzioni appoggiandomi quotidianamente su questa grande, enorme bellissima risorsa.

So che è altissima la considerazione in questo governo, nel parlamento, delle comunità italiane nel mondo, só che soprattutto, lei presidente, ha una conoscenza, come ci ha dimostrato con grande puntualità, dei problemi, delle difficoltà ed anche delle soluzioni che noi possiamo gradualmente attuare. Penso al grande problema del riacquisto della cittadinanza, penso al problema importantissimo del disallineamento o dell’allineamento delle anagrafi consolari, questioni in cui ci siamo confrontati in grande dettaglio e sono sicuro che la comunità italiana di San Paolo, una delle più antiche, delle più storiche è a conoscenza di questa sua importantissima visita in Brasile, dalla quale speriamo che escano frutti utili per tutti noi e per tutti voi”.

Il min. Gianfranco Fini ha proseguito rivolgendosi alla numerosa platea: “Cari connazionali, è doveroso, ma è anche allo stesso tempo sincero il ringraziamento all’ambasciatore Valensise, diplomatico di grande qualità che dimostra quotidianamente con il suo impegno di far seguire alle parole i fatti. Ringraziamento ai rappresentanti della comunità di San Paolo, in particolar modo alla presidente del Comites Rita Blasioli Costa, a Mario De Fiori presidente del Circolo, al console Bertinetto e ad ognuno di tutti voi.

Questa comunità italiana di S. Paolo, come è stato ricordato qualche minuto fa, non rappresenta soltanto il gruppo più numeroso nella immensa comunità italiana in Brasile, ma rappresenta la più ambita! Allora cercherò di sviluppare qualche ragionamento partendo innanzitutto da questo elemento storicamente acquisito, che nel passato gli italiani che lasciavano la terra in cui erano nati, trovavano poi oltreoceano nelle Americhe, in Brasile, qui a San Paolo un punto di approdo, un punto in cui mettere radici, un punto in cui mettere su famiglia, un punto in cui cominciare a lavorare, un punto in cui in qualche modo garantire attraverso il loro sudore, le loro fatiche, un avvenire migliore.

E perché inizio con questa considerazione? È perché nella storia nazionale è a tutti universalmente noto che voi rappresentate certamente coloro che hanno sofferto della più grande malattia che possa colpire il cuore di un uomo, la nostalgia della terra in cui si nasce, la nostalgia del volto di una madre, di uno scorcio di paesaggio, di una lingua, di una identità, di una cultura.

Guardare indietro è sempre sbagliato, ma certamente bisogna rendere omaggio a quella nostra nostalgia che ha tenuto alto l’amore per la patria, in momenti in cui in Italia non tutti avvertivano lo stesso dovere morale. Per molto, molto tempo gli italiani fuori dai confini, amavano la loro patria assai più di ciò che accadeva agli italiani all’interno dei confini.

Oggi che la patria è ritrovata e finalmente tutti gli italiani, qualsiasi sia la loro appartenenza politica, io qui non rappresento un partito, rappresento il governo e la comunità nazionale, dico, ora che la patria è stata ritrovata da tutti e che è un orgoglio essere italiani. Credo che sia sempre doveroso e moralmente giusto iniziare degli incontri con la nostra comunità al di fuori dei confini nazionali; prendendo atto di questa grande coerenza, se l’Italia è ora rispettata nel mondo, lo è in alcuni casi soprattutto perché tanti italiani nel mondo si sono fatti rispettare con il loro lavoro, con il loro impegno, con il sacrificio, con il loro comportamento esemplare, rispettando le leggi dei paesi che li accoglievano. È stato bello ascoltare contemporaneamente i due inni nazionali perché vi è un rapporto forte con la madrepatria ma vi è anche l’appartenenza alla nuova patria. Gli italiani non si sono fatti rispettare soltanto perché hanno portato il lavoro, ma principalmente perché sono stati cittadini esemplari all’interno dei paesi che generosamente hanno aperto loro le porte. Guardate questo è un aspetto importante, perché in un secolo l’Italia da paese che esportava lavoratori è paese che oggi ne importa. Eravamo terra di emigranti ed ora siamo una terra che si deve confrontare con degli immigrati e se si conosce la storia italiana, se ci si è incontrati con una comunità di italiani all’estero, se si è vista la storia dell’emigrazione a New York, non si potrà mai pensare che il nostro popolo possa essere xenofobo, perché chi ieri lasciava la terra in cui era nato per cercare fortuna e lavoro altrove, oggi ha il dovere morale di guardare coloro che vengono in Italia a cercare lavoro e fortuna con l’identico rispetto con cui tanti tra di voi, tanti tra i vostri avi furono guardati dai brasiliani, lo stesso momento in cui aprirono le porte del loro paese.

Siamo in una fase certamente molto cambiata rispetto a quella soltanto di qualche decennio fa, è stato giustamente ricordato che il periodo difficile della integrazione è alle spalle, che oggi la nostra società è integrata, è importante, che ha un ruolo nella società brasiliana, è una società che consente poi alle scelte politiche, al parlamento, al governo di intavolare un dialogo estremamente proficuo con questo paese.

Quando ieri ho incontrato il presidente Lula e il mio collega il Min. degli esteri Celso Amorin, o quando tutt’oggi ho incontrato il governatore dello Stato Geraldo Alckmin, è venuto naturale da parte mia mettere in evidenza il ruolo della comunità, ed è stato certamente altrettanto naturale, da parte degli interlocutori dire che il rapporto tra Italia e Brasile è un rapporto che deve crescere, anche perché dobbiamo rendere sempre più solide le nostre relazioni partendo dal significato, dall’importanza che hanno tanti italo-brasiliani o tanti italiani che hanno origini un tanto lontane nella storia di questo paese.

Non è più il periodo dell’integrazione difficile o dell’emarginazione, è un periodo certamente di protagonismo e partendo da questa conquista, che è poi la nostra grande vittoria nei confronti di chi aveva dimenticato gli italiani di oltre confine, potremo costruire il futuro, in che senso? Nel senso che il grande risultato che finalmente il parlamento ha raggiunto con una larga maggioranza di riconoscere non solo piena legittimità agli italiani all’estero, ma anche il sacrosanto diritto-dovere di essere rappresentati, porterà nelle prossime elezioni non solo ad avere gli italiani all’estero che votano ma, credo che questa sia la grande conquista, ad avere parlamentari rappresentanti degli italiani all’estero, quello sarà il momento in cui il ponte, tra chi è rimasto in patria e chi al contrario è uscito dai confini nazionali per cercare fortuna altrove, sarà gettato.

Non credo di dovervi dare consigli, che non ne avete necessità, ma certamente un auspicio, quale che sia la scelta che farete, questa è l’occasione storica da non perdere, il voto è una conquista che ha volte comporta sacrifici, il voto non è una banalità nella vita democratica, il voto va onorato soprattutto con la partecipazione, non vi dirò mai in chi dovete votare, certamente vi dico andate a votare, perché la partecipazione al voto per il rinnovo del parlamento farà si che per la prima volta ci siano 12 deputati e 6 senatori, espressione della vostra comunità e rappresenterà una pagina di enorme significato. Sappiamo perfettamente quante difficoltà ci sono, il riallineamento delle liste, le procedure per garantire la secretezza del voto, la stessa problematicità che ci sarà per la campagna elettorale; ma attenzione a non commettere l’errore, che commette lo stolto nel momento in cui indica con il suo dito la luna, e ferma il suo sguardo sulla punta del dito e perde di vista la luna; intendo dire che certamente ci saranno delle proteste, contrarietà, rimostranze, certamente le cose non funzioneranno al 100%, certamente ci sarà qualcuno che dirà, e c’è qualcuno che già lo dice, ma valeva la pena di dare il voto agli italiani all’estero? Lo diamo per scontato, ma è talmente importante quel che sta per accadere da imporre a tutti di non fermare lo sguarto alla punta del dito, ma di guardare diritti alla luna, è un momento storico quello che ci accingiamo e vi accingete a vivere, non solo gli italiani che votano democraticamente nella repubblica italiana, ma soprattutto gli italiani all’estero che eleggono i loro rappresentanti, e non ho bisogno di dirverlo, fate in modo che siano i vostri rappresentanti, fate in modo che davvero nel parlamento vi siano coloro che conoscono i vostri problemi, coloro che sono poi capaci di interloquire con le forze di maggioranza, di opposizione, per render più agevole la soluzione dei tanti problemi che ci sono, perché così come ho detto, non aspettatevi che con la bacchetta magica in poco tempo si possano riallineare le liste, stiamo facendo tutto quel che possiamo, cercheremo di rafforzare le strutture, cercheremo di dotarci delle risorse necessarie per mettere a posto il divario tra le liste dell’AIRE e le liste dei Comuni, si sta facendo tutto quello che è in nostro potere, ma sappiamo perfettamente che i problemi sono molto numerosi.

Poi c’è il problema delle cittadinanze, questione molto complessa, che dovrà essere valutata con grande attenzione dal prossimo parlamento, dal prossimo governo, questione su cui sarà essenziale avere non solo l’opinione, ma avere il potere ragionato di chi vi rappresenterà, perché? Perché lo vogliamo dire con grande schiettezza, il fatto di essere italiani nel mondo, avere il nostro passaporto, significa in qualche modo una condizione, non dico di piccolo privilegio, ma una condizione che apre le porte. L’Italia è un paese completamnete integrato nell’Unione Europea, che ha un rapporto privilegiato con gli Stati Uniti, che è diventata un paese che pesa, incide, si fa presente nel G8 con i grandi della terra, che è protagonista. Essere italiani non significa essere di uno dei tanti paesi nel mondo, questo sta anche a significare che prima di riconoscere la cittadinanza italiana dobbiamo avere la certezza che si tratti di una cittadinanza non soltanto rivendicata in ragioni di antiche e certamente nobilissime radici, ma che sia una cittadinanza che sia in qualche modo vissuta, attiva, partecipe della vita della nazione, oppure rischia di essere soltanto un orpello da presentare. Il parlamento dovrà confrontarsi con questo problema perché il numero di coloro che chiedono di acquisire la cittadinanza sta diventando estremamente rilevante e sappiamo perfettamente che in alcuni casi si tratta di uomini e donne che non parlano più nemmeno la nostra lingua. Si può riconoscere la cittadinanza a chi non parla la lingua italiana? Si può pensare che l’Italia debba essere generosa nella concessione della cittadinanza come se il numero fosse ancora potenza, dimenticando al contrario che in molti casi non si fa altro che creare tutta una serie di problemi, che finiscono per diventare ancora più gravi, perché essendo le risorse limitate si rischia di dare a chi magari non ha molto diritto e di non dare al contrario a chi il diritto ce l’ha, lo ha consolidato o lo ha antico e pretende giustamente che quel diritto venga riconosciuto.

Giustamente la presidente Rita Blasioli ha ricordato il problema degli assegni sociali, ahimè non viviamo in tempi di vacche grasse, la congiuntura economica è quella che è, la situazione finanziaria dell’Italia è una situazione certamente tale da necessitare una politica di rigore, c’è in qualche modo una giustizia sociale, è evidente che il riconoscimento, che non solo è un diritto, ma è doveroso dare gli assegni sociali a coloro che si trovano in condizioni di disagio, ma se allarghiamo a dismisura la platea rischiamo di non garantire il diritto a chi ne ha necessità, non vogliamo dare una sorta di obolo che poi non risolve alcun problema ad una platea estremamente vasta, finendo per negare il valore della solidarietà, che è una politica attiva che mette chi è nelle condizioni di disagio nella possibilità di guardare con una maggiore prospettiva di fiducia al proprio futuro.

Allora, perché è importante, non solo il voto ma è importantissimo chi vi rappresenterà nel parlamento, che sia poi attento nel dialogo con le forze politiche. Nel passato non tutti erano attenti all’altra metà che stava fuori dai confini nazionali, il fatto è che chiunque vinca le elezioni conosca i problemi collegati alla difesa della identità nazionale, non solo i problemi collegati al voto, alle questioni sociali e i problemi collegati alla lingua.

Credo che un investimento nel futuro, ancor più che un investimento legato a misure economico-sociali, debba essere un investimento legato a politiche culturali, perché è chiaro che ognuno di voi ha insegnato al figlio, al nipote la lingua italiana, ma non ci può essere un passaggio di questa idealità, di questa identità nazionale soltanto per via familiare, se come si dice, gli italiani all’estero sono una risorsa, è lo Stato italiano che deve investire anche in termini finanziari perché la lingua italiana sia studiata, perché sia una lingua di veicolo e perché torni ad essere, come nel passato in Brasile ad essere una lingua per l’ammissione a corsi universitari, perché diventi anche il mezzo attraverso il quale si sviluppano i commerci, gli affari, là dove si parla la medesima lingua poi è più facile mettere le radici di una politica commerciale.

È tutta una serie di questioni, che in qualche modo si tengono ed io credo che da questo punto di vista il fatto di avere nel parlamento 12 deputati e 6 senatori della comunità italiana sparsa per il mondo sia una garanzia.

L’ultima considerazione che voglio fare è relativa alla necessità di far sì che questa ripresa di contatto valga per coloro che sempre di più guardano al Brasile e in special modo a San Paolo con interesse a valorizzare il ruolo della comunità, un concetto che cerco di spiegare meglio. L’Italia – dice qualcuno – non è un grande paese, non è una grande potenza, però siamo sempre un paese che ha delle possibilità di sviluppo, e come avrete notato in un’epoca di globalizzazione, gli imprenditori, gli investimenti, cercano dei mercati, delle aree in cui investire, nella ragionevole supposizione di un ritorno, di un utile, e da qualche tempo a questa parte si guarda giustamente ad alcune aree del mondo, in particolar modo ai mercati dell’Est europeo. Ecco credo che un paese come il Brasile in cui la democrazia è consolidata, è irreversibile, elemento tutt’altro che irrilevante in Sud America. Spero di non offendere nessuno, ma quando si guarda la mappa del Sud America ci si accorge che quel valore che è la democrazia, la libertà, qui in Brasile è consolidata, in altri paesi è un po’ più a rischio – quindi democrazia strutturata – economia con un tasso di crescita al di sopra di quella che è la media italiana, ma addirittura europea, un paese in cui le possibilità di sviluppo sono enormi in ragione anche della dimensione continentale, se si guarda il mappa si scopre che il Brasile ha una dimensione che tutto sommato è uguale a quella dell’intera Europa. Ecco in un paese come questo, in uno Stato come quello di San Paolo che è il motore trainante dell’economia brasiliana, il fatto di poter disporre di questo formidabile veicolo di penetrazione, di questo biglietto da visita rappresentato da una comunità che non è la comunità diseredata ma è la comunità di esponenti politici, giornalistici, imprenditoriali, delle professioni, non c’è categoria in cui non ci sia un italiano o un discendente, credo che queste siano delle ottime ragioni per le quali chi dall’Italia pensa di investire all’estero, prima di andare a cercare chissà quali prospettive lontane, dovrebbe guardare con maggiore attenzione ad una terra come questa in cui ci sono tutte le condizioni per raccogliere i frutti di ciò che si investe.

Questa consapevolezza, in qualche modo è certamente del governo, altrimenti non sarei qui, proprio perché quel legame culturale è un legame profondo, proprio perché viviamo in un’epoca storica che non ha precedenti che è quella della mondializzazione, proprio perché tutto è immediato, presa diretta, perché quello che era la distanza non è più un ostacolo, perché ora ci si muove con grande rapidità, ma soprattutto le notizie non conoscono nemmeno lo spazio temporale, viviamo come se fossimo difronte ad una finestra spalancata sul mondo intero, proprio perché siamo in questa fase storica che cosa dobbiamo cercare di preservare? Quello che è identità, quello che è comune sentire, quello che in qualche modo è il sentirsi figli di una medesima unità, senso di appartenenza. Non è soltanto questione della lingua, è il legame con alcuni valori; il fatto è che tra l’Europa e il Sud America, tra l’Italia e il Brasile è molto di più ciò che unisce rispetto a ciò che può aver diviso o può dividere. Perché i valori di riferimento sono sempre i medesimi, sono i valori della centralità della persona umana, della famiglia, dei valori collegati al senso del dovere, sono quei valori per i quali sappiamo che è giusto rivendicare dei diritti, ma nel momento in cui si rivendica un diritto si deve ricollegare ad un dovere, è il lascito di quella cultura occidentale che ha avuto due polmoni, perché è la cultura che ha respirato in Europa, che ha visto la nostra Italia essere elemento determinante nella diffusione di quella cultura, ma c’è anche questo polmone del Sud America, dell’altra parte del mondo intero. Perché lo dico? Perché oggi il vero confronto non è come ad un tempo est-ovest, oggi è un confronto di altra natura, oggi le grandi sfide sono nel rapporto tra le civiltà, oggi il rischio dopo l’11 settembre è il terrorismo, è che ci sono i presupposti dell’incompatibilità, dello scontro tra culture e religioni diverse, e allora come non si fa a capire che Europa e Sud America che Italia e Brasile sono in qualche modo legati ad una identità profonda, di valori comuni che sono i medesimi, come si fa a non comprendere che c’è quell’arco di valori occidentali che in qualche modo rappresentano il comune appartenere. Ecco, credo che in questo senso di appartenenza si debbano poi attivare quelle politiche con sempre più stretti rapporti.

Dopo una assenza che è durata un po’ troppo tempo, il Ministro degli esteri è oggi in Brasile ed è perché siamo convinti che migliorando la qualità delle relazioni politiche e inalzandone il livello, come consequenza in qualche modo si migliora la qualità dei rapporti economici, culturali, della reciproca attenzione, di tutte le potenzialità di sviluppo che ci sono, e nello stesso momento in cui si da vita ad una politica di tipo culturale un grande paese come il Brasile trova in Italia un punto di riferimento.

Con questo spirito, credo si debba rendere omaggio alla comunità italiana in Brasile, a quella di San Paolo. Sapete perfettamente che avete avuto, ed avete ancora molte ragioni per chiedere all’Italia di essere più attiva, più presente, ma sapendo anche che il peggiore è passato, siamo alla vigilia di un appuntamento storico, sempre più sarete chiamati ad esercitare un ruolo importante nel paese che vi ospita, ma anche in contatto con l’Italia che non è più lontana e credo che questo sia anche il momento più bello per ricordare coloro che non hanno avuto la fortuna, non hanno avuto la gioia di vivere il momento del riconoscimento sociale, il momento in cui orgogliosamente si può dire, sono italiano, sono italo-brasiliano, ricordare coloro che magari non hanno sognato di poter votare e molto meno di poter eleggere uno di loro al parlamento italiano, ricordare i tanti che han chiuso gli occhi lontani dalla madrepatria soltanto con la speranza di poter un giorno riabbracciare i cari che avevano lasciato tanto tempo prima. Non è retorica, credo che sia il doveroso omaggio a chi nel passato ha gettato il seme; oggi c’è una generazione che ha raccolto i frutti, pronta a lasciare questa eredità alla prossima generazione che sarà ancor più protagonista di questo interscambio tra Italia e Brasile.

Siccome l’ingratitudine non deve mai albergare nel cuore di un uomo, né nel cuore collettivo di un popolo, rendiamo omaggio ai tanti che prima di noi sono stati orgogliosamente italiani in Brasile e a San Paolo e non hanno avuto la fortuna di poter vivere nel momento in cui essere italiani è tornato ad essere un motivo di grande, legittimo orgoglio”.

Ho voluto trascrivere integralmente queste dichiarazioni del min. Fini per capire come la pensa il governo italiano e cosa ne pensino i nostri politici.

Nonostante le belle e buone parole, i fatti dimostrano che l’Italia continua a fare attraverso i suoi parlamentari, la politica di darsi la zappa sui piedi. Vorremmo sapere se ridurre le cittadinanze, dai 60 milioni di discendenti di italiani all’estero, dagli attuali 3 oppure 4 milioni che hanno il passaporto e possono votare, nel nome di una ristrutturazione linguistica, apporterà qualche beneficio all’Italia, o se invece allontanerà definitivamente 56 milioni di potenziali italiani dal mercato e dalla cultura della penisola, perché questa proposta di legge se approvata chiuderà loro le porte.

Continuare a sbandierare l’operato degli italiani all’estero è bello, ma bisogna stare attenti che non sia in gran parte retorica, perché i fatti parlano chiaro. In Brasile, all’inizio dell’emigrazione italiana del fine XIX, inizio del XX secolo gli emigranti che vennero qui, sotto la spinta delle opportunità ma anche dei risicati successi della politica italiana, con le conquiste coloniali e la vittoria nella I guerra mondiale che pur apportarono determinazione ed entusiasmo, fondarono parecchie industrie e banche e prosperarono enormemente,

Ma ad ogni brillante idea dei politici italiani qualcosa chiude le porte, come lo è stato nella II guerra mondiale quando tutte le banche italiane o italo-brasiliane sono state incorporate dalle similari brasiliane, ed ora sono prospere fortezze di brasilianità, le grandi ditte come, Crespi, Siciliano, Poletti, Pinotti-Gamba, Trevisioli, Matarazzo, Puglisi-Carbone, Martinelli, De Camillis, Lunardelli, o sono sparite o esistono solo nel nome, la Scuola Dante Alighieri dopo la seconda guerra non è ritornata più nel grembo del sistema educazionale italiano, gli italo-brasiliani che la hanno amministrata, memori dei pasticci dell’Italia si sono ben guardati dal ritornare in patria, l’ospedale italiano Unberto I è stato chiuso, per fare solo un esempio, i libanesi ne hanno uno, e loro sono in guerra da 30 anni!

Le bandiere attuali, grazie alla politica della zappa, come Cirio, Parmalat, BNL, Sudameris di cui ci sentivamo orgogliosi, o si sono trasferite all’est europeo o hanno chiuso o i loro nomi italiani sono solo di facciata, di grandi ne rimangono tre staremo a vedere se riusciranno a chiudere anche queste.

Degli ultimi 100 anni di politica italiana ci abbiamo guadagnato, ben poco, siamo sopravvissuti grazie alla generosità del paese che ci ospita e alla nostra tenacia e lavoro, le idee dei nostri politici le abbiamo sentite nella visita recente della Commissione del Senato che è stata San Paolo, la cui visione dei senatori per la politica degli italiani all’estero, non passa dal dito che indica la luna. Ripensiamola questa politica e stiamo attenti a quel che combiniamo, non possiamo permetterci più grandi sbagli.