In Sudamerica emigrazione ed immigrazione sono le due facce della stessa medaglia e subiscono insieme i mali dell’intolleranza e del pregiudizio

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u SAN PAOLO – SP – Un’immagine ha segnato il bilancio di questo mio 2007: ero all’aeroporto di Lima, in Perú, qualche giorno fa; all’improvviso mi sono imbattuto nella enorme antisala degli imbarchi internazionali con una folla indistinta di uomini donne e bambini in lacrime.   Una moltitudine silenziosa ma singhiozzante, che inizialmente quasi impediva il mio passaggio all’area del controllo passaporti.

“Gli italiani hanno la memoria corta”, ho pensato tra me e me.

Quei volti straziati e piangenti, quegli anziani dignitosamente disperati o quei bambini apparentemente incoscienti non dovevano essere umanamente molto diversi dai personaggi che, forse cento o piú anni fa, affollavano i porti di Genova o Napoli per salutare le migliaia di partenze che per decenni caratterizzarono quello che forse è stato il piú grande esodo della storia dell’umanitá: l’emigrazione degli italiani.

Oggi i porti sono stati sostituiti da moderni aeroporti; quello che non  mi pare cambiato è il sentimento di disperazione che spinge chi scappa dalla miseria propria e della famiglia alla ricerca di condizioni migliori, magari spesso illuso da troppo facili promesse o da sogni che mai si realizzeranno.

Di fronte a questi fenomeni non vale ricorrere alla ‘strategia dello struzzo’, infilando la testa sotto la sabbia per non vedere, o peggio ancora cavalcare facili tentazioni xenofobe o peggio ancora razziste.

Tutti gli studi e le analisi serie e qualificate ci dicono che la presenza di flussi migratori dai Paesi poveri ai Paesi ricchi è un fenomeno inevitabile e in crescita; un fenomeno che va certamente regolato e controllato ma che nessuno, nemmeno gli Stati piú rigidi e meno permissivi, possono ormai impedire.

A maggior ragione quando i cosiddetti ‘Paesi ricchi’ (come l’Italia) continuano ad avere un cronico bisogno di manodopera che nemmeno i flussi migratori interni – peraltro ormai quasi fermi – riuscirebbero ad esaudire.

L’Italia ha bisogno di insistere e quindi perfezionare una intelligente e articolata politica di flussi migratori, orientata all’integrazione ed al lavoro, e ispirata alla secolare esperienza di un Paese che ha fornito braccia menti e cuori al mondo intero.

Una politica che deve prevedere corsi di formazione professionale e insegnamento della lingua italiana nei Paesi di origine di questa immigrazione, grazie ad accordi con entitá pubbliche o private qualificate e al potenziamento di specifiche unitá dentro i Consolati e gli Istituti italiani di cultura.

Questo tipo di approccio puó e deve completarsi con il recupero e la valorizzazione della grande risorsa umana, oltre che economica e culturale, costituita dai nostri discendenti all’estero e in primo luogo in America Latina.

Un Paese serio sa essere lungimirante ma è anche capace di non dimenticare il passato; anzi, proprio dalla storia puó recuperare motivazioni e linee di azione.

Purtroppo spesso la “memoria corta” finisce con l’uccidere questa speranza.   Sembra che nella ricca Italia settentrionale siano i figli o i nipoti dei meridionali che emigrarono i piú convinti sostenitori di sentimenti di intolleranza e xenofobia con gli stranieri; e cosa dire del ricco nordest italiano, una volta terra dell’emigrazione piú disperata e oggi molte volte scenario di aberranti episodi di pregiudizio e di razzismo?

Gli esempi potrebbero continuare e, ahimé, potrebbero riguardarci piú da vicino e metterci in serio imbarazzo.

Il funzionario di una nostra sede consolare mi diceva di non capire e nemmeno condividere l’emigrazione sempre piú massiccia di alcuni Paesi sudamericani verso l’Italia, un suo collega (ma di altra sede) aggiungeva di avere difficoltà ad accettare il principio del riconoscimento della cittadinanza per le generazioni piú lontane… Non capire, non condividere, a volte non accettare: ecco i risultati della “memoria corta”, una malattia sottile e contagiosa che rischia di farci perdere di vista il nostro futuro proprio quando ci illudiamo di averlo giá capito.

 

* Fabio Porta è Coordinatore UIM Sudamerica