O Brasil é um país importante para a Itália, diz o ministro D’Alema

u CURITIBA – PR – Numa longa entrevista concedida a Paolo Manzo, da revista “Carta Capital”, divulgada pela agência Aise, o ministro italiano das Relações Exteriores, Massimo D’Alema, declara que “o Brasil é um país importante para a Itália” e que, diversamente do que fez o governo anterior, o de Romano Prodi tem uma política em relação ao Brasil e à América Latina. D’Alema analisa aspectos do governo Lula e conclui por dizer que o grande desafio do presidente brasileiro, agora reeleito, é preparar as bases para o período que virá depois de Lula. Veja a entrevista, na íntegra:

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u 04/01/2007  ore 11.19  Esteri   – IL MINISTRO D’ALEMA DALLE PAGINE DI “CARTA CAPITAL”: LULA GUARDI AL SOCIALE 

SAN PAOLO aise – “Due mesi prima dell’insediamento per il suo primo mandato, Lula ricevette Massimo D’Alema, allora semplice rappresentante dell’opposizione al governo di Silvio Berlusconi. Ad ogni modo egli fu il primo politico europeo a essere ricevuto dal neo eletto. Si tratta, quindi, di due vecchi amici, così come di lunga data è l’amicizia di D’Alema con Tarso Genro e Luis Dulci. Oggi Ministro degli Esteri e Vicepresidente del Consiglio dei Ministri nel Governo di centro-sinistra di Romano Prodi, ex Segretario del PCI e, successivamente, dei DS, ex Premier prima di Berlusconi, politico con il più alto indice di popolarità in Italia, D’Alema parteciperà (vi ha partecipato il 1° gennaio, ndr) alla cerimonia di insediamento per il secondo mandato”. Così Paolo Manzo sulla rivista brasiliana di politica ed economia Carta Capital, che ha intervistato il Ministro D’Alema prima del suo arrivo in Sud America.

Nell’intervista, che riportiamo di seguito integralmente, il titolare della Farnesina “analizza l’impegno dell’amico fino ad oggi e le ragioni della sua rielezione”.

 

n Nella doppia funzione di Vice Premier e Ministro degli Esteri, Lei parteciperà alla cerimonia di insediamento del secondo mandato del Presidente Lula. Nel 2003 l’Italia di Berlusconi inviò solamente un Sottosegretario, Mario Baccini. Negli ultimi due anni Lei ha visitato quattro volte il Brasile, un Paese che mai era stato visitato dal primo ministro precedente. Tali elementi indicano che il Brasile sta diventando un Paese strategico per l’Italia?

D’Alema – Il Brasile è un Paese importante per l’Italia a prescindere dalle strategie, poiché qui vivono 24 milioni di figli e nipoti di italiani e di cittadini, tra cui Marisa, la moglie del Presidente Lula, il Ministro per lo Sviluppo, l’Industria e il Commercio, Luiz Fernando Furlan, il Governatore dello Stato di San Paolo, José Serra, e molte altre personalità politiche, del mondo imprenditoriale e della cultura. E questo è solo un piccolo esempio di cosa significhi l’Italia in Brasile.

 

n Questi legami sono ben conosciuti da chi vive qui in Brasile, ma essi esistevano anche prima della vittoria del centro-sinistra in Italia. Sarebbe interessante sapere se, considerata la sua presenza alla cerimonia di insediamento e le visite reciproche che Romano Prodi e Lula si scambieranno nel prossimo autunno, la politica estera italiana nei confronti del Brasile è cambiata rispetto all’epoca Berlusconi.

D’Alema – Sì, perché il governo precedente non aveva un politica nei confronti dell’America Latina, mentre noi ne vogliamo una. È naturale, quindi, che nel rapporto specifico con il Brasile esista un alto numero di interessi italiani, circostanza che è molto rilevante, poiché il vostro è uno dei Paesi latino-americani in cui il “Sistema Italia” è più presente. Basti pensare alla FIAT o alla Telecom Italia. La nostra intenzione è di rafforzare questo scambio, gli investimenti diretti e le relazioni politiche, facendo leva sulla forte affinità tra il governo Lula e il governo Prodi. Pensi che quando sono stato nominato Ministro degli Esteri, la prima telefonata di congratulazioni che ho ricevuto è stata quella di Celso Amorim.

 

n Il fatto è che su alcune tematiche, come, per esempio, quella del seggio permanente presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, gli interessi di Brasile e Italia sono stati divergenti nel recente passato. Che può dirmi su questo argomento?

D’Alema – Trovo l’aspirazione brasiliana a un seggio permanente nel Consiglio dell’ONU legittima, ma non realistica. E non perché si creerebbe una contrapposizione tra Brasile e Italia, ma perché divide l’America Latina. Del resto, i principali avversari di questa prospettiva sono Messico e Argentina, e non noi.

 

n Qual è la proposta del Governo Prodi per la riforma del Consiglio di Sicurezza dell’ONU?

D’Alema – Creare un organismo più democratico, con una rotazione regionale. Credo si tratti di un’idea più moderna. Discuteremo con Lula e Amorim delle soluzioni possibili, ma sia chiaro che concordiamo con loro sul fatto che il vecchio ordine non funziona e che il Consiglio deve essere riformato.

 

n Chi ha le migliori possibilità di successo?

D’Alema – L’idea di un meccanismo più gerarchico del Consiglio di Sicurezza dell’ONU – sostenuta da Germania, Giappone e Brasile – non ha avuto successo perché è stata contestata da tutti gli altri Paesi e perché, in fin dei conti, non risponde all’esigenza di un’organizzazione più democratica delle Nazioni Unite. È chiaro che, attualmente, la composizione del Consiglio esprime un equilibrio che è retaggio della Seconda Guerra Mondiale. È anche chiaro che dobbiamo studiare un meccanismo che rifletta il nuovo equilibrio mondiale vigente senza comunque aumentare il numero di membri permanenti, poiché, così facendo, si creerebbe una specie di nuovo direttorio gerarchico. La miglior soluzione, a mio avviso, è una rotazione in seno al Consiglio di Sicurezza di Paesi rappresentativi di ciascuna area, con una rappresentatività derivante dalla loro rilevanza regionale”.

 

n Italia e Brasile hanno recentemente collaborato in occasione della delicata elezione del membro sudamericano al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, quando è sorta una dura contrapposizione tra Guatemala e Venezuela. Come è stata risolta questa situazione?

D’Alema – Certo, la contrapposizione cui lei si riferisce aveva determinato un’impasse e una sgradevole frattura tra i Paesi sudamericani più importanti quali il Messico, che sosteneva il Guatemala, e il Brasile, che appoggiava il Venezuela. Noi, dal canto nostro, ci siamo astenuti dalla votazione perché non volevamo appoggiare una candidatura che dividesse l’America Latina, così assumendo una posizione unica in Europa, che è stata molto apprezzata. Ho anche parlato con il mio amico Celso Amorim, invitando il Brasile a svolgere un ruolo di mediazione e, grazie a questo intervento brasiliano, alla fine è stata trovata una soluzione con l’elezione di Panama. Grazie alla mediazione brasiliana, l’Italia ha quindi avuto un ruolo attivo nella ricerca di una soluzione unitaria a livello continentale.

 

n Tra le novità più rilevanti della politica estera del Governo Lula vi è la creazione del G-20, un gruppo di Paesi emergenti, tra cui India, Cina e Brasile, che si è prefisso l’obiettivo di negoziare le questioni agricole e commerciali in una posizione di maggior forza nei confronti del G8, del quale l’Italia fa parte. Come valuta questa iniziativa?

D’Alema – È un fatto positivo e anche un grande successo della diplomazia brasiliana, è una dimostrazione del suo dinamismo e della sua capacità organizzativa.

 

n Ma non costituisce un altro elemento di possibile attrito con l’Italia, così come con il Consiglio di Sicurezza dell’ONU?

D’Alema – È evidente che non possiamo pensare che il mondo sia governato dal G-8, il quale, proprio come il Consiglio di Sicurezza, riflette un equilibrio mondiale in procinto di essere superato. Basta pensare che oggi la Cina è la terza economia mondiale ed è proiettata a essere la prima. Il G-8 non è che un gruppo di otto Paesi, ma il criterio base sul quale si è costituito non ha più ragione di essere.

 

n Questa è una dichiarazione importante. Può spiegarla meglio ?

D’Alema – È molto semplice. Siamo in un momento di profonda trasformazione in cui è necessario saper governare questo mutamento e in cui non tanto l’Italia, ma l’Europa deve saper definire il proprio ruolo. L’Europa è una grande potenza, uno dei grandi players mondiali, ma rimarrà tale solo se saprà unirsi, integrarsi sempre di più, politicamente ed economicamente. Se, invece, si dividesse, i Paesi che ne fanno parte, incluso quello che rappresento, sarebbero per “tendenza naturale” tutti destinati a sparire dalle alte posizioni che occupano. Perché è naturale che un Paese come l’Italia, con 60 milioni di abitanti, sia superato da uno che ne ha un miliardo. Dobbiamo governare con intelligenza questo processo. Oggi ha molto più senso parlare dell’Europa piuttosto che del G-8.

 

n Altra spinosa questione è quella commerciale. Dopo le riunioni di Lisbona, nell’ottobre del 2004, e del Vertice di Vienna, del maggio del 2006, i trattati commerciali tra il Mercosud e l’Unione Europea sono paralizzati. Cosa pensa di questa situazione?

D’Alema – Credo che il pacchetto di Lisbona fosse un’offerta seria che, forse, avrebbe dovuto essere valutata con più attenzione dai Paesi latino-americani. Per uscire da quella impasse, un passaggio cruciale è costituito dal Round di Doha, anch’esso in difficoltà ed altra questione su cui dobbiamo raggiungere un accordo. Ho visto che il Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio (OMC), Pascal Lamy, ha detto che l’Europa deve offrire di più, e parleremo di questo nelle prossime settimane. Ma c’è anche bisogno di flessibilità da parte del gruppo guidato da Brasile e India. Anche così i maggiori oppositori sono gli Stati Uniti. Questo è vero.

 

n Lei quindi sostiene che il protezionismo agricolo europeo non ha avuto un ruolo decisivo nella paralisi dei negoziati?

D’Alema – Quel che voglio dire è che la colpa è spesso attribuita a questo fattore, ma, a mio avviso, i nostri amici latinoamericani non hanno valutato pienamente la portata della riforma della Politica Agricola Comune fatta dall’Europa, in base alla quale Bruxelles sta smantellando il vecchio meccanismo di incentivi alla produzione, e soprattutto non esistono più incentivi alla esportazione. Da questo punto di vista siamo molto più avanzati che i nordamericani. Per questo motivo non parte dall’Europa l’ostacolo principale, anche se credo che Bruxelles debba essere ancora più flessibile, poiché un fallimento nell’OMC, che per di più desse la chiara impressione di essere causato dall’egoismo dei Paesi più ricchi, sarebbe molto negativo per noi. Non credo quindi che sia nell’interesse dell’Europa farsi carico di una responsabilità come questa.

 

n In questi ultimi giorni il Ministro degli Esteri Celso Amorim ha definito una “tragedia” il fallimento di Doha. Alla luce di quanto è successo negli ultimi anni, come valuta la politica brasiliana di negoziati in ambito commerciale, in particolare con riferimento all’Unione Europea?

D’Alema – Penso che il Brasile abbia commesso un errore nel privilegiare esclusivamente gli accordi commerciali in ambito OMC, pregiudicando la possibilità di un accordo tra Mercosud e Unione Europea. Bruxelles ha chiuso due grandi accordi di associazione con l’America Latina, con il Messico ed il Cile, entrambi molto positivi per i Paesi firmatari. Credo che il Brasile, con il mio amico Celso Amorim, abbia commesso un errore strategico nei negoziati, partendo dal presupposto che avrebbe conseguito in ambito OMC una completa liberalizzazione ed apertura dei mercati per i prodotti latinoamericani senza pagare il prezzo di un’apertura dei mercati latinoamericani ai beni e servizi europei. Credo che questo sia stato un errore di calcolo, dal momento che l’Accordo tra l’Unione Europea e il Mercosud, per il quale avevo lottato in qualità di parlamentare europeo, era molto vicino ad essere concretizzato a Lisbona.

 

n Era vicino, ma non era esattamente vantaggioso per il Brasile o per gli altri Paesi latinoamericani. O no?

D’Alema – Non concordo. Era un accordo vantaggioso per l’America Latina perché, anche non liberalizzando i mercati, prevedeva un grande aumento dei contingenti e delle quote che avrebbe comunque favorito una notevole crescita dell’interscambio e delle esportazioni agricole latinoamericane verso l’Europa.

 

n Come vede la politica estera del primo mandato Lula?

D’Alema –  Ha dato al Brasile un grande dinamismo, una grande capacità d’iniziativa che ha fatto del Paese un grande protagonista della politica internazionale, sia in ambito latinoamericano sia sul piano internazionale. In secondo luogo credo che le esigenze portate avanti dal Brasile siano giuste: esiste un vecchio sistema che non riflette gli equilibri attuali ed esistono Paesi emergenti che chiedono uno spazio maggiore. Credo che alcune modalità adoperate dal Brasile per soddisfare quelle esigenze e talune proposte avanzate dal Paese meritino una riflessione, poiché alcune scelte fatte dal Brasile, sia la battaglia per un seggio permanente nell’ONU sia il modo in cui sono stati impostati i negoziati commerciali, non hanno dato i risultati che, forse, si sarebbero potuti raggiungere in altri modi.

 

n In relazione a quella di Fernando Henrique Cardoso, qual è la sua impressione sulla nuova rotta della politica estera con Lula?

D’Alema –  La grande novità di Lula è stata che ha esercitato e vuole esercitare un forte ruolo a livello continentale. Il Brasile è sempre stato un grande Paese molto isolato in America Latina. Negli ultimi anni, invece, ha sviluppato una forte politica in favore dell’integrazione latinoamericana, assumendo il ruolo di Paese leader nella regione. Un ruolo che gli appartiene per forza economica, numero di abitanti e dimensione territoriale. Credo che questo sia un fatto molto positivo. È anche importante che fin dall’inizio Lula abbia affermato che vede nell’Unione Europea un punto di riferimento, di partenza per creare una grande unione latinoamericana. Il Brasile ha oggi una politica che si focalizza molto sulla dimensione dell’America del Sud, anche perché il Messico e i Caraibi sono un’altra cosa.

 

n In che senso?

D’Alema –  Nel senso che, per esempio, credo che sia importante che si sviluppi un dialogo tra Messico e Brasile, quale cardine della costruzione di un’entità latinoamericana che non interessi solamente il Continente sudamericano.

 

n Dopo 5 anni di black-out nell’era Berlusconi, crede che l’Italia potrebbe guidare le iniziative dell’UE nel Continente latinoamericano?

D’Alema – L’Italia può proporsi, non in concorrenza con la Spagna ed il Portogallo, bensì insieme con loro, come uno dei Paesi europei in grado di rappresentare una sorta di lobby latinoamericana nel cuore dell’Unione Europea, con l’obiettivo di sviluppare le relazioni tra le due regioni e anche di rafforzare i legami politici ed economici di Roma in questi Paesi, a cominciare dal Brasile.

 

n Perché sarebbe nell’interesse dell’America Latina un rapporto rafforzato con l’Europa?

D’Alema – Tanto per controbilanciare la presenza nordamericana, quanto per le affinità politiche e culturali, nonché per una possibile integrazione economica con l’Europa.

 

n Qual è il senso di questa possibile integrazione economica?

D’Alema – L’Europa produce servizi e ha un’industria di qualità, mentre l’America Latina ha bisogno di esportare materie prime. Vi è pertanto una potenziale integrazione economica che, a mio avviso, può raggiungere traguardi molto più avanzati e davvero più ambiziosi, cosa che non è stata fatta fino ad oggi.

 

n Come giudica l’uscita delle principali banche italiane, da Banca Intesa alla BNL, dall’America Latina, in un periodo di stabilità finanziaria e relativa crescita, in controtendenza con quanto fatto dagli spagnoli?

D’Alema – Credo che le banche italiane abbiano preso questa decisione di uscire già alcuni anni fa, quando, in un momento di crisi, non riponevano piena fiducia nelle prospettive di ripresa della crescita in America Latina. Certamente è stato un errore, perché chi ha resistito è stato premiato. Oggi, in America Latina, il sistema imprenditoriale italiano è presente e, a mio parere, anche quello finanziario potrebbe tornare. Solo, o assieme agli spagnoli.

 

n Come valuta la virata a sinistra effettuata, con eccezione del Messico e della Colombia, dalla regione latino americana a partire dal 1999?

D’Alema – Ricordi che in Messico, con Andrés Manuel Lopez Obrador, la sinistra quasi ha vinto le elezioni.

 

n Quasi, ma non ci è riuscita. A meno che non si accetti l’ipotesi delle azioni intraprese dalla AMLO…

D’Alema –  Assolutamente no. Rispetto i risultati.

 

n Bene, torniamo alla crescita della sinistra in America Latina.

D’Alema –  Credo che sia un fatto enormemente positivo questa forte virata a sinistra, e che oggi, soprattutto l’America del Sud, con l’eccezione del Paraguay e della Colombia, sia interamente governata da amministrazioni di sinistra e di centrosinistra. Anche se con varie tonalità di rosso.

 

n Come spiegare questa onda continentale progressista?

D’Alema –  Credo che questo cambiamento sia derivato dalla capacità della sinistra latinoamericana di liberarsi dai vecchi schemi e, da questo punto di vista, l’esperienza più importante è stata certamente quella del Brasile di Lula, in ragione della grande capacità di portare al governo una sinistra che aveva una lunga tradizione di opposizione ed antagonismo e che era considerata inadatta a governare.

 

n Anche così non è stato facile.

D’Alema –  Certo, le difficoltà sono state numerose. Tutti conosciamo la frammentazione politica di un Paese come il Brasile, in qualche modo simile a quella italiana, gli scandali, la corruzione e tutto il resto. Sotto la guida di Lula, il Brasile ha ottenuto una notevole riduzione delle disuguaglianze e della povertà, parola che è giustamente entrata nell’agenda politica del Paese.

 

n E le altre tonalità di rosso cui Lei si riferiva?

D’Alema –  Guardi, in America Latina esistono governi riformisti e governi populisti che sono nati dallo stesso drammatico disagio sociale dell’America Latina. Ma si tratta di risposte differenti. Credo che la risposta vincente sia quella riformista, che, in alcuni Paesi, ha ottenuto grandi successi.

 

n Qual è l’esempio più emblematico a parte il Brasile?

D’Alema –  Quello del Cile, un Paese che, dopo la caduta delle dittatura, è stato governato da una classe dirigente che ha ottenuto grandi risultati. Quindi, se guardiamo ai risultati, le forze progressiste che guidano il Continente hanno lavorato molto bene. Anche perché l’America Latina si trovava in una situazione drammatica di emarginazione e miseria, ma, negli ultimi anni, è stata attraversata da dinamismo economico, dai processi di cambiamento sociale e da una nuova capacità di essere protagonista sul piano internazionale.

 

n Quali sono i punti forti e deboli del Brasile di Lula? So che Lei mi dirà che è il Ministro degli Esteri di un altro Paese, ma faccia un’eccezione.

D’Alema –  Lo sviluppo economico e la lotta contro la fame e la disuguaglianza. Sono stati questi i due punti di forza dell’esperienza di Lula nei suoi primi quattro anni di governo. Il punto debole, secondo me, è la frammentazione e la fragilità del sistema politico e della sua classe dirigente. Questa volta Lula ha vinto distanziandosi dal PT e ha fatto un’operazione corretta, perché altrimenti non sarebbe riuscito a ricreare un rapporto di fiducia con gli elettori.

 

n Che dobbiamo aspettarci dal secondo mandato di Lula?

D’Alema –  Credo che ora egli abbia una grande responsabilità.

 

n Quale?

D’Alema – Porre le basi per ciò che verrà dopo Lula. Perché o si costruisce un sistema politico forte che apra alle forze progressiste brasiliane la prospettiva di non essere più legate ad una sola persona, o esiste il rischio che, dopo di lui, il Paese torni a vivere le sue contraddizioni e le sue crisi. Lula dovrebbe dare alla sinistra brasiliana una politica più forte che vada oltre il suo destino personale. Il secondo banco di prova sarà l’integrazione regionale. Il Mercosud, l’Unione Sudamericana, la Comunità Andina… Esiste un fervore di idee e iniziative, ma credo che sia necessario il coraggio di dare un grande impulso in direzione dell’integrazione regionale, e so che questo è uno degli obiettivi di Lula. Senza nulla togliere alle altre esperienze, il punto di partenza è il Mercosud, che può essere l’ambito giusto per rilanciare un processo realista e concreto di integrazione regionale. E la nomina dell’argentino Carlos “Chacho” Alvarez alla presidenza della Commissione del Mercosud, un uomo intelligente, dinamico che intrattiene ottimi rapporti con i leader brasiliani, mi dà buone speranze”. (aise)