Lorenzo Del Boca presidente dell’Ordine dei Giornalisti d’Italia, nella sua allocuzione al II Workshop della Stampa  alla FIESP. Hanno partecipato al dibattito Sérgio Murillo de Andrade presidente della Federazione dei Giornalisti del Brasile, José Augusto Camargo del Sindacato dei Giornalisti Professionisti dello Stato di San Paolo, Franco Po Coordinatore dei Giornalisti Italiani nel Mondo, Alberto Fumi del direttivo ODG,  Ennio Bartolotta direttore Generale dell’ODG, giornalisti e mass-media.

PATROCINANDO SUA LEITURA

 

u SAN PAOLO-SP – All’inizio dell’unificazione d’Italia, i giornalisti avevano interesse a raccontare le cose del Parlamento e di raccontarle in termini così polemici da essere spesso in urto con altri colleghi parlamentari che il più delle volte erano anche giornalisti, direttori ed editori.

L’Italia è un paese strano, di individualisti, allora non c’erano dei partiti  tradizionali  come si potrebbero immaginare oggi. I dibattiti, gli scontri, avvenivano per ideee omogenee, ma idee omogenee non vuol dire idee uguali, ognuno faceva un partito per se e la polemica non avveniva di sovente con il parlamentare ideologicamente più lontano, ma avveniva spesso con il parlamentare più vicino.

 

La pubblicazione di un articolo significava un dissidio tremendo per cui il più delle volte, la persona che era l’oggetto dell’articolo scritto, sfidava a duello la persona che lo aveva firmato. Il duello avveniva con la spada e per legge doveva essere  al primo sangue, il primo che toccava con la spada la pelle dell’avversario, provocando per l’appunto il primo sangue, si interrompeva il duello. Però un conto è dire, un conto è fare, perché spesse volte si andava a terminare al primo sangue, però la spada non conosceva le leggi, andava dove andava, e quindi frequentemente il primo sangue  era sangue senza aggettivi, e c’erano dei morti.

 

Nell’ultimo decenni del 1880, nei primi anni de 1890, c’erano stati quattro o conque morti, l’ultimo morto era stato, se qualcuno ha il ricordo storico Felice Cavallotti, che era un parlamenatre della sinistra, allora la sinistra veniva chiamata democratica, che polemizzò lunghissimamente con Francesco Crispi, che era presidente del Consiglio, pure lui democratico, che  però quando era divenatto presidente del Consiglio,  era diventato  il più conservatore di tutti, e Cavallotti, con libri, pubblicazioni, discorsi fece una polemica tremenda nei confronti di Crispi che era il leader del suo partito e che lui considerava un traditore. Avendo scritto un articolo, qualcuno lo aveva sfidato e lasciò scritto  nel suo diario “andiamo a farci un taglio”  e in realtà il taglio l’ha portato a morire perché la punta della spada gli ha toccato lacarotide e nel giro di tre, quattro minuti era morto.

Giornalisti si sono riuniti in assemblea e hanno detto “ ma  mica possiamo ammazzarci ogni volta che scriviamo un articolo”, dobbiamo riunirci e trovare un modo di comporre le vertenze giornalistiche prima di sfidarci a duello e la prima organizzazione giornalistica in Italia nasce da questa esigenza, va avanti per 100 anni e solo nel 1963 prende una forma legislativa, parlamentare.

 

Guido Gonnella, che era un parlamentare, che è stato ministro dell’Istruzione e della Giustizia, nelle diverse legislature si prese la responsabilità di scrivere un testo di legge e farlo approvare. La legge tutto sommato c’è e dice che il giornalista deve essere libero ed autonomo dal potere poitico e dal potere economico e che questa sua libertà, che questa sua indipendenza ed autonomia, sono garantite appunto da una legge che gli attribuisce queste prerogative. Nel 1973 era soprattutto il potere politico, quello dal quale bisognava guardarsi specialmente in Italia, erano i pertiti che avevano i giornali, erano i partiti che controllavano le banche ed erano le banche che davano le possibilità finanziarie per sopravvivere e quindi c’erano fisicamente giornali di partito, il comunista aveva l’Unità, il Democratico Cristiano aveva  Il Popolo, il Socialista aveva l’Avanti, ma anche giornali così detti indipendenti avevano in qualche modo un legame con i partiti.

 

Mi viene in mente un colelga di Torino che lavorava nella Gazetta del Popolo che è un giornale che nasce con l’unità d’Italia che formalmente indipendente era, in realtà dipendente dalla Democrazia Cristiana la quale nominava il Consiglio di amministrazione e si curava di pagare i debiti. Adesso il potere politico non ha questa evidenza così assoluta, adesso il potere è soprattutto il potere

economico al punto che i nostri editori sono editori che fanno altre cose prima di fare dei giornali e quindi chi ha ”La Stampa” (giornale  di Torino),  prima deve fare le automobili, perché ha al FIAT, chi ha “La Repubblica” prima deve fare i computer,  perché De Benedetti fabbrica computer, chi ha “Il Messaggero” prima fa dei mattoni, perché ha delle grandi industrie di costruzioni, ma il fatto che sia combiata la geografia del potere non cambia il valore dell’autonomia, la libertà che i giornalisti devono avere.

 

Tra l’altro è un problema a mio avviso italiano, ma in qualche modo mondiale. Adesso il giornalista corre un serio rischio sul piano della sua indipedenza, della sua professione, perché il giornalista gradito oggi ai così detti poteri forti, che sono forti davvero, è il  giornalista arruolato,  come è avvenuto nella recente guerra dell’Iraq, in divisa, con le mostrine, il che significa appartenere  ad un reparto in guerra, e che inevitabilmente sente soltanto una parte  e trascura l’altra, amplifica le scarsissime virtù degli uni, per nascondere  magari le poche virtù degli altri, fa interviste con gli avversari in ginocchio, fatte con gli amici, per essere esageratamente aggressivo con i rivali che diventano nemici.

 

Il giornalista non è più testimone del suo tempo, non è più la cartina di tornasole della civiltà del suo paese e quindi in ultima analisi l’elemento della democrazia, ma diventa un propagatore, un propagandista, non scrive degli  articoli per informare, ma scrive dei pezzi pubblicitari per amplificare alcuni valori  e diminuirne degli altri, allora se questo è,  noi almeno sul piano dei principi dobbiamo avere un punto di riferimento legislativo, che dica che i giornalisti sono un’altra cosa, convengo che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare,  e che spesso l’affermazione di principi non si traduce automaticamente  nella pratica quotidiana per cui l’affermazione che  che il  giornalista deve essere libero, indipendente, autonomo, di per sè  non vuol dire che poi  lo sia davvero, però se non  cominciamo dai principi poi non arriveremo mai nemmeno alla pratica.

Abbiamo deciso che la schiavitù è cosa enorme e abnorme nella società, purtroppo, negli ultimi tempi si dimostra che la schiavitù  comincia di nuovo a fare capolino, bambini che vengono costretti a lavorare quindici ore al giorno nei sottoscala, soprattutto nei paesi dell’oriente, la schiavitù della prostituzione in Italia, degli albanesi, degli africani, che vengono importati, gli si rubba il passaporto, gli si fa il rito vudù e li si costringe a battere per le strade, a favore di negrieri. Ma il fatto che i principi vengono contraddetti non vuol dire che dobbiamo cancellare il principio che la schiavitù è un reato ed è cosa ignobile, anzi ci si deve impegnare, lottare perché questi principi abbiano effettiva e reale attuazione, è questo il compito che tocca ai giornalisti ed alla cosidetta società civile.

 

Allora noi che abbiamo nelle mani l’informazione, dobbiamo seguire la via teorica, per tentare di rivendicare per noi i principi che riteniamo indispensabili, e poi certo dobbiamo essere solidali tra noi, per prendere delle posizioni e metterle anche in pratica, e come facciamo a metterle in pratica se non richiamando il collega che non lo fa,  al limite punendolo e al limite impedendolo di fare questo lavoro.

 

La deontologia professionale dice che se uno sbaglia deve essere punito, può essere punito con un richiamo, con una sospensione dalla professione,  e addirittura con la radiazione, perché il giornalismo deve difendersi, deve avere la possibilità di  dimostrare quello che è, perché se l’informazione diventa altra cosa è chiaro che la professione del giornalista non ha più ragione di esistere.

 

Voglio farvi un altro esempio, i danni provocati da una informazione sbagliata sono incommensurabili  rispetto a qualunque altro danno. Il chirurgo che opera in modo sbagliato nel corpo umano, nel peggiore dei casi ammazza una persona. L’informazione occupa l’intero corpo sociale e l’errore chirurgico fatto dal giornalista  ha una ripercussione su tutta la società, che viene impedita di conoscere la verità che viene travisata e portata su un altro segmento e quindi viene condotta in errore, da questo si evince che l’informazione  che i giornalisti fanno è cosa importante e i giornalisti prima dei loro diritti devono incominciare a praticare i loro doveri, il primo dei quali è di essere consapevoli che il loro non è un mestiere qualunque, che nessuno è obbligato a fare il giornalista, che se però il giornalismo  lo fanno lo devono fare con serietà.

 

Alla fine del pannello, José Augusto Camargo presidente del Sindacato ha consegnato a Del Boca tre publicazioni: Storia del Sindacato dei Giornalisti, commemorativa dei 60 anni della FENAJ; Storia del Movimento sindacale in San Paolo; Guida di “chi è chi” nel giornalismo economico.