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CURITIBA – PR – Três novos consulados italianos – um em Ashgabat, na capital do Turkmenistão (ex-União Soviética), outro na China (Chongqing) e o terceiro no Vietname (Ho Chi Minh/Saigon) – em busca de novos mercados, em troca do fechamento de 14 sede diplomático-consulares italianas ao redor do mundo.A ingormação é do MAE – Ministero degli Affari Esteri. 

Para o Brasil e para a América do Sul, por enquanto não se fala em fechamento, mas muito menos em novos, embora haja a reivindicação de sedes consulares para Santa Catarina e para o Estado do Espírito Santo.

O tema foi abordado na edição de 28 último do jornal italiano “Il Foglio”. Os consulados a serem fechados, segundo o jornal, seriam os de Toulouse (França), Mons (Bélgica), Spalato (Croácia), Scutari (Albânia), Alexandria (Egito), Sion, Neuchâtel e Wettingen (Suíça). Segundo o jornal, poderão também ser fechados os consulados de Newark, no estado americano de Nova Jersei; Brisbane e Adelaide, na Austrália; Timisoara, na România; e Amsterdã (Países Baixos).

O plano de reorganização dos consulados italianos está sendo tocado pela ministra das Relções Exteriores da Itália, Emma Bonino, que há alguns dias enviou às comissões das Relações Exteriores do Senado e da Câmara dos deputados a vice-ninistro Marta Dassù, para prestar os devidos exclarecimentos. “Nosso país depende do Exterior” – disse Dassù – , acrescentando que “existe uma Itália fora da Itália, pois nosso país depende fortemente da importação de energias e matérias primas”. Ainda segundo ela, a Itália poderá ter uma retomada em seu crescimento apenas se estiver na esteira dos “novos mercados”.

Desde 2006, ainda segundo o jornal, o número de diplomatas italianos diminuiu em 10%, enquanto o volume de pessoal na rede representa a metade da França, Alemanha e Inglaterra. A reforma atingirá também os Institutos de Cultura (no Brasil funcionam dois deles – no Rio de Janeiro e em São Paulo).

A matéria publicada pelo jornal “Il Foglio”, de autoria de di Giancarlo Salemi, está transcrita abaixo

28 settembre 2013 – ore 06:59

Così la Farnesina riorganizza i consolati sulle rotte energetiche

Il ministero degli Esteri tra nuova spending review e vecchie sedi diplomatiche poco strategiche. Chi si oppone

Una volta era la via della seta. Oggi è la strada dell’energia e degli affari. Così, spinto anche da esigenze dettate dalla continua stretta sui conti pubblici, il ministro degli Esteri Emma Bonino ha cominciato a ridisegnare la mappa dei consolati italiani all’estero con un obiettivo: puntare sui paesi emergenti che non conoscono crisi economica e sono forti nel campo energetico e industriale. Per questo, a breve, nasceranno tre nuovi consolati: ad Ashgabat, capitale del Turkmenistan, a Chongqing in Cina e a Ho Chi Minh in Vietnam dove ormai ci sono più aziende che risaie. A presentare il piano alle commissioni Affari esteri di Camera e Senato è stata Marta Dassù, viceministro che sta seguendo il dossier in modo scrupoloso.

“Il nostro paese vive sull’estero, esiste un’Italia fuori dall’Italia, perché il nostro paese dipende fortemente dall’import di energie e materie prime e possiamo rilanciarci solo guardando ai nuovi mercati”, ha detto il numero due della Farnesina. Insomma basta alla vecchia logica dei consolati per vecchi emigrati, che oramai sono più che integrati con i paesi dove vivono, e più presenza verso quei paesi che crescono a velocità doppia o più che doppia rispetto al nostro. Così, visto che il capitolo a favore dell’emigrazione dopo i tagli della spending review avviata dal governo Monti l’anno scorso è ridotto a un miliardo e trecento milioni di euro, per far nascere le nuove strutture bisogna chiudere 14 sedi. E bisogna farlo a tappe spedite. Una prima tranche prevede la soppressione entro il prossimo 30 novembre di otto consolati. Cancellato quello di Tolosa in Francia, quello di Mons in Belgio, via quello di Spalato in Croazia e Scutari in Albania, così come quello ad Alessandria d’Egitto, di Sion, Neuchâtel e Wettingen in Svizzera. Su queste chiusure, tranne qualche voce sparuta, ad esempio su Spalato e Scutari, in teoria strategici in quanto i Balcani fanno parte delle politiche di sviluppo di molte aziende italiane, non si sono levate mozioni d’ordine.

Ma è sul secondo tempo del piano che invece c’è una forte resistenza politica e burocratica. Non a caso la chiusura dei consolati è slittata alla data del 28 febbraio 2014. Si parla di eliminare Newark, storica sede presente nel New Jersey, culla di quella che fu l’emigrazione italiana nel secolo scorso e dove ancora oggi tra italiani di vecchia e nuova generazione si contano circa un milione e mezzo di persone. Ma ci sono forti polemiche anche per l’eliminazione dei consolati di Brisbane e Adelaide in Australia, paese che oltre a rappresentare l’approdo di molti emigranti negli anni Cinquanta oggi sta raccogliendo una nuova migrazione italiana a caccia di posti di lavoro. “Una decisione scellerata”, ammonisce Francesco Giacobbe, senatore del Partito democratico eletto nella ripartizione Africa-Asia-Oceania che non si spiega i criteri con cui la Farnesina ha deciso con un bianchetto di cancellare due uffici che funzionano molto bene. “Queste sedi vanno salvaguardate per i tanti connazionali che hanno dei diritti che non possono essere calpestati”. Le tesi di chi si oppone al ridimensionamento si fondano sul fatto che l’Australia negli ultimi anni è diventata meta di molte aziende italiane – l’Istituto per il commercio estero ne ha censite oltre 120 da Barilla, a Campari, Fendi e Ferrero ma anche Mapei, Saipem, Nuovo Pignone – e non è di certo il Belgio o la Svizzera: sia per dimensioni che per le distanze tra le città. Insomma spostare tutto su Sydney e Melbourne moltiplicherebbe i disagi dei connazionali.
Altro consolato che segna un po’ la fine di un’epoca è quello di Timisoara, in Romania. Negli anni Novanta, la cittadina romena veniva considerata come una sorta di “ottava provincia” veneta per le centinaia di aziende tricolori che l’avevano scelta come base per delocalizzare le proprie attività. Ma un po’ per la recessione economica che ha colpito il governo di Bucarest, costretto a un prestito di salvataggio da 20 miliardi di euro ottenuto dall’Unione europea e dal Fondo monetario internazionale, un po’ perché le aziende italiane alla fine delocalizzano dove il costo del lavoro è ancora più basso che a Timisoara, vedi la Moldavia, anche il mito dell’imprenditore del nord-est è andato via via sfumando. E qualcuno nell’apparato della Farnesina dovrà farsene una ragione.
Ultimo consolato a chiudere tra nove mesi sarà quello di Amsterdam. “Il nodo è tutto all’interno alla Farnesina – dice critico il deputato del Pd Marco Fedi – Si cambia per risparmiare appena 8 milioni di euro, davvero molto pochi”.

Il gioco non vale la candela? Dalla Farnesina invitano a fare i conti con la realtà: dal 2006 il numero di diplomatici è diminuito del 10 per cento, il personale è la metà di quello di Francia, Germania e Gran Bretagna. E se si vuole stare al passo con i tempi da qualche parte bisognava pur cominciare. “Non è che un primo passo – conclude il viceministro Dassù – In questa riorganizzazione andranno inclusi anche gli istituti di cultura”. Altro tema caldo che sta già mettendo in allarme l’ovattato mondo delle feluche.

di Giancarlo Salemi

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