In questo ultimo mese, due diverse persone hanno parlato con me dell’Anusca – che, per chi non lo sappia, è l’Associazione Nazionale Ufficiali di Stato Civile e d’Anagrafe, entità che riunisce, come associati, migliaia di “Comuni” e di funzionari di Registro e ‘Anagrafe italiani e che ha come missione, tra le altre, formare, informare e fornire assistenza consultiva di migliaia di comuni all’estero.

La prima di queste persone, collegata alla Arpen – Associazione degli Ufficiali di Stato Civile, entità simile all’Anusca in Brasile, fatte le dovute proporzioni – si è detta molto preoccupata su come l’Associazione italiana, in teoria, si stesse rendendo, nell’ambiente degli ufficiali di anagrafe italiani, responsabile di raccomandazioni appartenenti alla realtà giuridica brasiliana, molte delle volte a discapito dei diritti degli italo-brasiliani, scommettendo nelle interpretazioni draconiane – o persino totalmente non considerando – la pratica di registro e legislativa del Brasile.

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La seconda di queste persone, collegata all’Anusca, sentendo tali critiche, ha fatto un’enfatica difesa dell’entità italiana, non solo utilizzando la supposta corretta legalità dell’entità come argomento, ma anche inviandomi una circolare dell’Anusca in cui uno dei suoi esponenti, criticando il Ministero dell’Interno, si poneva contrario alla tesi della grande naturalizzazione e all’invio, da parte del Ministero, ai comuni italiani, della raccomandazione di sospensione dei processi di riconoscimento della cittadinanza degli italo-brasiliani fino a successivo giudizio della questione da parte della Corte Suprema.

Diceva il grande filosofo Aristotele: la verità è sempre nel mezzo. In altre parole, da tutto si estrae una qualche verità – ed è nella prudente attività della ragione umana che troviamo denominatori comuni che possono far avanzare la scienza e, anche, le intese che siano comuni alle persone.

C’è anche un po’ di vero in chi dice che l’Anusca, attraverso i suoi esponenti, spesso potendo assumere posizioni diverse in relazione alle questioni controverse che coinvolgono i nostri diritti, finisce presentando interpretazioni a noi deleterie.

Posso citare come esempio uno dei libri del Dott. Renzo Calvigioni che, insieme a Tiziana Piola, opta, quasi sempre, per interpretazioni molto negative per tutti noi – seppur avendo la possibilità di scegliere, sempre nella legalità, interpretazioni più favorevoli.

Solo per citare un esempio: nella pagina 134 del libro Il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis, pubblicato dalla Maggiore Editore, l’autore è enfatico nella difesa della tesi che la naturalizzazione dell’ascendente italiano emigrato prima del 1°/7/1912 (data dell’entrata in vigore della Legge nº 555/1912), ai sensi del comma III, dell’art. 11, del Codice Civile del 1865, interrompe la linea di trasmissione anche per i figli nati prima della naturalizzazione, anche se lo stesso Ministero dell’Interno si è manifestato, nel 2009, per l’assenza di soluzione di continuità tra le leggi italiane che hanno trattato di cittadinanza nel corso di questi oltre 150 anni.

Non è qui accettabile la difesa dell’estrema legalità: anche perché, come sappiamo, integrano il sistema normativo italiano le regole del diritto comunitario e internazionale – così ben utilizzate dalla Corte di Cassazione nelle decisioni di agosto di questo anno per difendere il carattere di diritto fondamentale, originario e imprescrittibile del diritto alla cittadinanza, perfezionato solo per il fatto della nascita da padre (o madre) italiani. Resta il dubbio, legittimo quindi, del motivo per cui il Dottore Calvigioni semplicemente si sia dimenticato di queste norme, anche applicabili, per scommettere in una lettura così stretta (e, diciamolo, incostituzionale) dell’art. 11, III, del Codice Civile del 1865.

Avrei potuto dare qui molti altri esempi ma mi limiterò solo a questo, per ora.

Interessante notare che la difesa legale non ha nemmeno senso a causa di leggi nazionali attualmente in vigore in Italia – che sono reiteratamente non prese in considerazione, come se nemmeno esistessero! Posso citarne due, entrambe di nostro interesse: la Legge 218/95, che presenta le regole di applicazione extraterritoriale delle leggi italiane e risolve i conflitti di giurisdizione con altri Stati (ossia, un franco statuto di diritto internazionale privato) e la Legge 336/1993, che ha ricevuto l’Accordo di Cooperazione Bilaterale Brasile-Italia in materia civile.

Mentre la prima legge apre uno spazio per l’interpretazione delle leggi straniere secondo i loro specifici criteri (art. 15) e per l’applicazione di queste leggi, per la giurisdizione italiana, in materie che tanto ci interessano, come è il caso delle norme del diritto di famiglia e dei diritti di registro (vedi, p. ex., artt. 24, 26, 27, 28 e 33), la seconda è esplicita sulla forma dei documenti prodotti in Brasile da autorità brasiliane ufficiali (art. 12): dispensa qualsiasi forma di autenticazione, essendo sufficiente che il documento contenga la firma dell’autorità brasiliana ed il timbro o sigillo ufficiali. Non sono a conoscenza, a tutt’oggi, di nessuna difesa istituzionale che consideri le questioni controverse del conflitto di giurisdizione tra Italia e Brasile alla luce di queste due indispensabili leggi. Saranno scenari dei prossimi capitoli.

D’altra canto, c’è anche un qualcosa di vero in chi difende la giurisdizione italiana dall’ingerenza delle leggi brasiliane, poiché si tratta, anche, di una questione che coinvolge la sovranità. Ovvio che la competenza di “dire il diritto” applicabile in Italia è delle autorità pubbliche di quel paese. E, quindi, a questo punto dobbiamo ammettere: la diplomazia brasiliana, per quanto riguarda i suoi 30 milioni di italo-discendenti, rasenta il ridicolo.

In presenza di una fetta così espressiva della popolazione con la cittadinanza italiana (formalmente o no riconosciuta), possiamo considerare nulli gli sforzi di Itamaraty per cucire accordi bilaterali che portino vantaggi espressivi per gli italo-brasiliani, tanto per quanto riguarda la cittadinanza italiana come per questioni collegate, come la libera circolazione di persone, di beni, di tecnologie, ecc.

Ora, nonostante le leggi italiane attualmente in vigore consentano che buona parte delle nostre leggi siano applicabili per la giurisdizione italiana, è necessario che la diplomazia brasiliana si sforzi per rafforzare i legami ed effettivamente avvicinare entrambe le giurisdizioni.

È anche vero che sforzi che non coinvolgono necessariamente tanto l’Anusca, come il Ministero dell’Interno, tenderanno a cadere nel vuoto. Ciò perché la regola di riconoscimento (per usare qui un concetto di Hart) richiede dagli Ufficiali italiani che tanto uno come, in particolare, l’altro, degli organi siano d’accordo.  In effetti, non saremo ascoltati se cercheremo di “parlare da soli”, ossia senza la “benedizione” di questi organi. Ecco l’importanza indispensabile di essere in dialogo costante con loro.

In questo senso, avremo due eventi – uno di loro confermato. Il 29/10, presso il Circolo di San Paolo, con organizzazione dell’avvocato Maria Stella La Malfa, vi sarà l’opportunità di parlare di queste questioni alla presenza del Dott. Renzo Calvigioni (del quale ho sopra citato una pubblicazione); a novembre, a Roma, ancora da confermare, potremo avere un secondo incontro, nell’Ambasciata brasiliana, organizzato dall’avvocato Claudia Antonini, con la partecipazione di rappresentanti di Arpen, Anusca e Ministero dell’Interno.

Sarà a partire da questi incontri e opportunità che potremo costruire intese comuni e corretti dal punto di vista legale che diano benefici a tutti, in particolare ai soggetti di diritto del nostro interesse: i milioni di italo-brasiliani residenti in Brasile o all’estero.

Se l’Anusca è amica o nemica è una domanda a cui, nel concludere questo articolo, non posso rispondere. Anzi, più interessante sarebbe anche abbandonare questa questione, evitando antagonismi che, come sempre, sono così controproducenti nell’arena della lotta per diritti. Usiamo le nostre energie per creare opportunità di dialogo con le istituzioni italiane, cercando, quando possibile, l’applicazione più giusta – e legalmente corretta – delle norme che tanto ci interessano, siano esse brasiliane o italiane.

Dobbiamo aver fede e mettere a fuoco l’aspirazione umana più profonda: sempre voler fare il giusto e dare il meglio, per il bene di tutti. Arrivederci al prossimo numero.