“Ricevo la notizia con molta tristezza perché in essa vedo che questo signore vuole cancellare la storia degli italiani di Juiz de Fora”. La reazione è dell’avvocato Paulo José Monteiro de Barros, presidente della “Casa d’Italia” di Juiz de Fora, Minas Gerais, commentando una lettera extragiudiziale di sfratto ricevuta il 24 settembre nella quale si da il termine di 30 giorni per liberare e restituire le chiavi del tradizionale immobile costruito negli anni ’30 del secolo scorso con risorse della comunità italiana locale. “In mancanza di disoccupazione volontaria entro i termini stabiliti – diceva la notifica – verrà promossa un’azione giudiziaria”.

Monteiro si rattrista ancor di più al vedere che la lettera è firmata dal console d’Italia a Belo Horizonte, Dario Savarese. “Vuole mettere una pietra sulle tante cose importanti fatte dagli italiani…all’improvviso vuole cancellare tutta questa storia”, ha detto Monteiro nel pomeriggio di oggi in video-intervista concessa alla rivista Insieme. Ha aggiunto di non sapere i motivi per cui il console agisce in questo modo, improvvisamente e contrariamente alle discussioni tenutesi all’inizio dell’anno, prima della pandemia del Coronavirus.

PATROCINANDO SUA LEITURA

Oltre a ciò, il sito del consolato italiano in Minas Gerais pubblica, fin da ieri, avviso di un’asta a firma del console Savarese dando tempi e condizioni per la realizzazione dell’asta stessa e la presentazione delle offerte – un’indicazione che vuole eliminare tutto e vendere l’immobile. Nella Casa si tengono corsi differenti, lezioni di italiano, danza, folclore, gastronomia e molte altre attività, coinvolgendo circa 70 persone, molte di esse con contratti sottoscritti e in pieno vigore.

L’immobile in cui si trova la “Casa d’Italia” si trova in nome del governo italiano ma, secondo Monteiro, ciò è stato solo un modo trovato dal gruppo fondatore della Casa per avere qualche garanzia di continuità ed evitare che ci fosse una destinazione errata dello stesso o un’eventuale vendita. “E ora tutto è ironico, all’improvviso è il governo italiano stesso che vuole cancellare questa storia” costruita quasi esclusivamente dalla comunità italiana. “Molti, impegnarono anelli e gioielli per raccogliere soldi e contribuire alla costruzione della Casa”, ricorda il presidente.

Secondo Monteiro, che è anche presidente dell’Associazione Italo-Brasiliana “San Francesco di Paola” – l’entità notificata dal console Savarese – ci sarà una reazione contro la decisione dell’autorità italiana. “Se crede che consegnerò la Casa senza battagliare si sbaglia di grosso; né io e né il consiglio direttivo o la Società di Juiz de Fora accetteranno ciò”. Secondo lui non c’è stata nessuna reazione perché l’argomento non è stato ancora reso pubblico. “Sto cercando di mantenere la cosa sui giusti binari ma, a quanto pare, lui stesso (il console) ne sta facendo pubblicità visto che l’avviso di asta si trova sul sito del consolato”.

Per ora Monteiro ha fatto conoscere l’argomento solo alla presidenza del Comites – ‘Comitato degli Italiani all’Estero’ di Minas Gerais e alla consigliera del CGIE – ‘Consiglio Generale degli Italiani all’Estero’, Silvia Alciati. Ieri sera, Alciati ha detto ad Insieme di aver portato l’argomento alla conoscenza del sottosegretario per gli italiani nel mondo della Farnesina, senatore Ricardo Merlo. Ma per tutto il giorno di oggi lei non ha ottenuto una risposta. “Questo è assurdo! Sono indignata, è incredibile”, ha detto.

La “Casa d’Italia” di Juiz de Fora è installata su terreno di 3.309 m², davanti all’Avenida Barão do Rio Branco con la sua parte posteriore che da su un’altra strada – la Henrique Surerus. È una costruzione protetta dall’Istituto di Ricerca e Pianificazione del Comune e, a causa di essere dichiarata patrimonio, non può subire variazioni di volume, divisioni e cambi di facciate. Il totale dell’area costruita – “in buone condizioni, seppur di 80 anni” – è di 2.472 m².

L’avviso di asta pubblicata dal Consolato d’Italia a Belo Horizonte mette in vendita anche un secondo immobile, anch’esso urbano e di uso commerciale, situato sulla Henrique Surerus, nel centro di Juiz de Fora, con una superficie totale di 245 m². Prezzo base d’asta, iniziali 19,5 milioni di Reais e, per il secondo, 1,51 milioni di Reais, per un totale di 20.510.000,00 Reais. Nelle condizioni in cui si trovano, comunque, l’eventuale acquirente non potrà fare un’offerta separata, ossia o si acquistano entrambi o nessuno. Chi acquista sarà anche responsabile di risolvere la situazione con gli attuali occupanti dei due immobili.

La costruzione dell’edificio (anticamente vi era una vecchia villetta a due piani demolita) avvenne grazie alla “Companhia Industriale e Construttora Pantaleone Arcuri”, al prezzo di 300 Contos de Réis (1 Conto indica 1 milione di Réis, ndt) pagati in sei rate, secondo l’andamento dei lavori, come da contratto sottoscritto tra i rappresentanti dell’impresa costruttrice ed il consiglio direttivo della “Casa d’Italia”, così composto: il regio vice-console d’Italia a Juiz de Fora, Amatore De Giacomo, Constantino Magliulo (segretario del Fascio), Antonio Passarella (presidente della Società Umberto I), Vincenzo Nardelli (vice-presidente della Dante Alighieri), Emilio Camodeca (presidente della Società dei Combattenti), e Miguel Sirimarco (vice-presidente della Società ‘Dopo Lavoro’). Il termine contrattuale per l’esecuzione dell’opera è stato stabilito in 200 giorni.

Responsabili del controllo dell’opera erano Antonio Passarella, Francisco Falci e l’ingegnere Miguel Sirimarco mentre l’arbitrato, in caso di problemi, era composto da Francisco Batista de Oliveira, Ermelindo Spigolon e José Abramo. Secondo documenti che la Casa conserva, “il terreno per la costruzione della Casa d’Italia era stato acquistato dagli italiani l’11 ottobre 1933 e, secondo il suo presidente, Ercole Caruso, da questa data è iniziata un’intensa campagna di raccolta fondi nella comunità italiana di Juiz de Fora, al fine di costruire l’edificio”.

Sempre secondo gli stessi documenti, “il governo italiano ha collaborato solo con 50 Contos di Réis e le lettere in metallo ancora oggi presenti sulla facciata della Casa”. Così “tutta la costruzione fu il risultato dello sforzo e del lavoro della colonia”. Molte persone hanno “donato le loro fedi per raggiungere l’ammontare necessario”. Il terreno sarebbe costato 75 Contos di Réis. Seppur costruito nel “clima patriottico che animava la colonia italiana”, l’immobile venne registrato come proprietà del Governo italiano, rappresentato dall’allora vice-console in città, professor Amatore De Giacomo.

Nel progetto vi erano obblighi, come la costruzione di scuola, biblioteca, ospedale, fare beneficienza “e le altre istituzioni al fine di creare il complesso “Casa d’Italia”, per concedere l’uso alla stessa collettività italiana presente a Juiz de Fora ed agli associati della stessa (…) e che accettava questa scrittura nei termini in cui è redatto, per essere completamente in accordo con i suoi aggiustamenti con il firmatario venditore”, come indicato nella scrittura di compravendita dello Studio Notarile Numero Uno, Libro 17-A.

La “Casa d’Italia” di Juiz de Fora funziona fin dalla fine del 1939, quando fu inaugurata con una festa. Durante la II Guerra Mondiale, per nove anni, fu sotto il controllo del governo Brasiliano. Recuperato il controllo da parte della comunità italiana non ha mai smesso di funzionare, inclusa la costante diffusione della cultura italiana. “La Casa appartiene alla comunità italiana di Juiz de Fora – dice Monteiro – non appartiene al governo italiano”. Sfratto Casa d’Italia: console Savarese dice che sta seguendo istruzioni ministeriali. Sui social network c’è una reazione contro la decisione del governo italiano.