Esercitare la cittadinanza corrisponde a partecipare, “essere parte”, difendere i principi nazionali, e non solo ricordare, rivivere, prestigiare e tramandare ai posteri i caratteri della cultura del proprio paese.

Parte da qui il concetto di nazionalità, in tutte le nazioni del mondo.

PATROCINANDO SUA LEITURA

“Ius sanguinis”, “ius soli” ed oggi, come stiamo assistendo nelle evoluzioni italiane sul tema, “ius scholae” (oppure, “ius culturae”), sono solo i diversi metodi que ogni paese sceglie per far sì che il suo popolo, con il trascorrere del tempo, conservi i suoi principi e la sua identità.

Ovviamente, il rafforzamento della connessione tra i cittadini ed il territorio geografico della loro nazione è marcatamente ricercato, al momento di promulgare le leggi che regolano la concessione della cittadinanza.

Qui da noi, in Brasile, il discorso si fa difficile, quando si parla di cittadinanza italiana.

Il motivo è lampante: gli “italiani del Brasile” sono tantissimi, forse più di quanto si possa immaginare.

Secondo Wikipedia, “l’immigrazione italiana in Brasile divenne significativa a partire dal 1870 circa e si trasformò in un fenomeno di massa fra il 1887 e il 1902, influenzando decisamente l’aumento della popolazione del Brasile. Fra il 1880 e il 1924, entrarono in Brasile più di 3,6 milioni di immigranti, di cui il 38% erano italiani.”

Quindi, se oggi possiamo contare su circa 700.000 italiani residenti in Brasile già riconosciuti come tali, secondo stime più che fondate sappiamo che in conformità con la Legge 91/1992, la quale alla luce della scelta del modello “ius sanguinis” stabilisce come italiana la persona figlia di padre o madre cittadini, abbiamo in Brasile diversi milioni di persone titolari del diritto di cittadinanza italiana.

Ma la Legge 91/1992 determina anche che un bambino nato da genitori stranieri, se partorito sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”.

Quindi, come si vede, la preservazione del legame tra i cittadini italiani ed il loro territorio nazionale, nonostante la scelta dello “ius sanguinis”, sempre costituisce punto fondamentale.

Ma non sono qui, oggi, per fare elucubrazioni giuridiche, ma per lanciare un grido di preoccupazione riferito ai molti segnali di allarme che stiamo osservando in questi ultimi tempi.

Sappiamo che la Legge 91/1992 è oggetto di molte critiche, in Italia.

C’è chi dice que è necessario limitare il numero dei nuovi cittadini e propone di limitare la trasmissione della cittadinanza solo fino alla generazione seguente, nel caso di emigrazione in altro paese.

C’è chi dice che la legge attuale discrimina i bambini che vivono in Italia dalla nascita e propone di concedere loro la cittadinanza dopo 5 anni di studio nell’ambito della struttura educazionale italiana.

In qualsiasi caso, la battaglia politica, ultimamente, è diventata ardua.

È ovvio! I cittadini votano! Ed il voto è il mezzo attraverso il quale le forze politiche protraggono il loro potere nel tempo.

Negli ultimi mesi, abbiamo visto come le proposte di modifica alla legge attuale si susseguono numerose e sempre più pressanti.

La Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, dopo molte discussioni, ha dato pochi giorni fa il “via libera” al testo di riforma, escludendo (per il momento…) modifiche alle norme riferite alla discendenza diretta, per tentare l’approvazione dell’inserimento, tra i requisiti legali del diritto di cittadinanza, il fatto di vivere in Italia e aver frequentato per almeno 5 anni la scuola italiana sul territorio nazionale.

È l’istituzione del cosiddetto “ius scholae”.

Nello stesso tempo, qui da noi, mentre in Italia si discute di un passo importante che allarga il diritto di cittadinanza, le preoccupazioni restano immense.

Le nostre rappresentanze consolari, nascondendosi dietro problemi di mancanza di personale, di soldi e di organizzazione, complice la pandemia che offre la possibilità di argomentare sui rischi di agglomerazione, hanno adottato un’attitudine che in molti casi configura il crimine di omissione in atto di ufficio, rendendo praticamente impossibile l’acesso diretto degli italiani che richiedono il riconoscimento della cittadinanza.

Le cause in giudizio sono innumerevoli, quindi siamo in attesa di sapere come sarà giudicata la famosa circostanza della “grande naturalizzazione” da parte della Suprema Corte di Cassazione, che si propone di risolvere l’enorme affollamento di processi di nazionalità.

Le liste di attesa delle richieste di riconoscimento della cittadinanza arrivano anche a 12 anni.

Ripeto: anche 12 anni di attesa, solo per avere una risposta dal Governo che dica se al richiedente sarà riconosciuta, o no, la cittadinanza italiana.

E cosa fanno, i nostri rappresentanti parlamentari, cioé quelli eletti nella Circorscrizione Elettorale dell’America Meridionale? Ed i nostri rappresentanti nel Consiglio Generale degli Italiani all’Estero – CGIE? E, ancora, cosa fanno i nostri rappresentanti dei Comitati degli Italiani all’Estero – Comites?

Dovrebbero essere gli interpreti della nostra voce, i difensori dei nostri interessi e dei nostri diritti.

È anche il mio lavoro, come nuovo Consigliere del Com.It.Es. di Brasilia.

I nostri parlamentari, dall’alto del loro “pulpito dorato”, fanno a gara tra loro per mostrarci grandi attitudini come difensori della Comunità Italiana all’estero.

Il Deputato Lorenzato si avventa contro la sinistra, colpevole di voler introdurre uno “ius soli” travestito da “ius scholae”, con le sue buone ragioni, visto che prevedere come requisito per la cittadinanza il fatto di aver frequentato solamente 5 anni di scuola in Italia corrisponde, né più né meno, a concedere la nazionalità sulla base di un breve soggiorno.

Il Senatore Porta, da parte sua, ribatte dicendo che la proposta in discussione non modifica in niente le attuali regole della cittadinanza per discendenza, ma per altro lato ci avverte che la legge vigente “necessiterebbe di ben altri interventi” e, quel che è peggio, che “opinioni favorevoli all’introduzione di limiti [alla trasmissione della cittadinanza per discendenza, ndr] esistono in tutti i partiti, dalla Lega al Maie e allo stesso PD” (nota redatta per controbattere le posizioni dell’ On. Lorenzato, pubblicata sul sito della Rivista il 25 giugno di quest’anno).

I nostri rappresentanti nel CGIE ci dicono che l’organo può fare molto poco, in ragione della sua natura consultiva e non deliberativa, “dimenticando” che chi presiede il CGIE è quello stesso Ministro degli Esteri che comanda i consolati e che, pertanto, potrebbe fare molto per migliorare i servizi.

I nostri rappresentanti dei Comites lamentano con forza i ritardi e le inefficienze dei consolati, ma solo nei gruppi WhatsApp e nelle riunioni nelle quali siano assenti i rappresentanti dei consolati.

Ma, io mi chiedo:

a. qualcuno dei nostri deputati o senatori ha giá presentato un’Interrogazione Parlamentare al Ministro degli Esteri affinché spieghi ufficialmente, anche dicendo cosa intende fare, sul tema dei ritardi enormi dei nostri consolati e sulla loro inefficienza?

b. qualcuno dei nostri parlamentari si è già presentato nei consolati qui in Brasile per azioni di verifica e controllo sullo stato dell’andamento delle richieste di cittadinanza e sulle pratiche di rinnovo e/o emissione dei passaporti?

c. i Consiglieri del CGIE, vecchi e nuovi, hanno già formalizzato le loro visite ufficiali nei consolati per prendere visione, come la legge prevede che possa essere fatto, dei dati riferiti a processi di cittadinanza e di emissione/rinnovo di passaporti?

d. i presidenti dei Comites, direttamente oppure attraverso le commissioni interne di diritti sociali e cittadinanza, hanno già notificato formalmente i rispettivi consolati sulle difficoltà enormi che i cittadini incontrano anche solo per fissare un appuntamento presenziale per la risoluzione di esigenze amministrative, come l’emissione dei passaporti ed il riconoscimento della cittadinanza?

Da quando sono immigrato, vedo situazioni di grande stranezza.

I nostri consolati in Brasile, non mi stancherò di urlarlo fino a quando avrò voce, tutte le volte che si ha un contatto con l’Amministrazione Pubblica ci trattano come se fossimo degli ospiti indesiderati, persone contro cui difendersi, invece che i concittadini che siamo, con tutto il diritto di essere assistiti, difesi e tutelati dal nostro governo.

L’inerzia dei consolati nella erogazione dei servizi al cittadino è tale da dissuadere chiunque dal presentarsi personalmente agli uffici per risolvere le esigenze attraverso il semplice aiuto dei funzionari di sportello, soprattutto per ciò che concerne le pratiche di cittadinanza.

E così, la nazionalità italiana è diventata un business, ovviamente lucroso per gli intermediari e gravoso per gli amministrati, i cui prezzi allo stato attuale sono arrivati alle stelle, superando i 25.000,00 reais per un unico processo di riconoscimento.

Le sorprese non finiscono qui, perchè mi accorgo che un grande numero dei nostri stessi rapresentanti, guarda il caso, sono proprio dei professionisti che si occupano di intermediare a pagamento le cittadinanze oppure provengono dai patronati sindacali, che hanno tra le loro attribuzioni l’assistenza ai cittadini per le pratiche burocratiche inerenti l’Amministrazione Italiana, quindi, anche loro assistono gli italiani alla ricerca di riconoscimento della nazionalità.

Come conseguenza, la cittadinanza italiana pare che si riduca al semplice passaporto, che è diventato in Brasile un prezioso oggetto di status symbol, venduto a peso d’oro.

Qual è l’interesse di coloro la cui rendita è costituita dall’intermediazione nelle pratiche di cittadinanza? Ovviamente, che questa “parete burocratica” che impedisce di rivolgersi direttamente agli uffici pubblici continui insormontabile, il ché garantirà loro la continuità della rendita.

Qual è l’interesse dei funzionari di consolato e, da ciò che osserviamo, forse anche da parte dello stesso Ministero degli Esteri? Evidentemente, continuare a fare pochi passaporti e poche cittadinanze.

Le risposte a questi due quesiti ci spiegano la ragione per cui le cose non funzionano, e se continua cosÌ continueranno a non funzionare, fino alla introduzione di pesanti limitazioni al diritto di cittadinanza per discendenza, fino alla estrema burocratizzazione dell’esercizio del diritto di voto.

Dove porterà tutto ciò? Di sicuro, alla perdita del diritto di cittadinanza italiana da parte di diversi milioni di brasiliani, i quali non potranno godere dell’unica ricchezza immensurabile che i loro genitori, nostri connazionali immigrati, hanno portato con sé quando hanno lasciato l’Italia: la nazionalità.

Pensare di “essere italiani” senza partecipare agli affari nazionali, senza parlare la lingua, senza senso di appartenenza, senza contatti con l’Amministrazione Pubblica e senza una vera inclusione nella cultura italiana, con i suoi principi, significa dimostrare che l’unico interesse è limitato al passaporto ed ai suoi indubitabili vantaggi.

Cosa dovrebbe pensare, l’Italia, di cittadini interessati esclusivamente al passaporto, che non votano e non partecipano minimamente del destino della Nazione, che non parlano la lingua e che non sono mai stati in Italia né hanno intenzione di andarci?

L’Italia siamo noi! La Madre Patria ci trasforma in fratelli di un’unica, grande famiglia.

Quindi, il nostro cammino deve essere finalizzato allo spirito di corpo, alla difesa della nostra “famiglia” e della sua identità, pertanto, dobbiamo essere uniti nell’affrontare i problemi che riguardano tutti e, soprattutto, essere capaci di difendere gli interessi degli italiani ancora non riconosciuti come tali, il ché sarà presupposto per aumentare l’influenza della nostra Comunità di fronte al Governo centrale.

La nostra lotta deve dirigersi a conquistare la possibilità che ogni italiano possa rivolgersi direttamente alle strutture pubbliche per risolvere i suoi problemi amministrativi, deve privilegiare la difesa della vigente Legge 91/1992, deve contrastare con ogni modo legale l’inerzia dei consolati, anche con denunce ed azioni giudiziarie, se necessario.

Soprattutto, dobbiamo partecipare il più possibile, con il nostro voto, alle sorti ed alle discussioni che riguardano il nostro Paese.

In sintesi, dobbiamo costruire, qui in Brasile, il nostro modo di essere inclusi nel territorio italiano.

Saremo rispettati se ci faremo rispettare, ed il rispetto si vede dai fatti, non dalle belle parole. ☑