Per la stampa italiana, il “nuovo nemico in città” sono gli oriundi, soprattutto quelli dell’America del Sud. Persone che non sono in grado di parlare “una parola” in lingua italiana, ma che, con il diritto di voto, potrebbero influenzare in modo determinante il risultato elettorale nel caso in cui prevalga la tesi della scelta del Presidente del Consiglio dei Ministri del Governo Italiano tramite voto diretto – una tesi sostenuta dai partiti della coalizione che sostiene Giorgia Meloni al potere.
L’ultimo a trattare l’argomento è stato l’aggregatore di notizie HuffPost, versione italiana, che ha pubblicato un articolo firmato da Alfonso Raimo dal titolo “Meloniani in allarme, c’è un nuovo nemico in città: gli oriundi”. L’articolo ripete alcuni luoghi comuni già noti e mette a confronto gli immigrati in territorio italiano senza cittadinanza con gli italo-discendenti sparsi per il mondo, cittadini italiani dalla nascita.
Nell’articolo, l’episodio di Val di Zoldo (una storia iniziata più di trent’anni fa, come è emerso nelle 4Chiacchiere Insieme del 30/10) continua ad essere impropriamente utilizzato come esempio delle distorsioni provocate dalla legge sul ius sanguinis. Rivela anche che, di fatto, dietro la “guerra” iniziata dal senatore Roberto Menia e portata avanti dal ministro Antonio Tajani c’è il timore che la scelta del primo ministro italiano possa essere decisa da “un gruppo di argentini”, cioè dagli italiani residenti all’estero. Di seguito, il testo dell’HuffPost, integralmente riprodotto:
“Mentre in Italia un popolo di possibili nuovi italiani preme per diventare cittadino, fuori dai confini lo Stato riconosce questo status a persone che spesso non dicono una parola di italiano. Nel solo Sudamerica in soli tre anni sono passati da 1 a 2 milioni. Menia, senatore di FdI, annuncia una stretta: “Vogliamo far votare il premierato a una banda di argentini?”
Altro che ius scholae. C’è un paese in Veneto, Val di Zoldo, in provincia di Belluno, che su 2.700 abitanti conta 700 italo-brasiliani, con doppio passaporto. L’hanno avuto grazie allo ius sanguinis, il riconoscimento della cittadinanza per diritto di sangue. E venerdì scorso il Tar del Veneto ha ordinato al Comune, recalcitrante, di trascriverne la registrazione all’anagrafe.
Il Sole 24 ore del lunedì fotografa il paradosso della cittadinanza: gli oriundi, i discendenti di italiani che vivono all’estero da molte generazioni, la ottengono senza troppi problemi. Il loro obiettivo è l’usufrutto del passaporto italiano, che consente l’accesso senza visto in 192 Paesi nel mondo. Nel 2023 agli italo-discendenti sono state concesse più di 190 mila cittadinanze italiane. Di ogni fiato di migranti che veniva o lavorava in Italia da anni, ai sensi della legge del 1992, la cittadinanza non viene concessa, se non dopo la maggior età ed anni di esami d’attesa. I minori in queste condizioni sono circa 1 milione: 59mila fortunati tra questi hanno ottenuto la cittadinanza perché figli minori di un genitore che nel frattempo ha ottenuto la cittadinanza italiana. A quelli che hanno raggiunto la maggiore età sono state concesse 77 mila cittadinanze per residenza. E 22 mila per matrimonio.
In sostanza mentre in Italia un popolo di possibili nuovi italiani preme per diventare cittadino, fuori dai confini lo stato – attraverso i comuni, i tribunali e i consolati – riconosce questo status a persone che spesso non dicono una parola di italiano, in Italia non ci sono mai stati, e spesso non hanno neanche intenzione di venirci. Il riconoscimento della cittadinanza per discendenza, secondo il principio dello ius sanguinis, è a maglie molto larghe. La norma prevede che possano fare richiesta i discendenti di cittadini italiani senza limiti di generazione e senza perdere la cittadinanza dello Stato in cui sono nati. L’avo italiano da cui discende la cittadinanza può risalire fino al 1861, nel caso si tratti del padre. La cittadinanza può essere trasmessa anche per via materna, ma in questo caso solo per i figli nati dopo l’entrata in vigore della Costituzione. E cioè dal 1 gennaio del 1948.
Il regime di favore ha attinto una vera e propria corsa alla cittadinanza italiana fuori dai confini nazionali. Come detto, l’obiettivo è il doppio passaporto. Fioriscono agenzie e società che procurano traduzioni e assistenza per il passaporto a prezzi abbordabili. In Brasile l’agenzia Melaré, ad esempio, fa una ‘promocao’: 2800 euro, ivu compresa la moglie, che acquisirà la cittadinanza dopo il riconoscimento per discendenza al marito. A novembre, però, si entra ufficialmente è il black friday “de dupla cidadania.”
“In soli tre anni, gli oriundi in Sudamerica che sono diventati cittadini italiani sono raddoppiati: da 1 a 2 milioni. Un fenomeno che ha una rilevanza anche politica: gli elettori italiani all’estero dal settembre 2022 sono passati da 3,5 milioni a 7 milioni. “Ma a onor del vero, in questo numero vanno computati anche gli italiani che intanto sono emigrati dall’Italia verso l’estero e in particolare in Europa. Quest’anno sono stati 150mila. Il consolato più numeroso è quello di Londra, non quello di Buenos Aires”, chiarisce all’Huffpost Fabio Porta, deputato eletto nella circoscrizione Sud America, segretario del Pd Brasile.
Il boom delle cittadinanze (e dei passaporti) ha ribaltato i ruoli della politica. La destra che ha sempre difeso lo ius sanguinis, ora ne chiede la correzione. La sinistra, che lo ha contestato preferendogli lo ius soli, ora vuole l’uno e l’altro. La questione ha una ricaduta elettorale immediata. La legge per il voto degli italiani all’estero è stata voluta da Mirko Tremaglia, storico militante della destra. Gli italiani all’estero eleggono 8 deputati e 4 senatori, e soprattutto votano ai referendum. Il primo voto lo espressero sui referendum abrogativi del 2003. Ora potrebbero votare per il premierato, l’autonomia e la cittadinanza. Tremaglia era contestato dal centrosinistra, che temeva il voto contrario delle comunità italiane all’estero.”
“Ma ora il suo allievo, il senatore di FdI e vicepresidente della commissione esteri Roberto Menia, è il più convinto tra quanti chiedono la modifica dello ius sanguinis. “La cittadinanza non si regala mentre qui sta scoppiando un bubbone. Bisogna mettere un correttivo. Stanno esplodendo i presunti italiani in giro per il mondo”, dice Menia all’Huffpost. Il senatore ha presentato una proposta di legge che ferma la discendenza che trasmette la cittadinanza alla terza generazione: oltre quella soglia chi chiede il riconoscimento deve trascorrere almeno un anno in Italia e sostenere un esame di lingua. “Ci sono arrivate segnalazioni di sudamericani con passaporto italiano che entrano negli Stati Uniti. Altri usano il passaporto per andarsene in Spagna o in Inghilterra. Siamo al paradosso che a Londra c’è una comunità bengalese con passaporto italiano che annovera 30mila persone”, spiega Menia. Sono i bengalesi a cui è stata trasmessa la cittadinanza dei genitori, divenuti cittadini italiani in Italia. Così mentre il governo vorrebbe portare i cittadini bengalesi in Albania, quelli diventano italiani a Londra. La cittadinanza italiana deve passare per una condivisione. “Devi riconoscerti nelle nostre leggi, sapere la lingua, dimostrare che ci tieni. E poi c’è un tema politico: vogliamo far votare il premierato a una banda di argentini? A Rosario alle ultime elezioni ha votato il 78 per cento degli italo-argentini, quando la media del voto all’estero è del 15-20 per cento. Diciamocelo: il voto per corrispondenza è una truffa colossale”. La sinistra non è altrettanto severa. “Ma io voglio bene alle comunità di italo-discendenti. Ci si marcherbbe. Ma la cittadinanza – aggiunge Menia – è un fatto di identità nazionale. La sinistra che prima era critica, ora ha imparato come si fa a prendere i voti, coi loro sindacati… per questo sono a favore”.
Il segretario del Pd Brasile Fabio Porta ammette che la situazione si è ribaltata. “Io sono stato eletto per la prima volta nel 2008. Mi ricordo che in campagna elettorale la destra diceva di non votare Pd perché noi eravamo quelli dello ius soli, e loro difendevano lo ius sanguinis. Ora non è più così, ma su una cosa concordo con Menia: il problema del business della cittadinanza c’è. Spesso si vendono le pratiche per fare soldi. Talvolta sono le organizzazioni malavitose a muoversi per fare incetta di voti. Ho sporto anche una denuncia in Procura. Ma detto questo, non mi convince il modo in cui Menia suggerisce di intervenire. Mi pare difficile attuazione. Io ho proposto di passare per un visto di 5 anni, che poi può trasformarsi in cittadinanza oppure no”.
Il punto di partenza dei Democratici sono i dati di Confindustria, dell’Istat, di Bankitalia. “Siamo in recessione demografica. Non possiamo chiudere ai migranti in Italia e agli italiani all’estero. Ci sono 60 milioni di italo-discendenti e se c’è il business delle cittadinanze e il voto all’estero non funziona, non possiamo buttare via il bambino con l’acqua sporca. Noi abbiamo solo da guadagnare da questo flusso di nuovi cittadini”.
In Parlamento giace la proposta di Forza Italia sullo Ius Italiae, che dà la possibilità di riconoscere la cittadinanza a chi compie l’intero ciclo di studi, con un abbuono rispetto alla situazione attuale di un paio di anni. “È ancora presto per parlarne, ci sono le elezioni regionali. Dopo si può tornare a ragionare. Io alle strette convergerei sulla proposta di Tajani, nel senso che una cattiva legge alla fine è meglio di nessuna legge”, dice Porta. Anche Menia non grida allo scandalo. “Non ho pregiudizi. Abito a Trieste e aiuto tanti serbi a prendere la cittadinanza. Per me la cittadinanza non si regala. L’essenziale è che i migranti facciano le scuole, riconoscano la nostra cultura, sappiano la nostra lingua. E che giurino sui nostri valori. Non possono prendere la cittadinanza e poi fare come gli pare. Che siano italiani davvero”.”