In almeno due dibattiti – ad uno dei quali ho partecipato -, fino al momento in cui scrivo il presente articolo, Insieme ha informato sulla supposta esistenza di 150.000 cittadini italiani fantasma in Brasile, in riferimento ad italo-discendenti che, seppur regolarmente riconosciuti dai Consolati qui operanti, non hanno, presso i Comuni competenti, le trascrizioni degli atti di nascita e matrimonio ed iscrizioni AIRE portate a compimento, aggiornate e regolari. Confermato il numero, avremo, senza dubbi, il fatto più grave già reso noto sulla materia, in relazione alla popolazione di interesse.
Che siamo trattati in modo paradossale dallo Stato italiano, credo che già sia noto. Lo stesso Stato che, da oltre 150 anni, non lascia liberi i suoi figli, nipoti e pronipoti, insiste a lasciarli ai margini dei diritti – in particolare del più fondamentale, il diritto alla cittadinanza. Mentre siamo considerati una ricchezza (in senso economico, umano e culturale) dall’Italia, siamo anche considerati un problema senza soluzione dall’Amministrazione Pubblica, in particolare in presenza della pressione che le nostre richieste producono sul dimensionamento dei servizi e delle risorse umane, necessarie per riceverle. Lo “stock” di cittadini sembra non aver fine – e si da la colpa, spesso, alla magnanimità delle leggi regolatrici della cittadinanza che, “senza limite di generazione”, continuano a permettere che nascano italiani nel mondo, con capacità giuridica per richiederla in qualsiasi momento e “per saltum” di generazioni.
Per risolvere l’impasse, lo Stato ha sempre reso difficili i processi di riconoscimento. Ossia: quello che la legge “ampliava”, l’Amministrazione “restringeva”. Questa formula ha funzionato relativamente bene, fino a quando una nuova variabile è apparsa, nell’ultimo decennio: la possibilità di riconoscere la cittadinanza in maniera più rapida (e in modo relativamente poco costoso) passando per le vie legali. Forse, l’esistenza dei cittadini fantasma, abbia, prima di tutto, a che vedere con ciò: una delle forme da parte dell’Amministrazione per regolare, fuori dai dettami di legge, lo stock di cittadini. Ovviamente, se il cittadino riconosciuto nel suo Consolato di riferimento non ha certificati trascritti in Italia, passa ad essere l’”ultimo della linea” della sua discendenza: buona parte dei suoi figli, nipoti, pronipoti, e oltre, scoprendo che dovranno “partire da zero” per riconoscere le loro cittadinanze, si sentiranno senza stimoli per farlo. Anzi, è in questo stesso senso che va l’insano orientamento consolare per cui i processi di riconoscimento debbano sempre partire dall’italiano emigrato – e non da italiani nati all’estero.
Dal punto di vista politico, la situazione è gravissima. L’assenza di trascrizioni presso i Comuni competenti (e, quindi, di iscrizioni AIRE) impedisce l’esercizio dei diritti politici. Non ci sono le condizioni di votare e di poter essere votato. Ciò provoca distorsioni importanti dal punto di vista elettorale, in particolare quando parliamo del 2° collegio elettorale più importante dell’America del Sud – ed uno dei più espressivi del mondo. Però, dal punto di vista tecnico, non c’è un’illegalità praticata dai Consolati sull’argomento: è che, di fatto, si ferma l’istanza consolare quando l’agente consolare invia, al Comune, i certificati da trascrivere, insieme alla “domanda iscrizione AIRE” (rappresentata dal famoso modulo mod. 01). Pertanto, una volta notificato il cittadino del completamento, con successo, della sua pratica di riconoscimento, la competenza passa al Sindaco e al Ministero dell’Interno che, rappresentati dalla figura dell’Ufficiale di Stato Civile e Anagrafe, dovranno eseguire gli atti di loro competenza: trascrizione dei certificati e iscrizione all’AIRE dell’unità familiare.
Questo è tipico caso in cui si applica il detto popolare Brasiliano “prendimi in giro che è ciò che mi piace”. Sì, lettori: non sono qui per nascondere fatti ai nostri concittadini. Se, dal punto, di vista giuridico, queste 150.000 persone sono cittadinanze-fantasma de jure, sono anche – in questo caso per loro responsabilità – cittadini-fantasma de facto. Presupponendo che la schiacciante maggioranza sia interessata solo nel passaporto – e che il percorso per il passaporto sarà possibile solo dopo la fine dell’istanza nei Consolati -, tali persone si dimenticano della cittadinanza una volta messe le mani sul desiderato libretto rosso. Si dimenticano totalmente di diritti e i doveri derivanti dal loro nuovo status. Seguire, presso i Comuni, il compimento efficace della pratica – ossia la realizzazione delle trascrizioni e l’iscrizione all’AIRE, è, senza dubbi, un dovere del cittadino. E non solo: aggiornare l’anagrafe e lo stato civile sono misure essenziali per l’esercizio dei diritti e affinché si eviti una nuova interruzione storica della regolarità della linea di discendenza nei confronti dello Stato italiano. Non dobbiamo, quindi, ripetere la storia dei nostri avi su questo punto: anche perché non abbiamo le stesse attenuanti. Richiedere il Codice Fiscale, creare una casella di email PEC, acquisire lo SPID e una firma digitale (anche se, al momento, non obbligatori), essere iscritto all’AIRE e avere lo stato civile ed un indirizzo aggiornati presso il Comune e la ripartizione consolare competente dimostrano l’interesse del cittadino ad integrarsi, di fatto, alla comunità giuridico-politica italiana. Al contrario, nella pratica, saremo visti sempre e solo come viaggiatori e immigranti qualificati. E basta.
In uno scenario in cui le richieste superano di molto la capacità di prestazione dei servizi, è ingenuo pensare che lo Stato riesca adeguatamente, senza la spinta dei cittadini, a svolgere il suo servizio. Se la maggior parte dei cittadini è preoccupata con il passaporto, così sarà: si fa il massimo per il processo fino al passaporto (sempre nei limiti del possibile) e del resto “chi se ne frega”. I diritti non bussano alla porta – e ciò in nessun luogo del pianeta Terra. È necessaria la formazione di una coscienza cittadina presso la comunità italo-brasiliana: e non serve a nulla piagnucolare come bambini viziati sentendo ciò. In gioco c’è il più importante dei diritti. Non ci si può più scherzare sopra.
Per invertire la cittadinanza fantasma de jure sarà necessario, innanzitutto, eliminare la cittadinanza fantasma de facto. E, a tal fine, è necessario che i cittadini passino ad importarsi veramente di molte più cose, piuttosto che ostentare i loro passaporti sui social network. Bisogna sollecitare provvedimenti, prendere in mano la situazione. Insomma: bisogna passare ad esercitare, effettivamente, la cittadinanza.