“LA RISPOSTA NON È UNICA E DIPENDE DA COME E DOVE TRANSITA LA VERIFICA DELLA CITTADINANZA DEL RICHIEDENTE

Cari lettori, saluti! Ringrazio tutti coloro che sono arrivati fin qui, nel nostro settimo testo della rubrica! Negli articoli precedenti, abbiamo cercato di tracciare un panorama sulla questione dei registri in Brasile, facendo alcune critiche importanti e cercando di rispondere ad una delle più importanti domande che accompagnano gli italo-discendenti al momento di cercare il riconoscimento dello status civitatis italiano: è veramente necessario rettificare i registri familiari?

PATROCINANDO SUA LEITURA

Fatte salve le opinioni personali di questo autore (che possono essere lette già nel primo articolo della serie), la risposta è: dipende dal contesto che ha a che vedere con la modalità desiderata di riconoscimento della cittadinanza. C’è quindi una questione preliminare alla domanda che ci poniamo qui: questo è il punto!

Come sappiamo, la pratica di verifica della cittadinanza può essere originata amministrativamente o giudizialmente, ossia davanti ai Consolati o ai Sindaci italiani o davanti ai magistrati italiani. Questa è una prima scelta molto importante: se la richiesta verrà presentata all’amministrazione pubblica o alla giustizia. Spiegandomi meglio.

Il giudice ha una grande libertà nell’analisi delle prove che gli vengono presentate e può quindi avvalorarle liberamente. Fa parte dell’attività giudiziaria non essere limitata alle formalità che possano annullare gli effetti delle prove eventualmente presentate dagli interessati. Così, il giudice è in grado di valutare esclusivamente sulla base delle leggi di nazionalità italiana – la trasmissione ininterrotta della cittadinanza jure sanguinis – e, in caso di chiara trasmissione, dichiarare lo status civitatis e ordinare all’amministrazione che faccia le trascrizioni richieste dagli autori della causa. In altre parole, i giudici hanno il potere di non considerare eventuali difetti presenti nei registri e, se osservano che la condizione materiale è presente anche se in registri incongruenti, dichiarano la cittadinanza italiana per gli interessati.

Ai membri dell’Esecutivo – ossia dell’amministrazione pubblica – non è data la stessa libertà, visto che sono limitati dal cosiddetto principio di legalità rigorosa, in modo che, avendo una responsabilità personale, possono fare solo quello che le leggi ordinano: c’è quindi uno spazio di discrezionalità bassissimo. È bene sottolineare che i Consoli e i Sindaci sono membri dell’amministrazione pubblica italiana, vincolati, rispettivamente, al Ministero degli Affari Esteri e quello dell’Interno.

Così, la risposta è: per la procedura giudiziaria di verifica della cittadinanza, in pochi casi sarà necessaria una rettifica dei registri, quando la linea di trasmissione è chiara; nelle procedure amministrative si dovrà consultare la specifica comprensione di quella ripartizione in merito al tema. Ne segue l’importanza che il (la) discendente stia attento ai vari consolati di suo interesse o, se questo il caso, entrare in preventivo contatto con il Comune prima di stabilirvi residenza.

Come ho sottolineato nel primo articolo della serie, la mia raccomandazione è quella della fedeltà dei registri, seppur in presenza di queste diverse modalità di verifica. Ed insisto su ciò per due ragioni: innanzitutto, per motivi collegati alla genealogia, quando registri fedeli rispecchiano la correttezza di una ricerca genealogica fatta bene, tutelano i diritti dei futuri interessati e facilitano loro la ricerca; in secondo luogo, perché la perfezione dei registri elimina possibilità di arbitri ai quali, noi italo-discendenti siamo sempre soggetti, anche quando facciamo riferimento al giudiziario italiano. Sono molti gli esempi di arbitrarietà imposte come ostacoli al riconoscimento del nostro diritto – e, in molti casi, hanno a che vedere con i registri necessari per l’istruzione della pratica della cittadinanza.

È importante sottolineare che arbitri dell’amministrazione pubblica italiana non si verificano solo sui registri in sé, ma anche sulla modalità di rettifica degli stessi scelta dagli interessati. Sono diventate sempre più frequenti le testimonianze di persone che hanno visto la loro pratica rifiutata da alcuni comuni per aver optato per la modalità amministrativa di rettifica dei registri in Brasile, a causa dell’assenza di una sentenza di conferma delle rettifiche realizzate. Anzi, si noti che persino consolati del Brasile hanno aderito a questa specie di arbitrio: possiamo prendere come esempio la “nuova” linea del Consolato di Belo Horizonte, i cui orientamenti hanno iniziato a distinguere le modalità di rettifica fatte nei registri, accettando rettifiche amministrative solo per i registri degli stessi richiedenti e richiedendo una rettifica giudiziaria per i registri di non richiedenti o persone già decedute. È sempre giusto ricordare, a questo proposito, l’esistenza di un accordo bilaterale Brasile-Italia – trattato Relativo alla Cooperazione Giudiziaria ed al Riconoscimento ed Esecuzione di Sentenze in Materia Civile -, recepito in Brasile con il Decreto nº 1476/1995 e in Italia con Legge n. 336/1993, che obbliga i paesi firmatari ad accettare reciprocamente la validità e la forza probante dei documenti ufficiali prodotti da entrambi, senza la necessità, tra l’altro, di autenticazione, a condizione che contengano la firma del responsabile e del timbro dello Stato emittente. 

Per quanto riguarda la procedura giudiziaria in Italia, in presenza del crescente numero di contestazioni di merito e ricorsi dell’Avvocatura dello Stato che giustifica la tesi della “grande naturalizzazione”, vale la pena richiedere che siano annotate nei registri brasiliani dell’italiano (matrimonio e morte) informazioni che rendano evidente il mantenimento della condizione di straniero dell’avo, come: “ammesso in territorio nazionale il…”, “non era elettore”, “non naturalizzato brasiliano”, “iscritto alla lista militare italiana il…”, presentandosi al giudizio dell’Ufficiale competente con una documentazione probatoria opportuna. 

Un’altra questione importante: nessuno è obbligato a cambiare il proprio nome, indipendentemente dalle divergenze eventualmente esistenti tra il cognome ereditato in Brasile ed il cognome che si trova nei registri italiani. Ovvio, divergenze tra i registri degli stessi richiedenti devono, di fatto, essere allineate, visto che saranno oggetto di trascrizione da parte degli Uffici italiani; mi riferisco quindi all’uniformità verticale dei cognomi – su ciò non vi sono dubbi. È quindi totalmente un’opzione la correzione verticale delle variazioni di cognome che constano nei registri della serie, anche perché il cambiamento dei cognomi di persone vive porta all’immediata necessità di rettificare tutti i documenti civili della persona, come tutte le iscrizioni, ufficiali o no, che contengono i suoi dati personali. È anche importante sottolineare che, in presenza di rettifiche in registri che verranno trascritti in Italia, potrà essere richiesta la sentenza che le ha ordinate – cosa che, ovviamente, ha riflessi nella modalità di rettifica da scegliere in Brasile.

Spero di essere stato utile ai nostri lettori portando un po’ di conoscenza sulla questione dei registri nel paese ed i punti di contatto della questione con il nostro più grande interesse, ossia la dichiarazione di ottenimento della cittadinanza italiana. 


  • Testo originariamente pubblicato sul numero 267 della Rivista Insieme.