ROMA – ITALIA – Il 22 marzo, con l’inizio dell’invio da parte dei consolati delle schede elettorali al domicilio degli elettori, è iniziata la penultima fase del procedimento elettorale all’estero. Fase sicuramente delicata, in particolare per quanto riguarda la “personalità” e la “segretezza” del voto, che la legge attuale (frutto tipico dell’inseguimento demagogico tra forze politiche concorrenti) non garantisce affatto. In particolare in Sudamerica, dove la maggior parte degli italiani sono, prima di tutto, dei sudamericani che nei decenni scorsi hanno recuperato la cittadinanza di un loro antenato, spinti non certo da motivazioni “politiche” ma piuttosto di convenienza utilitaria, e quindi disposti a vendere il proprio voto neppure al migliore, ma proprio al primo offerente. Da questo punto di vista è una fortuna che in realtà la scelta offerta agli elettori è molto più semplice di quel che sembra. In apparenza ci sono otto liste, ma rispetto all’elettore sudamericano medio, l’alternativa sostanziale è fra due tipi di liste: quelle legate a partiti italiani, e quelle “spontanee”, che rifiutano espressamente legami precostituiti con forze già presenti nel parlamento italiano. I due tipi di liste hanno in comune un aspetto essenziale – la speranza che i propri rappresentanti nei palazzi romani riescano a ricavare consistenti benefici per le comunità rispettivamente rappresentate – ma è completamente diversa, nei due casi, la strategia. quelli che si consegnano ai partiti esistenti (compresa la Lista Tremaglia che fa capo chiaramente ad Alleanza Nazionale), fanno una specie di scommessa, nel senso che se il partito a cui si sono agganciati risulterà, alla fine, nella coalizione maggioritaria, sperano di ricavare di più. Invece quelli che si presentano come apartitici (mettendo in pratica i bei discorsi che proprio Tremaglia andava facendo fino a tutto il 2005), si riservano di aspettare gli esiti dei giochi postelettorali, per contrattare i loro voti in cambio dei soliti benefici per le rispettive comunità.

Gli apartitici in Sudamerica sono due, molto ben caratterizzati reciprocamente. l’AISA (Associazioni Italiane in Sudamerica), si fonda su una organizzazione molto solida ma rigorosamente limitata all’Argentina, il maggior bacino di voti (circa il 50%) di tutta la ripartizione. Nel 2003 Pallaro e Merlo hanno dimostrato dinamismo e abilità nel conquistare la maggioranza dei Comites argentini e, nel 2004, l’importante Vice Segreteria continentale del CGIE. All’epoca, essi riuscirono a convincere i sempliciotti della Margherita a convogliare su Pallaro, per la carica di Vice Segretario, tutti i voti della preponderante componente di sinistra del CGIE (sindacati etc.); poco dopo, essi cominciarono ad avvicinarsi a Tremaglia, fino alla riunione tenutasi a S. Paolo alla fine del 2005, da cui uscì l’inaspettata riconversione “partitica” di Tremaglia e quindi la decisione dell’AISA di correre per proprio conto. Nel poco tempo rimasto, riuscì comunque ad assicurarsi due importanti figure della comunità italo-brasiliana, rigorosamente rivali fra loro, a Porto Alegre Bonaspetti – vecchio democristiano di destra, amico del sottosegretario Saporito, uno dei maggiori boss dei corsi di italiano finanziati dal MAE – e Petruzziello, l’avvocato fustigatore dei sottopoteri cllientelari che nella sua circoscrizione, ironia della sorte, hanno il volto di Barindelli, anche lui democristiano ma di sinistra, che comunque è riuscito a farsi includere nella lista di Tremaglia.

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L’altra lista apartitica, simmetricamente, ha la sua origine in Brasile, a Rio, dove Corrado Bosco, forse per incompatibilità con i locali ultras di sinistra, ha deciso di organizzare soprattutto le associazioni calabresi, ma forse troppo tardi per recuperare anche quelle argentine che da tempo, seguendo gli appelli del compianto Gaetano Cario, polemizzano con Pallaro accusandolo di “venetismo” (ma forse dimenticando le polemiche anche violente che l’anno scorso opposero la federazione veneta di Pallaro e Merlo, all’allora assessore regionale Zanon).

Sulle altre sei liste, ispirate rispettivamente a Tremaglia/CTIM/AN, all’Unione, a FI, Lega, UDC, UDEUR, c’è ben poco da dire. Per quanto si ingegnino, dicono tutte le stesse cose. Più delle scontate promesse, sono interessanti i loro silenzi, in particolare sull’estensione o meno dei benefici sociali anche ai doppi cittadini, e soprattutto sulle liste d’attesa per i riconoscimentio di cittadinanza, bloccate da anni non per decisione politica me per l’ormai cronica emergenza delle strutture consolari e comunali. Molti (e in particolare l’Unione) agitano il tema delle code, ma nessuno affronta apertamente la loro origine, cioè il groviglio normativo creato nel 1991 dalla Circolare K28 del ministero dell’Interno. Pallaro addirittura semplifica il problema riducendolo a quello del “riacquisto” della cittadinanza – la principale novità introdotta dalla legge del 1992 – e dimentiicando completamente quello del riconoscimento: eppure il primo interessa poche diecine di migliaia di persone, il secondo molte centinaia di migliaia!

Nell’insieme, si può dire che chiunque riesca a farsi eleggere, le cose non cambieranno molto per gli italiani all’estero. In compenso, la situazione politica italiana è arrivata al punto che gli stessi italiani residenti in patria non avrebbero motivi da aspettarsi cambiamenti di rilievo dai risultati elettorali, almeno in relazione a quelli che saranno i risultati. Negli ultimi anni i partiti e le coalizioni hanno fatto a gara per incorporare quasi tutti i temi che si considerano adatti a compiacere l’una o l’altra inclinazione e categoria elettorale, senza ormai curarsi minimamente della coerenza: Con l’eccezione dei residui novecenteschi del comunismo e del fascismo (che interessano al massimo un 10%, e comunque rientrano nella fantapolitica), si può dire che il “target” elettorale dell’Unione e della Casa delle Libertà sia sostanzialmente lo stesso; cambiano solo (e non sempre) i modi di presentare i diversi temi, e la formula, davvero “magica”, con cui si tentano di tenere insieme obbiettivi e valori che sono chiaramente incompatibili.

Per orientarsi un poco, si possono distinguere due tipi di discorsi politici: quello economicistico, dominato dall’alternativa tra assistenzialismo redistributiivo e liberismo produttivista, e quello dei valori e delle libertà personali, civili, politiche e religiose. A parte, sullo sfondo, c’è poi il grande tema internazionale, che peraltro tende a ridursi all’alternativa tra americanismo e antiamericanismo.

Ebbene: se si va a controllare come la pensano le due coalizioni, ma persino i singoli partiti che le compongono, su tutti questi grandi temi, vedremo che la logica del potere, la demagogia, insieme con un male inteso attaccamento a vecchie tradizioni ideologiche, impongono la coesistenza delle posizioni più diverse. Il caso più clamoroso è quello della Margherita, dove convivono il più vieto clericalismo del Presidente Rutelli, con posizioni decisamente moderne e laiche. Lo stesso si verifica però anche all’interno di Forza Italia, dove però l’ossequio alla gerarchia cattolica, chiaramente strumentale, tende a oscurare una naturale tendenza modernizzatrice. All’interno dei Democratici di Sinistra è’ ben nota, ed evidente, la contrapposizione fra un’ala liberale e una conservatrice, legata alla CGIL. Quest’ultima col suo velleitario protezionismo sia nei confronti dei lavoratori che delle imprese, è vicinissima alle posizioni della “destra sociale”, una delle principali componenti di Alleanza Nazionale. Le rispettive tradizioni novecentesche sono contrapposte, ma gli approdi quasi identici. Anche in tema di politica estera nelle due coalizioni convivono, non certo armoniosamente, posizioni visceralmente opposte. Persino in un tema apparentemente neutro, come quello del funzionamento delle istituzioni pubbliche (magistratura, burocrazia etc.), in entrambe le coalizioni ci sono coloro che vorrebbero ridurre, moralizzare, raddrizzare, e chi invoca più o meno esplicitamente l’appoggio di quelli che sembrano ormai incarnare i “veri” poteri legislativo ed esecutivo: magistrati, servizi segreti, polizia, diplomazia etc.

Molti paventano che dopo le prossime elezioni questo sistema di alleanze e di schieramenti, ormai troppo artificioso, crollerà. Purtroppo, esso è tenuto in piedi da un desiderio di potere che ormai è si è quasi completamente degradato, scendendo dal livello nobile della responsabilità politica, a quello strumentale, del mantenimento di una “posizione” sociale elevata, o anche solo di un “posto” sicuro. I partiti italiani, insomma, si pongono come obbiettivo primario, quasi unico, quello della sopravvivenza, e questo li rende subordinati a quegli apparati che, in nome del popolo, essi dovrebbero controllare e indirizzare.

Potranno gli eletti all’estero, per il fatto di essere estranei a questa decadenza, innescare un processo virtuoso nella politica italiana? E’ molto difficile, ma se c’è qualche speranza essa è inversamente proporzionale al grado di organicità di questi eletti con gli apparati partitici attuali.