Carta aberta à juíza Budetta Mariarosaria. (Composição sobre imagem PNGWing DP/ Insieme)

In una lunga “Lettera pubblica alla Sig.ra Giudice della Corte d’Appello di Roma Dott.ssa Budetta Mariarosaria”, l’avvocato italo-brasiliano Cristiano Girardello mette in discussione la decisione della magistrata della I Sezione Civile che ha negato la cittadinanza “iure sanguinis” ad una italo-brasiliana per il semplice fatto che un suo avo si era dichiarato brasiliano in un documento di matrimonio, senza prove che abbia rinunciato alla cittadinanza italiana. La lettera è datata 21 febbraio, quando si festeggia in Brasile il Giorno Nazionale dell’Immigrante italiano.
Girardello, che ha già prodotto alcuni studi sulla questione della cosiddetta Grande Naturalizzazione brasiliana ed altri temi relativi alla cittadinanza italiana per Insieme, inizia dicendo, con tono colloquiale, che la decisione della giudice, “ha fatto divenire le aspettative molto tenebrose da questo lato dell’Atlantico”, benché ci siano “altri motivi per decidere, in modo giusto, la nostra causa”, come da lui indicati uno ad uno.
Quasi come se avesse il dito alzato, Girardello dice: “La signora ha paragonato una supposta dichiarazione di nazionalità di un avo della richiedente la cittadinanza ad una rinuncia espressa della nazionalità italiana. Io, in particolare, ci sono rimasto a bocca aperta e non riuscivo a crederci…Con tutto il rispetto, la sua decisione travisa i fatti ad un livello estremo, spaventosa!”. Vedete, integralmente, la Lettera Aperta di Girardello:

“LETTERA APERTA ALLA SIG.RA GIUDICE DELLA CORTE D’APPELLO DI ROMA DOTT.SSA BUDETTA MARIAROSARIA – San Paolo/SP, 21 febbraio 2022. Illustr.mo Giudice, spero stia bene! Qui, in Brasile, le cose non vanno così bene: noi, italo-discendenti, ci aspettavamo il consolidamento di una giurisprudenza chiara e favorevole della I Sezione Civile, organo di cui fa Voi fate parte. Dopo le ingiuste decisioni della Sezione Famiglia, credevamo che potevamo contare sull’integrità della I Sezione Civile – e persino avevamo tirato un sospiro di sollievo quando è stata promossa la decisione del suo collega, il Giudice Corrado Maffei, che allontanava le equivoche ragioni prese dalla Sezione Famiglia; però, è giunta la Sua decisione, che ha reso le attese molto tenebrose qui dall’altro lato dell’Atlantico.
Mi sento libero di scriverLe una lettera aperta, non per elevarmi a specialista del diritto italiano; sicuramente non lo sono. Benché sia un avvocato, sono laureato in Brasile ed esercito solo nel mio paese di nascita; anzi, devo, innanzitutto, umilmente riconoscere che, quando parlo o scrivo di diritto italiano, produco testi che considero provvisori, visto che poi li sottopongo ad un successivo esame i colleghi avvocati che operano in Italia, ai quali sempre chiedo un giudizio di correzione. Per fortuna dalle mie parole non dipendono il diritto e le speranze di milioni di persone; per questo sono solidale con la responsabilità che ricade sulle spalle dei giudici italiani chiamati a trattare di diritto alla cittadinanza, cosa che non ha mai abbandonato l’orizzonte di nessun italiano nato all’estero, anche quando siano passate tre o quattro generazioni e circa 150 anni dall’arrivo, in massa, dei primi immigranti provenienti dall’Italia.
Vorrei commentare in breve una delle ragioni che Lei ha usato nella Sua decisione – anche perché il focus di questa lettera, come si vedrà, saranno esattamente le altre ragioni per decidere, in modo corretto, sulla nostra causa; sono anche sicuro che colleghi molto più preparati di me si esprimeranno in vari modi ed efficacemente. Lei ha equiparato una supposta dichiarazione di nazionalità di un avo del richiedente la cittadinanza a una rinuncia espressa dalla nazionalità italiana. Io, in particolare, sono rimasto attonito e nemmeno riuscivo a credere a quello che vedevo… Con tutto il rispetto, la Sua decisione è totalmente sbagliata, direi spaventosa!
Inizio da un’affermazione: il nostro orgoglio di essere nati italiani non macchia, non diminuisce e non cancella l’orgoglio di essere nati anche brasiliani. La legge che ha regolato la nazionalità di tutti i nostri avi e di molti di noi – ovviamente a Lei nota, la 555/1912 – è stata molto chiara nel permettere ai nati all’estero in paesi di jus soli di mantenere tranquillamente la cittadinanza italiana via jus sanguinis: è quanto scritto all’art. 7º. Essere brasiliani per essere nati in Brasile non è importante: non c’è nessuna ragione di impedimento di essere, anche, italiani per nascita. Così hanno voluto tutti coloro che hanno lottato, tra i decenni del 1880-1910, affinché nessuno di noi perdesse la nazionalità italiana a causa del jus soli – e Lei, ovviamente, questo lo sa. La rinuncia della quale tratta la fine dell’art. 7º è stata giustamente regolata dall’art. 5º del Regio Decreto nº 949/1912 e si poteva dare solo in un modo espresso e volontario davanti alle autorità amministrative italiane che operassero all’estero – Consoli e/o Ambasciatori. E ciò è stato mantenuto nel regime della Legge nº 91/92. Si veda anche che la Circolare K-28, del Ministero dell’Interno, parla dell’istituto di rinuncia proprio come un atto da praticare solo presso gli agenti consolari o diplomatici italiani.
Se osserviamo dal nostro punto di vista, la Sua decisione è ancor più assurda: come possiamo dichiararci italiani presso gli Ufficiali di Anagrafici brasiliani, se dipendiamo da controlli delle autorità italiane, affinché i nostri certificati di nascita siano registrati in Italia? Ora, quando facciamo qualsiasi atto della vita civile in Brasile, ovviamente presentiamo i nostri documenti brasiliani – e solo potremo presentare documenti italiani, confermando la nostra condizione di DOPPIA CITTADINANZA, se lo Stato italiano avrà interesse a elaborare, nei tempi previsti dalla legge, tutte le richieste che gli vengono inoltrate. Anzi, commetteremmo un reato di falso nei confronti delle autorità brasiliane se ci definissimo italiani senza avere nessun documento che comprovi la nostra affermazione. Per presentarci anche come italiani, dipendiamo dalla scarsa buona volontà dello Stato italiano di consegnarci il nostro diritto nei giusti tempi: e, ovviamente, Lei sa che lo Stato ci mette in fila per da molti anni, contando, in qualche modo, sulla nostra desistenza, la nostra stanchezza o, anche, la nostra scomparsa dal pianeta Terra… Molti muoiono ancor prima di poter avere la loro condizione di italiani dichiarata dallo Stato; anzi, se non fosse così, non avremmo migliaia di cause in sospeso presso il Tribunale Ordinario di Roma.
Bisogna anche sottolineare che non ci siamo classificati brasiliani negli atti di registro qui in Brasile: presentiamo documenti brasiliani, in modo che gli ufficiali stessi ci qualifichino; così non c’è nessuna dichiarazione espressa, in questo senso, nei nostri registri in Brasile, fatta nel momento in cui ci sposiamo, procreiamo o moriamo; c’è, al contrario, la presentazione dei nostri documenti brasiliani – sprovvisti dei documenti italiani, a causa di una semplice negligenza dello Stato italiano: questa è la verità! Infine, nessuno può rinunciare a quello che ancora non esiste formalmente nel campo giuridico italiano – il Regio Decreto non ordinava ai Consoli e Ambasciatori che informassero immediatamente della rinuncia il Ministero dell’Interno: si ordinava che questa rinuncia fosse annotata nei certificati di nascita italiani degli rinuncianti. Così, se non abbiamo ancora la registrazione di nascita trascritta in Italia, non ha senso una rinuncia: per lo Stato italiano, prima di essere riconosciuti cittadini, ancora non esistiamo come tali – e, per logica, nessuno può rinunciare a quello che ancora non ha.
Curioso doverLe inviare una lettera aperta con ragioni ben note; ma è interessante notare come un giudice di alto livello non conosca in modo così profondo le ragioni giuridiche, persino di ordine processuale! Non spetta ai richiedenti presentare una prova della mancanza di rinuncia dei loro avi, visto che questo documento è prodotto dai Consolati italiani solo su richiesta degli ufficiali italiani (si veda, ad esempio, quello che dice il sito del Consolato di San Paolo sul link: https://conssanpaolo.esteri.it/consolato_sanpaolo/it/i_servizi/per_i_cittadini/cittadinanza/).
Contrariamente, quindi, non possiamo avere dubbi che la prova della rinuncia, se esiste, deve essere prodotta dall’imputato, anche perché si tratta di causa impeditiva o estintiva del diritto indicato dagli autori; oltretutto, secondo l’art. 702-quater cpc, risulta molto chiaro che, non avendo l’accusato presentato un documento che avrebbe dovuto presentare nel procedimento sommario (in primo grado di giurisdizione), sarebbe preclusa la sua opportunità di dimostrare il fatto impeditivo o estintivo di diritti in grado di appello – e anche se fosse interpretato dal Consiglio che vi fosse la necessità di presentare una “non rinuncia” per la decisione della causa, lo stesso articolo del cpc prevede la possibilità dell’apertura di una piccola istruzione probatoria presso la Corte d’Appello, a partire dalla quale si può decidere la parte sulla quale ricada l’onere di prova per la produzione del documento in questione. Perché, Dott.ssa Budetta, ha deciso in una maniera così errata, di equiparare la “nazionalità brasiliana” che consta nei registri presentati dalla richiedente ad una rinuncia espressa alla cittadinanza italiana?
A noi, italo-brasiliani, non resta che concludere che la decisione presa da Lei sia stata pre-ordinata, ossia ben oltre una semplice decisione giuridicamente sbagliata. Dobbiamo presumere che Lei conosca bene, almeno, il processo civile italiano – e che, ovviamente, o avrebbe dovuto considerare preclusa l’opportunità che lo Stato italiano presenti qualsiasi rinuncia o, in alternativa, avrebbe dovuto richiedere alla parte che producesse il documento, se lo considerasse essenziale per il giudizio della causa. Se non ne ha intrapreso né l’una né l’altra via è perché, di fatto, voleva negare alla richiedente il suo diritto, nonostante il contenuto delle stesse leggi italiane e dei documenti che sono stati presentati.
Dietro questo intenso desiderio che alcune persone nutrono di negarci il diritto alla cittadinanza ci sono molti preconcetti. E, forse, sia questo il tema principale di questa lettera aperta. Bisogna smontare questi preconcetti con i fatti e con la memoria.
In primo luogo dobbiamo sostenere il vero motivo che ci porta alla ricerca della cittadinanza – maliziosamente ridotto al nostro interesse per un “passaporto”: quello che ci spinge, Dott.ssa, è proprio la caratteristica più importante che gli italiani portano come popolo: il legame con la famiglia. Sì! Contrariamente a quanto si dica in giro, spendiamo migliaia di Euro e ci impegnamo a ricostruire le nostre biografie, visto che siamo molto italiani e, come tutti gli italiani, siamo molto legati, senza dubbi, alle nostre radici. “Passaporti” si ottengono per vie diverse, tra cui l’immigrazione e la naturalizzazione in altri paesi. Vale la pena che Lei dia un’occhiata alle decine di gruppi Facebook, con centinaia di migliaia di italo discendenti, tutti sostenendo con orgoglio – con o senza il loro status civitatis riconosciuto – le loro origini e le loro famiglie: è una cosa molto bella da vedere e ne varrebbe la pena che Lei conoscesse questa nostra profonda motivazione.
Dobbiamo poi sottolineare che non siamo e mai siamo stati, lontani dalla cultura italiana. Anzi, al contrario: noi e tutti i nostri avi siamo responsabili di aver fatto dell’Italia un paese la cui cultura è conosciuta e riconosciuta in tutte le nazioni in cui abbiamo cercato rifugio. Molto si dice che, oggi, nemmeno parliamo la lingua italiana, come se la cultura si riducesse alla lingua e come se i nostri nonni e bisnonni parlassero tutti il toscano – dialetto che ha dato origine all’italiano moderno -; in ogni modo siamo esattamente noi a rendere la lingua italiana la quarta lingua più studiata nel mondo (si veda https://youtu.be/f44BdP04gCc).
Però, benché abbiamo elevato la lingua italiana alla quarta più studiata nel mondo, dobbiamo andare avanti nell’idea che cultura non è solo lingua – è qualcosa di molto più profondo, capace di plasmare la forma di come agiamo e rispondiamo al mondo che ci circonda e che coinvolge vari elementi, come la religione, la culinaria, il modo di costruire, vestirsi, essere organizzati, un modo di essere e di esistere. Siamo italianissimi: basta distrarci dalla questione linguistica, anche perché la maggior parte dei nostri avi parlavano dialetti del veneto – e sono state queste lingue che, in un certo senso, ci sono state trasmesse e si sono integrate con il portoghese. Se Lei per caso non lo sa ancora, legga sul Talian, lingua italica studiata in università e scuole pubbliche in Brasile; anzi, lascio qui un video su come anche le lingue italiche, contrariamente a quanto dicono, sono mantenute nei luoghi dove si sono formate molte colonie italiane in Brasile: https://youtu.be/cla34bTSvIs.
Sempre a proposito della cultura, sono in Brasile i più importanti festeggiamenti italiani che si tengono all’estero. A San Paolo da rilevare la Festa della Parrocchia della Madonna di Casaluce, la Festa della Madonna di Achiropita, la Festa di San Gennaro e la Festa di San Vito, che riuniscono migliaia di persone tutti gli anni; a Belo Horizonte si tiene la celebrazione che è divenuta uno dei più importanti eventi della città e la più importante festa italiana del mondo! A Venda Nova do Imigrante/ES, c’è la Festa della Polenta. Nella zona Sud del paese c’è la “Mia Cara”, a Curitiba/PR, la Festitália, a Blumenau/SC, la Festa dell’Uva, a Caxias do Sul/RS, che riunisce un centinaio di eventi di accento italiano in tutta la Serra Gaúcha (considerata, nel caso non lo sappia, l’8ª Provincia del Veneto). Vale la pena conoscere tutto ciò! Comunque, due brevi video sulla Festa di San Vito e sulla festa italiana a BH: https://youtu.be/NTjjEConLns e https://youtu.be/zeiKMbZPDR4.
Sono stati l’orgoglio e gli sforzi dei nostri avi che ci hanno portato a costruire e mantenere, senza nessun appoggio (o con uno scarso) del Governo italiano, la cultura italiana all’estero. Non solo volevano rimanere italiani, ma ci hanno fatto ereditare un pezzo dell’Italia nei nostri paesi di nascita – e, per questo,hanno anche costituito i “circoli”, le “associazioni”, gli “istituti”, le “case di cultura”, le “colonie” e tanti altri centri di convivenza e riproduzione della nostra cultura! Cito solo due di queste istituzioni, benché ce ne siano centinaia, purtroppo alcune non più esistenti: il Circolo di San Paolo (https://www.circoloitaliano.com.br/) e la Casa d’Italia a Juiz de Fora, Minas Gerais (https://casaditaliajf.com.br/), difeso con impegno dagli stessi italo-discendenti, contro le investite del Governo italiano per venderla nel 2020.
In terzo luogo, siamo diffamati per il fatto che, in teoria, causiamo danni allo Stato italiano: tale affermazione non ha nessun fondamento; anzi, al contrario: la ricerca della cittadinanza impiega, direttamente o indirettamente, migliaia di persone, genera entrate per lo Stato (https://www.insieme.com.br/pb/em-menos-de-quatro-anos-taxa-da-cidadania-rende-italia-em-torno-de-16-milhoes-de-euros-no-brasil/), spinge il turismo “di radici”, studi e affari, importa manodopera giovane per il territorio italiano e gira intorno ad uno, due milioni di Euro all’anno!
Si noti che non è di oggi che i residenti all’estero generano importanti entrate per l’Italia. Seri studi sulla Grande Emigrazione (video FRANZINA, Emilio. La Grande Emigrazione: L’esodo italiano dal Veneto verso il Brasile. Campinas: Casa editrice dell’Unicamp, 2006. 472 p.) mostrano che forze repulsive poco dibattute furono tanto importanti quanto le forze di attrazione e le forze repulsive ortodosse esercitate sui nostri avi affinché abbandonassero l’Italia: tra queste forze repulsive poco ortodosse, si trova l’interesse dello Stato e delle élite economiche della fine del XIX secolo all’esportazione di persone affinché si formasse capitale primario, tramite le compagnie di navigazione, al fine che l’Italia realizzasse la rivoluzione industriale e desse così forma all’espansionismo dell’epoca. L’Italia ha dovuto ai nostri avi – e continua a doverci – una parte importantissima della sua economia e della quale non ne abbiamo mai approfittato, contrariamente a quello che comunemente si dice lì (in Italia, ndt).
In Brasile, gli immigranti italiani erano ricevuti con una festa e ricevevano l’appoggio del governo per trovarsi un alloggio e non essere nella necessità di vestirsi e alimentarsi, almeno fino a che non fossero inviati nelle distretti di immigrazione di destino (si veda RADÜNZ, Roberto; HERÉDIA, Vania Beatriz Merlotti (orgs). Immigrazione e Società: Fonti e Raccolte dell’Immigrazione Italiana in Brasile. Caxias do Sul: EDUCS, 2015. 482 p.), ossia erano ricevuti in un modo molto diverso da quello che sta accadendo oggi con gli italo-brasiliani che cercano il riconoscimento della loro cittadinanza presso i comuni italiani, visti con sempre di più diffidenza, quando non paragonati a mendicanti o criminali. L’Italia ha ripagato con grande ingratitudine tutti i benefici che ha ottenuto non solo dai suoi emigrati ed i loro discendenti ma, persino, dal Brasile e dai brasiliani. È anche opportuno ricordare che sono state le forze di spedizione brasiliane, formate non solo da italo-discendenti che, con molta grinta, liberarono l’Italia dai nazisti e fascisti, negli anni ’40 del XX secolo.
Va anche notato che una delle più importanti accuse cariche di preconcetti rivolte agli italo-discendenti è che questi ottengono la cittadinanza per continuare a risiedere o trasferirsi all’estero. Oltre a essere un argomento senza evidenza giuridica (visto che non è il vincolo alla terra che fa divenire un soggetto cittadino di quella terra), è un argomento malizioso visto che trasmette ai cittadini un problema che è dello Stato italiano. Far divenire il territorio italiano più attraente per gli italiani – tutti, diciamo – non è una responsabilità degli stessi cittadini, ma delle politiche pubbliche che lo Stato è disposto ad assumere. Se l’Italia non è attraente per i nati là, in particolare a causa dei bassi salari e la disoccupazione, immaginate per i nati all’estero, impediti persino di lavorare regolarmente fino a che non sono dichiarati cittadini! Se questo argomento corrispondesse ad una verità etica, di sicuro lo Stato potrebbe costruire politiche pubbliche per attrarre e mantenere gli italo-discendenti nel territorio – e non è questo che si vede, in particolare in questi due ultimi anni (si veda, ad esempio, la Circolare del Ministero dell’Interno che ordina di sospendere le pratiche di cittadinanza per tutta l’Italia, basandosi su un’unica sentenza della Corte d’Appello, seppur coscienti dell’esistenza di altre sentenze favorevoli, dello stesso grado).
Quello che vorrei dire alla Signora Dott.ssa. Budetta, in sintesi, è il seguente: il suo orientamento politico nei nostri confronti è così sbagliato come il suo orientamento giuridico. Per coincidenza, elaboro questa lettera aperta nella data in cui festeggiamo il Giorno Nazionale dell’Immigrante Italiano qui in Brasile. Sì! Con molto orgoglio abbiamo nel nostro calendario un giorno per far sì che il popolo brasiliano ricordi l’importanza degli immigranti italiani nelle nostre vite e abbiamo scelto questa data per essere la data in cui, nel 1874, arrivava in Espirito Santo la spedizione organizzata da Pietro Tabacchi, nella quale arrivavano in Brasile 380 famiglie, arrivando a bordo della nave La Sofia. È imprescindibile che gli italiani in Italia ci rispettino tanto quanto noi, dall’altro lato dell’Atlantico, abbiamo imparato a rispettarli.
Infine vorrei dirLe: oggi festeggiamo il giorno dell’orgoglio che abbiamo dei nostri avi e di noi stessi, i discendenti, anche in qualità dei brasiliani che siamo. Sono stati e noi siamo stati essenziali per l’Italia, tanto nell’aspetto economico come culturale. Non c’è un motivo razionale che possa portare un essere umano a conclusioni opposte. Bisogna fare ricerche e scoprire le cose come sono realmente state e lo sono, in particolare quando ci si trova in posizioni di potere così importanti come quella da Lei occupata. È quello che abbiamo imparato nei banchi della Facoltà di diritto, studiando l’impatto sociale delle decisioni giudiziarie e la loro importanza per fare giustizia. Le ricordo che, seppur in presenza di tutte le onorificenze e note di merito che spesso vengono assegnate a persone che occupano posizioni di potere come quella da Lei occupata, varrà, alla fine, un’unica distinzione, senza medaglia, senza titolo e senza quadri, quella della Storia: la buona memoria di coloro che, contro i poteri istituiti, hanno deciso di fare giustizia, cosa di cui abbiamo più abbiamo bisogno in questo momento. Giudici che disprezzano la giustizia non saranno mai ricordati e non avranno mai i loro nomi scritti nella nostra memoria; questi, tanto oggi come domani la storia li ignorerà.
Concludo questa lettera indicando sotto, senza pregiudicare i molti altri che posso non ricordare, i nomi di persone che, di fatto, meritano di essere ricordate ogni 21 febbraio, come persone che hanno onorato i nostri e tutti i loro sforzi, lottando per noi, per i nostri diritti nei confronti o dentro i Tribunali d’Italia ed in nome della GIUSTIZIA. A questi, il nostro ringraziamento e l’eterno ricordo in questo giorno così speciale:
• Agli emeriti giudici della XVIIIª Sezione Civile del Tribunale Ordinario di Roma: Luciana Sangiovanni (presidente Sezione di Tribunale), Francesco Crisafulli (Giudice), Cecilia Pratesi (Giudice), Antonella Di Tullio (Giudice), Silvia Albano (Giudice), Corrado Bile (Giudice), Damiana Colla (Giudice), Marco Giuliano Agozzino (Giudice), Roberta Nocella (Giudice), Lilla De Nuccio (Giudice), Simonetta Minotti (Giudice onorario di tribunale), Francesca De Luca (Giudice onorario di tribunale), Lucia Faraglia (Giudice onorario di tribunale), Maddalena Galati (Giudice onorario di tribunale), Maria Elena Maiorano (Giudice onorario di tribunale), Simona Sinopoli (Giudice onorario di tribunale), Roberto Valentino (Giudice onorario di tribunale), Vita Lazzaro (Giudice onorario di tribunale), Adele Pezone (Giudice onorario di tribunale), Caterina Del Regno (Giudice onorario di tribunale).
• Agli instancabili avvocati: Antonella Castellone, Antonio Cattaneo, Bruno Troya, Francesco Boschetti, Giovanni Bonato, Giovanni Caridi, Isabel de Lima, Maria Stella La Malfa, Marco Mellone, Mauro Priolo, Ricardo de Simone, Silvia Contestabile, tra gli altri che meritano di essere nelle nostre memorie e nei nostri ringraziamenti.
• Infine, all’incredibile Desiderio Peron e ad Insieme, per l’amore con il quale difendono i nostri interessi, le nostre cause, i nostri dolori e le nostre lotte.”

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