NTRODUZIONE
u ROMA – ITALIA – Nell’analizzare le connessioni tra politica estera e politica interna Kennet Waltz ha osservato che “non é possibile comprendere la politica mondiale guardando semplicemente all’interno degli Stati” (1).
Tale affermazione é senz’altro da condividere poiché rende genericamente ragione della reciproca influenza tra gli elementi endogeni ed i cosiddetti “condizionamenti esterni”, che spiegano entrambi spiegano l’adozione di certi comportamenti da parte degli Stati.
É però altrettanto vero che la gradazione di queste influenze varia considerevolmente, non solo storicamente per tutti gli Stati, ma anche, in una fase determinata, all’interno di ogni singolo Stato.
I principali fattori di connessione tra sistema político interno ed azione internazionale sono individuabili tra i seguenti (2):
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grado di apertura agli scambi internazionali;
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struttura politica federale o centralizzata;
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forma di Stato presidenziale oppure parlamentare;
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situazione demografica;
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tensioni etniche, religiose o razziali interne;
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tasso di risparmio interno e livello adeguato di investimenti.
n 2. Se si prendono in considerazione tali fattori, un Paese come il Brasile dovrebbe presentare un grado di autonomia relativamente elevato tra le due sfere interna ed estera. In prima approssimazione le sue scelte sarebbero quindi meno direttamente legate al comportamento degli altri attori internazionali (3) e piuttosto frutto delle esigenze e dei vincoli economici e sociali interne.
Il Brasile é caratterizzato infatti da alcuni parametri che favoriscono tale autonomia relativa ed in particolare da:
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dimensioni spaziali rilevanti (circa 9 milioni di km quadrati);
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un’esuberante popolazione (175 milioni di abitanti nel 2002);
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assenza di controversie politico-ideologiche o territoriali con i Paesi limitrofi;
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un’immagine internazionale positiva, costruita con uma politica estera pacifista, legalitaria e pragmatica.
In prima istanza proveremo quindi ad esaminare gli ostacoli strutturali, di profondità storica allo sviluppo socio-economico brasiliano, concentrandoci sulle vicende del periodo 1945-1995.
In questa prospettiva occorre considerare che nel secondo dopoguerra l’azione internazionale del Paese sudamericano é stata oggettivamente limitata da alcuni ostacoli strutturali, tra i quali vanno citati: la precarietà della situazione finanziaria caratterizzata da un elevato indebitamento esterno; l’importanza relativamente modesta dello strumento militare nazionale; i profondi divari interni, territoriali e sociali; la crescita demografica, troppo rapida sino agli anni ’70 e squlibrata tra i vari segmenti della popolazione successivamente.
n 3. L’interrelazione tra i parametri di valutazione positivi e negativi sopra descritti, costituisce, quindi, la tela di fondo sulla quale si cercherà di inquadrare l’azione internazionale svolta dal Brasile nel periodo considerato nel duplice intento di accrescere la sicurezza e l’autonomia del Paese e di gestire la crescente interdipendenza mondiale.
Gli obiettivi di tale azione sono stati con frequenza assimilati a quelli tipici di una potenza regionale; attualmente invece sembrerebbe assestarsi sulla linea di condotta che gli analisti definirebbero propria di una media potenza od addirittura di una potenza emergente destinata ad un ruolo internazionale di rilievo unitamente a Cina, Russia ed India (4) .
In conclusione, si proverà a verificare se l’assunto della relativa autonomia del Brasile in campo internazionale possa effettivamente essere confermato nel periodo in esame tanto più che secondo alcuni studiosi si assisterebbe ad una ripresa della centralità dello Stato-nazione (5).
n 4. Una disamina dell’evoluzione politica ed economica brasiliana non può però prescindere dal contesto piú generale in cui essa é collocata, ovverossia l’America Latina.
Come nel sub-continente, anche in Brasile infatti la modernizzazione della vita politica procede parallelamente alla modernizzazione economica. In America Latina quest’ultima é legata soprattutto ai processi di industrializzazione avviati negli anni ’40. La Seconda Guerra Mondiale fornì infatti a molti Paesi (in particolare Argentina, Brasile, Cile e Messico) una preziosa opportunitá per l’espansione commerciale sui mercati internazionali, generando quelle risorse finanziarie che furono utilizzate per migliorare il livello di vita di vasti strati sociali, innanzitutto urbani, ma in parte attivi anche nell’agricoltura e nei servizi non legati alla produzione (6).
La forma politica predominante che scaturisce da tali processi é il cosiddetto “populismo” il quale ha i suoi alfieri in Argentina con Peron ed in Brasile con Vargas, mentre in Messico si identifica piuttosto con le sorti del partito ininterrottamente al potere per quasi settant’anni, il “Partido Revolucionario Institucional” (PRI).
I militari-tecnocrati brasiliani assumono il controllo del governo nel 1964 per stroncare le crescenti domande redistributive innescate dal populismo. Essi instaurano un regime che mira all’espansione della potenza nazionale attraverso la crescita degli investimenti nelle industrie di base e l’occupazione sistematica dell’immenso territorio, in particolare delle zone di selva amazzonica.
n 5. Le necessità di modernizzazione economica vengono così interpretate direttamente dalle Forze Armate che portano coscientemente avanti un articolato progetto di controllo dello spazio interno al fine di rafforzare il potere del Paese sullo scenario mondiale. Invero i prodromi di quest’atteggiamento erano impliciti giá nei programmi economici del governo Kubitschek, ma riescono a raccogliere il consenso delle classi dirigenti della burocrazia e dell’imprenditoria soltanto alla metá degli anni ’60.
Il modello imposto dai militari ottiene comunque risultati positivi sino al 1980 in termini di espansione economica e di proiezione di potenza. A partire da quel momento esso si scontra però con i nodi irrisolti della societá brasiliana: la mancanza di regole consensuali tra gli attori economici e la chiusura alla concorrenza esterna suscitano un’inflazione altissima e persistente; la difficoltà di azionare la leva fiscale interna a fini di investimenti sociali e di base alimenta un debito estero ingente che drena tra il 1979 ed il 1987 risorse pari al 3-4% del PIL.
In queste condizioni viene meno l’appoggio al regime di larghi strati di popolazione. La stessa psicologia collettiva del Paese subisce dei mutamenti. Il progressivo immiserimento dei ceti medi negli anni ’80 provoca un sentimento di forte disillusione che estingue la fiducia in un progresso illimitato che fino ad allora aveva sostenuto l’immaginario nazionale (7).
La transizione democratica, dal canto suo, non soddisfa le aspettative popolari, come di frequente é avvenuto in tutta l’America Latina (8). Essa si é realizzata in forma assai cauta e gradualista ed ha scalfito con grande timidezza i cardini dell’assetto precedente. Occorre allora attendere quasi um decennio prima che la lotta all’inflazione ed il risanamento dei conti pubblici siano percepiti come necessitá ineludibili e perché si registri l’inizio di una svolta effettiva nell’assetto socio-economico del Paese.
n 6. Il punto di svolta é individuabile nell’estate del 1994 allorché viene varato il cosiddetto “Plano Real” che deindicizzava prezzi e salari e legava, in un contesto di alti tassi d’interesse, la moneta locale al dollaro. Seguendo abbastanza pedissequamente un analogo piano di risanamento argentino del 1992 (poi conclusosi con il notorio collasso economico ed istituzionale), a partire dal 1995 il Plano riusciva ad abbassare drasticamente il tasso d’inflazione dal 30% all’ l% mensile, e creava così un nuovo paradigma di azione per il Brasile sia nella politica interna che in quella estera.
Tale mutamento di contesto permane tuttora in vigore ed ha resistito a due prove di straordinaria rilevanza: la crisi valutaria del 1997/98 e, soprattutto, il radicale cambiamento intervenuto nell’ottobre 2002 con l’ascesa alla Presidenza della repubblica di Luis Inacio Lula da Silva, storico dirigente del Partito dei Lavoratori (PT) e candidato sconfitto nelle tre elezioni precedenti.
Nonostante i timori diffusi presso alcuni osservatori internazionali che ne avevano accompagnato la vittoria (9), Lula mantiene sostanzialmente immutati gli obiettivi e gli impegni di politica economica del suo predecessore, Fernando Henrique Cardoso. Egli dimostra di riuscire ad ottenere – come il suo predecessore – un rafforzamento dell’autonomia e dello status del Brasile in campo internazionale.
Ci troviamo quindi, a prima vista, di fronte ad un’apparente dimostrazione della tesi che una tendenza stabile allo sviluppo sociale ed economico, riducendo i vincoli strutturali interni ad un’azione più incisiva in campo internazionale, può determinare una migliore collocazione sullo scacchiere mondiale anche di un Paese di rango intermedio.
n 7. L’ultima decade dell’esperienza brasiliana non permette comunque ancora di rispondere con chiarezza a due quesiti fondamentali :
può al giorno d’oggi lo sviluppo non essere considerato soltanto un’illusione? E’ possibile, a certe condizioni, uscire dalla spirale centro-periferia che caratterizza di fatto il sistema delle relazioni internazionali contemporanee oppure ciò é consentito soltanto ad un numero ristrettissimo di Paesi in virtù di fattori “oggettivi” e legati in forma non lineare a politiche di “good governance” ? (10)
Anche per quest’incertezza avbbiamo preferito limitare la nostra ricerca ai 50 anni compresi tra il 1945 ed il 1995. Al di là di questa data rischieremmo infatti di entrare nelle sabbie mobili dell’analisi di situazioni e di atti troppo legati alle vicende politiche in corso il che renderebbe effimere eventuali conclusioni circa i futuri scenari possibili per il Brasile.
NOTE BIBLIOGRAFICHE
INTRODUZIONE
1) K. WALTZ, Theory of international politics, Readings, 1979, pag. 61;
2) Su questa problematica si veda L. BONANATE, “Politica internazionale e politica interna: reciproche limitazioni”, in L. Bonanate e C. M. Santoro (a cura di), Teoria e analisi nelle relazioni internazionali, Bologna, 1986, pagg. 85-106;
3) Cfr. F. de SEIXAS CORREA, “As relações internacionais do Brasil em direção ao ano 2000”, in G. Fonseca (a cura di), Temas de política externa brasileira, Brasilia, 1989, pag. 233;
4) E’ questa la documentata proiezione di D.WILSON – R. PURUSHOTHAMAN, Dreaming with BRIC’s: the path to 2050, GS Global Economic paper , n.99, ottobre 2003;
5) In questo senso si veda, tra gli altri, C. JEAN, Geopolitica, Bari, 1995;
6) Su questi processi vedasi ampiamente M. CARMAGNANI-G. CASETTA, America Latina: la grande trasformazione, Torino, 1989;
7) Lo scrittore e psicoanalista argentino J. C. MARTELLI ha espresso questo sentimento efficacemente, in un che ci sembra valido anche per i brasiliani. : “La crisi é per gli argentini la perdita di un’etá lieta che non hanno conosciuto e di cui, anche se l’avessero vissuta, non avrebbero potuto godere. La perdita di un’opulenza immaginaria, di una sbornia ereditata”, cit. da “Coooperazione” n. 119, novembre 1992.
8) Una lucida cronaca politico-economica della transizione brasiliana si può leggere in G.DUPAS, Crise economica e transiçao democratica, San Paolo, 1987.
9) Un esempio, invero moderato, di questa sorta di diffidenza verso la presidenza Lula é costituito dall’articolo di J. WILLIAMSON, Lula’s Brazil, in “Foreign Affairs”, vol.82, n.1/2003.
10) I due argomenti sono esaminati in maniera innovativa ed approfondita da G.ARRIGHI, A ilusao do desenvolvimento, Petropolis, 1998 (in particolare pagg.207-253).