u ROMA – ITALIA – Brasile tra il 1945 ed il 2000 con particlare riferimento ai rapporti tra politica estera e politica interna

CAPITOLO II

PATROCINANDO SUA LEITURA

 

I PROBLEMI FONDAMENTALI DELLO SVILUPPO BRASILIANO DAL SECONDO DOPOGUERRA: LA QUESTIONE DEMOGRAFICA.

 

1. In Brasile l’andamento demografico ha costituito un fattore ambivalente per lo sviluppo economico del paese. Elemento di potenza oggettivo, quando non é stato inquadrato in una politica “ad hoc” esso ha rappresentato un serio vincolo per la crescita economica e l’equa distribuzione delle risorse.

I ceti dirigenti hanno vissuto con sentimenti misti tale problema. Ad esempio, all’inizio del secolo i giovani vengono immaginati raggruppabili in “eserciti industriali” per la colonizzazione delle regioni brasiliane dominate da sistemi “semifeudali” così come delle terre vergini dell’Altopiano centrale e dell’Amazzonia (1). Uno dei massimi pensatori brasiliani, il sociologo Gilberto Freyre, riteneva invece che il sistema principale per alleviare la questione demografica fosse quello di realizzare un’efficace riforma agraria nel Nordeste (2).

  • Da un punto di vista storico, si rileva che gli indicatori demografici brasiliani mostrano un’evoluzione che si potrebbe definire “classica” per un Paese del Terzo Mondo. La popolazione stimata ufficialmente  in circa 150 milioni di persone nel 1994 – divenuti 170 nel 2000 (3) – ha infatti registrato un andamento caratterizzato da tre periodi di lunga durata:
  • 1) 1850 – 1930: incremento considerevole dovuto soprattutto all’ arrivo di immigrati europei, in particolare italiani e tedeschi (4) (Tab. 2);
  • 2) 1930-1965: alti tassi di crescita naturale condizionati dal drastico abbassamento della mortalità;
  • 3) 1965 – 1995: crescita progressivamente rallentata a causa della caduta del tasso di fecondità (Grafico 1).

2. É stato osservato che l’esplosione demografica del secondo dopoguerra aveva portato in tutta l’America Latina a profonde trasformazioni socio-economiche (5). La crescita dell’urbanizzazione e la centralità acquisita dall’industria si possono infatti considerare, in qualche misura, dei fenomeni indotti dal rapido aumento della popolazione.

Il Brasile, così, da Paese relativamente spopolato all’inizio del secolo é annoverato negli anni ’70 quale quinta nazione al mondo per numero di abitanti con una crescita particolarmente elevata negli ultimi lustri nel secondo dopoguerra (da 52 milioni di abitanti nel 1950 a 93 milioni nel 1970).

Alla radice di questo fenomeno vi é in primo luogo la caduta della mortalità infantile che determina un significativo aumento della speranza di vita. Il principale risultato dell’esplosione demografica é la presenza di una maggioranza di popolazione giovanile che si immette sul mercato del lavoro alla ricerca di un’occupazione ed é inoltre particolarmente sensibile a fenomeni e modi di consumo provenienti dall’estero.

Il controllo esercitato dai governi populisti sul problema demografico é peraltro poco efficace in quanto non riesce ad assicurare né un sufficiente sviluppo delle infrastrutture di base del Paese né una crescita economica adeguata nelle aree di maggior tensione sociale ed abitativa (Nordeste, Rio de Janeiro, San Paolo).

I regimi militari invece tentano di volgere l’incremento demografico a fattore propulsivo dello sviluppo econômico accelerato. Essi mirano così a “mettere in marcia” i contingenti di popolazione indicando loro la strada di nuove urbanizzazioni (in particolare la nuova capitale, Brasilia) e della colonizzazione delle regioni centrali ed amazzoniche. Tutto ciò si traduce in una mobilità territoriale senza precedenti che porta quasi un terzo dell’intera popolazione (circa 40 milioni di persone) a spostarsi almeno una volta sul territorio tra il 1965 ed il 1985.

 

3. L’atteggiamento del Brasile assume rilievo anche in campo internazionale. In occasione della prima assise esclusivamente dedicata ai problemi demografici – la Conferenza delle Nazioni Unite sulla popolazione, tenutasi a Bucarest nel 1974 (6) – la delegazione brasiliana capeggiò un movimento contrario al sostegno della pianificazione familiare.

Al suo fianco si trovavano Paesi come Algeria e Repubblica Popolare Cinese, seppur con altre motivazioni. Sia i conservatori che i marxisti brasiliani ritenevano infatti che la crescita demografica in territori a bassissima densità avrebbe sostenuto lo sviluppo e consolidato i mercati nazionali.

Ben presto tale orientamento veniva però contraddetto dai fatti, in particolare per la difficoltà di mantenere un livello di risparmio nazionale adeguato a sostenere le spese di istruzione e sanitario-previdenziali di un numero crescente di anziani. Questi ultimi- secondo recenti dati-starebbero infatti aumentando a ritmi esponenziali passando dal 4% degli abitanti totali nel 1970 al 7% nel 1991 e con la prospettiva di raggiungere il 13% entro il 2015 (7).

 

4. Negli anni ’80 la politica demografica continua a restare assente tra le priorità di governo al contrario di quanto avveniva, ad esempio, in Messico e Colombia; di fatto la pianificazione familiare viene incoraggiata soltanto da agenzie private specializzate, seppur con il beneplacito tacito del governo.

Nella questione demografica un ruolo particolare é poi svolto dalle istituzioni ecclesiastiche. Nel più popoloso Stato cattolico del mondo, esse ribadiscono il tradizionale insegnamento in materia di riproduzione sessuale, anche se incontrano al loro stesso interno un certo dissenso riportato in documenti della stessa Conferenza dei Vescovi Brasiliani (CNBB) che tende sempre più di frequente a tollerare nuovi comportamenti. L’attivismo della società civile in favore del controllo delle nascite ha contribuito comunque negli ultimi decenni ad un crollo della fecondità femminile ed ad un aumento del numero degli aborti (proibiti dalla legislazione interna) e delle donne sterilizzate (8).

Tale situazione però non consente ancora dei miglioramenti stabili ed effettivi delle condizioni di vita. L’urbanizzazione selvaggia – simbolizzata dalla proliferazione di baraccopoli (“favelas”) che punteggiano le megalopoli di Rio de Janeiro e San Paolo – ed un livello di sottoccupazione sicuramente elevato (9), si sovrappongono  a partire dalla metà degli anni ’80 alla storica disuguaglianza di reddito costituendo una seria minaccia alla stabilità sociale. In quel periodo comincia ad aumentare il numero di reati violenti contro la persona, portando l’omicidio ad essere la prima causa di morte tra la popolazione giovanile.

Nel momento in cui la tensione derivante dagli squilibri demografici si faceva piú acuta in concomitanza con il crescere delle domande legate alla democratizzazione, si assiste però all’inversione di tendenza prima descritta.

 

5. Il cambiamento di rotta, iniziato intorno al 1970, si afferma in maniera netta proprio a partire dalla seconda metà degli anni ’80.

La diminuzione del numero dei figli per ogni donna sembra essere frutto di un’omogeneizzazione dei comportamenti sociali: il modello di bassa natalità delle categorie sociali privilegiate comincia a diffondersi tra le classi meno abbienti. La diffusione dei mezzi di comunicazione di massa (si pensi al fenomeno delle telenovelas) ed i modi di vita urbani sono tra le cause di quest’omogeneizzazione degli stili di vita.

 

6. D’altra parte, l’esame della distribuzione territoriale della popolazione permette di descrivere una situazione di tipo tradizionale: le regioni meno favorite, agricole e povere (il Nord ed il Nordeste) mantengono dei tassi di crescita più elevati, mentre quelle più sviluppate restano al di sotto della media nazionale.

La concentrazione territoriale della popolazione va inoltre interrelata a quella economica per avere un quadro della distribuzione del reddito. Alla fine degli anni ’80 il 60% degli abitanti disponeva soltanto del 18% dei redditi. L’affermarsi di un sistema democratico-rappresentativo non ha sinora migliorato la situazione al punto che il rapporto della Banca Mondiale del 1995 classificava il Brasile come il Paese con la peggior distribuzione del reddito al mondo dopo la Sierra Leone (10).

 

7. Non sorprende quindi che nel volgere di un decennio il Brasile sia diventato da meta d’immigrazione, un veicolo di emigrazione. Nel 1996 un  censimento dell’Itamaraty (11) stimava addirittura in  1,5 milioni i cittadini brasiliani residenti all’estero, seppur con un tasso di soggiorni illegali ancora elevato. Il maggior numero di espatriati era presente negli Stati Uniti, seguiti dal Paraguay, dal Giappone e dall’Unione Europea.

Il fenomeno non ha apportato comunque  particolari benefici alla bilancia delle partite correnti, a differenza di quanto avviene nei Paesi di emigrazione consolidata. Ciò segnala la natura non temporanea ed il carattere individualistico di questi espatri.

Essi oltretutto interessano essenzialmente i ceti urbani, con un livello d’istruzione medio-alto e provenienti dalle regioni relativamente piú prospere del Brasile (San Paolo, Minas Gerais, Santa Catarina). Anche per la mancata caratterizzazione sociale di tale fenomeno non si registra una politica di controllo o di assistenza alla “nuova emigrazione” che e’ piuttosto considerata con una sorta di “benign neglect” da parte dell’Amministrazione di Brasilia.

 

8. Nell’attuale fase storica il Brasile vive quindi uma “transizione demográfica” La piramide per etá della popolazione si sta avvicinando rapidamente a quella dei Paesi OCSE.

Si stanno quindi confermando le proiezioni che indicavano un tasso di crescita della popolazione in etá da lavoro molto basso a partire dal 2015 anche se sembra troppo bassa la previsione di 0,5% all’anno formulata nel 1996 (12): si tratta comunque di un livello compatibile con le potenzialità di crescita dell’economia e che non creerebbe eccessive pressioni dal lato della domanda di lavoro. Quest’evoluzione ha fatto addirittura intravedere la necessità di adottare una politica di immigrazione piú liberale per certi tipi di qualifiche lavorative specialistiche che non si è poi concretizzata negli anni successivi (13).

I mutamenti avvenuti nelle ultime due decadi comportano conseguenze di rilievo anche per la politica sociale del Governo che in prospettiva deve trovar maggiori risorse per gli oneri sanitari e previdenziali derivanti dall’invecchiamento della popolazione così diffuso nelle società europee. É quindi comprensibile l’enfasi posta sin dall’autunno del 1995 dal Governo per giungere ad una riforma strutturale del settore pensionistico che aumenti l’età di uscita dal mercato del lavoro e riduca le prestazioni non collegate ai contributi effettivamente versati.

Quasi dieci anni dopo tale riforma non é ancora definita poichè essa ha assunto un significato politico che supera di gran lunga l’aspetto tecnico-economico della questione ed aperto un annoso dibattito sulle iniziative adottate negli altri settori della politica sociale per contenere le imponenti disuguaglianze sociali del Paese (14).

 

9. In conclusione si può condividere quanto affermava il Direttore del-l’Ente nazionale di statistica (IBGE), Simon Schwartzmann, secondo il quale oggigiorno il Brasile ha di fatto “disinnescato la bomba della popolazione”; il problema più rilevante nel breve periodo risiederebbe invece, a suo avviso, nella concentrazione eccessiva di abitanti in alcune grandi città (15).

 

 

TABELLA 2. Immigrazione netta: Brasile, 1881-1930 (in migliaia)

ANNO

ARRIVI

PORTOGHESI

ITALIANI

SPAGNOLI

TEDESCHI

GIAPPONESI

1881-1885

133,4

32

47

8

8

1886-1890

391,6

19

59

8

3

1891-1895

659,7

20

57

14

1

1896-1900

470,3

15

64

13

1

1901-1905

279,7

26

48

16

1

1906-1910

391,6

37

21

22

4

1

1911-1915

611,4

40

17

21

3

2

1916-1920

186,4

42

15

22

3

7

1921-1925

386,6

32

16

12

13

5

1926-1930

453,6

36

9

7

6

13

TOTALE

3.964,30

29%

36%

14%

5%

3%