SAN PAOLO – Sulla vicenda di Cesare Battisti aleggia un altro fantasma eccellente, proveniente anche lui dal Brasile. Si tratta di Pierluigi Bragaglia, 49 anni, ex terrorista dei Nar, Nuclei Armati rivoluzionari, gruppo neofascista attivo tra il 1977 e il 1981. Condannato a 12 anni di carcere per sovversione, rapina e associazione a gruppo armato Bragaglia è fuggito dall’Italia nel 1982, pochi mesi dopo Battisti.  Ricercato per oltre vent’anni dall’Interpol in tutto il mondo, è stato arrestato nel luglio del 2008 in Brasile ad Ilhabela, deliziosa località balneare vicina a San Paolo, paradiso dei surfisti dove viveva, sposato con una brasiliana, sotto la falsa identità di Paolo Luigi Rossini Lugo, cittadino venezuelano. Bragaglia come Battisti durante gli interrogatori della giustizia brasiliana ha ammesso di aver partecipato ad azioni armate ma di non aver mai ucciso. Nel suo caso sarebbe stato presente nelle rapine dell’allora Banco di Roma, che fruttarono all’epoca 56 milioni delle vecchie lire così come nell’assalto all’Ambasciata dell’Arabia Saudita a Roma dove furono rubate armi e munizioni necessarie per l’arsenale del gruppo. Nega però di aver partecipato all’azione in cui furono uccisi due carabinieri come invece gli viene contestato dall’Interpol. Ma, soprattutto, nega di essere stato un terrorista. «Ho solo partecipato ad un gruppo di estrema destra», ha dichiarato alle autorità brasiliane. Proprio sul caso Bragaglia, attualmente in carcere a San Paolo, si pronuncerà nei prossimi giorni il Supremo Tribunal Federal che dovrà decidere sulla possibilità o meno di estradarlo, come richiesto dal governo Berlusconi lo scorso 2 settembre.  Del caso scrive questa settimana il settimanale Istoé, sottolineando come nelle mani del ministro ddella Giustizia Genro dopo il caso Battisti potrebbe arrivare un’altra patata bollente, stavolta legata al mondo del terrorismo di estrema destra. Istoé non sottolinea una differenza sostanziale tra il caso Bragaglia e quello di Battisti. L’ex terrorista dei Nar, infatti, al momento della cattura risiedeva in Brasile da oltre 20 anni e attraverso il matrimonio potrebbe avere ottenuto la naturalizzazione brasiliana. In tal caso la sua estradizione sarebbe giuridicamente impossibile, come quella di Delfo Zorzi, diventato cittadino giapponese. Un caso diverso in questo da quello di Battisti, ancora detenuto nel carcere di Papuda, a 30 km da Brasilia e le cui sorti potrebbero decidersi a breve, più precisamente durante l’ultima settimana di febbraio. Secondo fonti ben informate, infatti, invece della prevista dilatazione dei tempi è molto più probabile che il governo di Lula approfitti del Carnevale, periodo in cui tutto il Brasile si ferma, per chiudere un caso che già tante polemiche ha creato in così poche settimane.  Sul tipo di decisione che verrà presa, invece, resta ancora il mistero anche se alcuni suggeriscono la via d’uscita dell’asilo umanitario. Niente status di rifugiato politico insomma, come richiesto dal ministro Tarso Genro, ma una sorta di caso Petrella bis, giustificato dalle condizioni dell’ex terrorista dei Pac, ammalato di epatite e bisognoso di cure. Intanto dai corridoi del Supremo Tribunal Federal (STF) cominciano a trapelare le prime indiscrezioni secondo le quali almeno cinque dei dieci ministri che parteciperanno al giudizio sul caso Battisti sarebbero inclini a votare contro Genro e per l’estradizione. Si tratterebbe del presidente Gilmar Mendes, del vicepresidente che analizza il caso Cezar Peluso e dei ministri Ricardo Lewandowski, Carlos Alberto Menezes Direito ed Ellen Gracie mentre Celso de Mello, il giudice di nomina più antica, ha anticipato che per «motivi personali» si asterrà. Decisive le prossime settimane, un periodo di fuoco per il ministro della giustizia brasiliano. Il presidente uscente della Commissione Esteri del Senato brasiliano Heraclito Fortes, infatti, ha annunciato di voler convocare in aula il ministro affinché spieghi «i due pesi e le due misure da lui adottati nel caso del rifugiato politico Battisti e in quello di due pugili cubani», fuggiti durante gli ultimi Giochi Panamericani di Rio e rispediti immediatamente a Cuba. Genro sostiene che i due pugili non chiesero l’asilo, Fortes spiega invece che dalle informazioni in suo possesso i due atleti «volevano lasciare L’Avana ma il loro colloquio con le autorità brasiliane sarebbe avvenuto alla presenza di un agente dei servizi segreti cubani».

(Paolo Manzo-La Stampa.it, 8 febbraio 2009)

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