u SAN PAOLO – SP – La maggiore comunità di italo-discendenti al mondo: è con questa semplice ma chiara affermazione, oggi suffragata da ricerche e statistiche, che si deve definire la grande presenza italiana in Brasile.

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Un dato evidente a chi vive a San Paolo, Rio de Janeiro o Porto Alegre, ma a quanto pare ancora poco conosciuto dalla stragrande maggioranza dei nostri connazionali residenti in Italia, che del Brasile continuano ad avere un’immagine limitata e perlopiù stereotipata.

Eppure, come si diceva, i dati non lascerebbero spazio per equivoci o minimizzazioni: l’ IBGE (l’ISTAT brasiliano, per intenderci) parla di 26 milioni di brasiliani di origine italiana; in maniera significativa questo dato riecheggia al primo paragrafo del lungo protocollo di intesa firmato nel marzo del 2007 tra il Presidente del Consiglio Prodi e il Presidente della Repubblica Lula.

I numeri “made in Italy” sono ancora più eclatanti: secondo il “Rapporto sull’Emigrazione 2006” a cura di Caritas Italia e Fondazione Migrantes (probabilmente il più completo strumento di valutazione quali-quantitativa della presenza italiana all’estero) gli ‘oriundi’ italiani in Brasile sarebbero circa 31 milioni.

Un dato verosimile, anche perché i numeri dell’IBGE risalgono già ad alcuni anni fa ed il Brasile oggi si avvicina a grandi passi alla meta dei 200 milioni di abitanti.

Questo dato complessivo ci induce ovviamente ad una prima riflessione generale, riferita alla percezione del fenomeno in Italia, sicuramente lontana dalla portata reale dello stesso.

Perché, ci chiediamo oggi e ci siamo chiesti più volte nel corso di questi anni: perché ?

Diversi i possibili fattori che hanno contribuito alla sottovalutazione della portata della presenza italiana in  Brasile; si va dagli effetti della seconda guerra mondiale (quando il Brasile era a fianco degli alleati americani) a scelte di natura politica estera a favore di altri Paesi (l’Argentina, in primo luogo); ma anche da elementi linguistici o culturali, che hanno sempre contribuito a fare percepire il Brasile non per i suoi tratti europei ed italiani ma per le sue forti connotazioni etniche di tipo indio-africano.

Scopo di queste poche pagine non è l’approfondimento di una riflessione di carattere sociologico o antropologico sul tema in questione, che meriterebbe comunque un apposito studio supportato da ulteriori dati e da un’analisi specifica.

Quello che ci preme sottolineare è la dimensione di un fenomeno che probabilmente rappresenta almeno il 30 per cento (quasi un  terzo !) della dimensione, notoriamente enorme, del movimento migratorio italiano verso l’estero degli ultimi 150 anni.

E ciò in relazione al grande potenziale che questa presenza rappresenta per lo sviluppo di un solido e strategico rapporto con il Brasile, articolato nelle sue componenti di natura sociale, culturale, politica ed economica.

Non sempre l’Italia ha saputo valorizzare tale bacino naturale di rapporti costituito dalla presenza in Brasile della sua grande comunità di discendenti.   Le politiche di cooperazione sociale, lo sviluppo economico e le stesse relazioni istituzionali (mi riferisco soprattutto alla componente italiana) non hanno saputo cogliere appieno la grande opportunità costituita da questa realtà.

Si è preferito portare avanti una politica ‘a compartimenti stagni’, dove l’attenzione alle comunità emigrate era un capitolo a parte, raramente integrato con i programmi di cooperazione sociale ed economica.

Ho avuto modo di vivere personalmente questo ‘dualismo’: nel corso dei primi anni di lavoro in Brasile seguivo prevalentemente il settore della cooperazione allo sviluppo, mentre in seguito mi sono occupato perlopiù dell’assistenza alla popolazione di origine italiana.

Ebbene, ho scoperto sulla mia pelle che tra questi due mondi non esisteva alcuna comunicazione fino a pochi anni fa e che spesso “la mano destra non sapeva cosa faceva la sinistra”; non era raro il caso di un ente locale italiano impegnato in un piccolo progetto di cooperazione in una determinata regione del Brasile che si ‘imbatteva’ nella stessa regione con una delegazione dell’assessorato all’emigrazione dello stesso ente impegnata in una missione organizzata dalla locale associazione di emigrati…

Mancanza di coordinamento da un lato,  incapacità di ragionare in termini strategici dall’altro.

Il  giorno dell’arrivo del Capo del Governo italiano in Brasile, un editoriale del “Corriere della Sera” lo invitava – letteralmente – “a dimenticarsi dell’emigrazione italiana in Brasile” e ad “occuparsi di affari” con il nostro partner sudamericano.   Come se, tra l’altro, le due cose fossero alternative tra loro, e anzi la presenza italiana (anche, se non soprattutto, nel mondo dell’impresa) non fosse un fattore centrale e strategico proprio per lo sviluppo dei rapporti commerciali tra i due Paesi.

L’editoriale del “Corriere” riprendeva ed enfatizzava, sostanzialmente, un atteggiamento tipico di certa diplomazia italiana che tanto spazio ha avuto in questi anni negli organi di informazione, con una conseguente influenza sulla ‘percezione’ da parte dell’opinione pubblica del fenomeno.

E, parlando di ‘diplomazia’, dovrebbe farci riflettere un dato legato alla “rete diplomatico-consolare” italiana in Brasile: 6 Consolati Generali per un’estensione territoriale grande 40 volte l’Italia ed una comunità di 31 milioni di discendenti.   Curioso un altro dato: i due Stati brasiliani dove maggiore in termini percentuali è la presenza italiana (Santa Catarina ed Espirito Santo) non hanno una Sede Consolare di Prima Categoria, ma semplicemente un Vice Consolato.    Sono senz’altro indicatori non soltanto della cronica carenza dei nostri servizi consolari all’estero ma anche un indice di una certa disattenzione alla reale diffusione della presenza degli italiani sul territorio dei Paesi di emigrazione.

Fortunatamente in questi ultimi anni abbiamo assistito ad una graduale inversione di tendenza per quanto riguarda l’attenzione dell’Italia verso il Brasile, anche grazie alla sensibilità mostrata dai Governi dei due Paesi; tale dato ha anche riguardato la progressiva valorizzazione dell’universo rappresentato dalla nostra comunità qui residente e dai milioni di ‘oriundi’ di terza e quarta generazione.

La fitta serie di missioni politico-istituzionali al massimolivello del 2007 e in generale un maggior peso della nostra diplomazia in Brasile hanno contribuito a mutare il quadro esistente.

Sicuramente la partecipazione politica degli italiani all’estero attraverso il voto ed alla elezione di propri rappresentanti in seno al Parlamento italiano ha contribuito a rafforzare questa inversione di rotta.

Si è dato più valore anche alla presenza negli organi legislativi brasiliani di parlamentari di origine italiana; lo stesso dicasi per gli esecutivi di importanti Stati brasiliani e dello stesso Governo Federale.

Il Governatore del Mato Grosso do Sul, Andrè Puccinelli, è nato a Viareggio; il Ministro dell’Economia, Guido Mantega, a Genova, mentre figlio di immigrati calabresi è Josè Serra, Governatore dello Stato di San Paolo: sono soltanto alcune delle centinaia di autorità politiche brasiliane che possono vantare una origine italiana, spesso suffragata da una “doppia-cittadinanza” esibita con orgoglio.

Una analoga panoramica nel mondo dell’imprenditoria o del volontariato ci darebbe probabilmente lo stesso risultato.

E’  a questo sostrato che ci riferiamo quando parliamo della valorizzazione della grande presenza italiana in Brasile.

Un investimento politico su questo immenso capitale umano sarebbe davvero il segnale di una svolta nella maniera di intendere ed affrontare il “capitolo emigrazione” da parte dell’Italia: sviluppare e ampliare un grande programma di borse di studio tra i due Paesi, sulla falsariga dell’Erasmus europeo; incentivare programmi di cooperazione che coinvolgano Ong italiane e brasiliane e che allo stesso tempo sappiano utilizzare il patrimonio costituito dagli ‘oriundi’; organizzare un ‘tavolo permanente’ che consenta ad amministratori pubblici dei due Paesi di elaborare politiche e programmi integrati.

Sono solo alcune linee di lavoro possibile che hanno alla base la grande ed eterogenea risorsa costituita dalla popolazione di origine italiana in Brasile.

Il Comites di San Paolo, organismo eletto democraticamente da tutti i cittadini italiani degli Stati di San Paolo,Mato Grosso do Sul, Mato Grosso, Rondonia e Acre, ha iniziato in questi anni una serie di missioni all’interno degli Stati e nelle principali capitali, per sperimentare sul campo questa ‘cultura dell’integrazione’ tra le politiche tipicamente a favore degli italiani all’estero e gli interventi a favore delle comunità povere del Brasile; tale sforzo ha coinvolto le istituzioni locali, il Consolato e le stesse imprese italiane ed italo-brasiliane.

Si tratta di una importante e utile base, anche sperimentale, per procedere ed estendere questo cammino ad altre esperienze, anche italiane.

Nel corso di queste visite si è dato per esempio avvio, sia pure in maniera empirica, ad una prima ‘mappatura’ della presenza italiana nel mondo dell’impresa e del volontariato, ed in questo abbiamo potuto contare con il supporto delle Ong locali e della stessa Camera di Commercio italo-brasiliana.

Siamo convinti che è la maniera giusta di affrontare le cose, l’unica che unisce in modo intelligente e non demagogico il grande potenziale di ‘oriundi’ italiani in Brasile e la significativa tradizione di solidarietà italiana in Brasile, senza dimenticare di coinvolgere il mondo dell’impresa e le istituzioni.

E’  a  partire da esperimenti di questo tipo che sarà possibile recuperare e dare valore concreto a quei numeri dei quali parlavo all’inizio: i 31 milioni di italo-discendenti in Brasile diventeranno così una leva formidabile per la costruzione di un mondo più giusto, equamente sviluppato e culturalmente aperto alle enormi sfide poste dal secolo da poco iniziato.  

 

(*) Vice Presidente del Comites di San Paolo