Orquídeas em combinação (Foto Desiderio Peron / Arquivo Insieme)

Rocco Spina, commerciante, Porto Alegre-RS. La fine di una guerra presenta scene che sembrano un film del neorealismo italiano. È quanto accaduto, dice l’intervistatore Olides Canton, nel 1950 quando Rocco Spina e Maria Isabella Lamboglia si incontrarono a Morano Calabro, la sua terra natale. Maria Isabella faceva ritorno da una città vicina, sfollata per quattro anni a causa della guerra. Il rincontro fece iniziare una storia d’amore che dura da più di mezzo secolo.

– Mi trovavo alla stazione, dice Rocco, con altri ragazzi. Lei era molto bella. Non mi scappa, pensai. Con tanta voglia di aver successo nella vita, il 18 maggio 1950 ci sposammo a Morano. Poco dopo il matrimonio venni, su richiesta di mio fratello Chico, a lavorare a Porto Alegre, nel Ristorante Copacabana. Viaggiai 14 giorni sulla piccola nave Marco Polo, per attraversare l’oceano.

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Un anno dopo, il 18 maggio 1951, Maria Isabella giunse all’aeroporto Salgado Filho. Aveva attraversato l’oceano sulla nave Conte Biancamano dopo essere riuscito, con un amico, a raccogliere denaro in prestito, il sufficiente per comprare il biglietto. Nel porto di Santos, dove la nave approdò, Maria Isabella confuse una banconota di valore alto con una di poco valore, visto che non conosceva nulla di portoghese.

– Mi ricordo, dice Maria Isabella, la paura che avevo in Italia a causa dei bombardamenti della II Guerra Mondiale. Avevamo dei nascondigli dove, chi era in fuga, cucinava in attesa che la confusione terminasse.

– A Porto Alegre avemmo anche momenti di difficoltà. All’inizio abitavamo nei fondi del Ristorante Copacabana. Io lavoravo come cameriere e Maria Isabella con le cuoche, con le quali imparò il portoghese. Riuscimmo poi ad avere una casa nel Partenon. Le vicine ridevano perché Maria Isabella si spaventava a sentire il gracchiare dei rospi, di notte. Durante il giorno vendevo biglietti nella Rua da Praia e, la sera, aggiustavo scarpe, arte imparata in Italia.

A nove mesi dall’arrivo di Maria Isabella, nacque José, il nostro primo figlio. Poi vennero Luiz Alberto, Ana Maria e Carmen; i nipoti – Sofia Isabella, Felipe Augusto, Carolina, Roberta, Natália, Rocco Neto, Lauro Junior, Pedro e Francesco;  i pronipoti – Rômulo e Tiago Melo.

– Aprimmo la macelleria São José, nella Av. José do Patrocínio, 976, vicino alla Chiesa della Sacra Famiglia, famosi per le salsicce calabresi grazie ad un prestito del Banco Credereal che ci misi anni per estinguerlo. Di inverno, al mattino presto, andavo a prendere la carne, a volte in un frigorificio a Gravataí. Le nostre salsicce calabresi arrivarono persino nel Palazzo del Planalto, portate dal colonnello Lamaison in un contenitore termico. Lavoravo dalle 4.00 alle 7.00 poi facevo colazione con una bistecca al sangue e vino.

– Nei fine settimana facevamo dei pic-nic nelle spiagge del Guaíba, poi comprammo un appartamento a Tramandaí, dove passavamo l’estate con tutta la famiglia.

Come a tutte le buone mamme italiane, Maria Isabella veniva nostalgia quando i figli ed i nipoti ci lasciavano soli a casa, nella Av. Erico Veríssimo, 583. – Quando loro se ne vanno, diceva, divento triste. Ma lo accetto perché vanno a casa loro. Rocco e Maria Isabella tornarono in Italia, la prima volta di tre nel 1981, insieme a Chico ed ad una coppia di amici.

Sempre nel campo alimentare, nel 1993 fondarono la A. M. Spina, fabbrica di cibi congelati, il 01/05/1995 aprirono la Pizzeria Spina, nella Lima e Silva, angolo Olavo Bilac, dove trascorrono le loro notti mangiando, bevendo, cantando e festeggiando con i loro amici”.

Conosco la famiglia Spina fin dal 1960, quando aiutavo Padre Severino Brum nella Parrocchia della Sacra Famiglia. A Olides fa strano che Rocco dica “allora” al posto di “então” e “sabdia” al posto di “sabia”, immaginate come poteva dire “alora” nel 1960. Ma quando era il momento di preparare la salsiccia calabrese era molto attento. Ma il miglior condimento sempre fu la sua allegra famiglia con figli, generi, nuore, nipoti, pronipoti e impiegati che, di ogni cliente, ne fanno un eterno amico. (Traduzione Claudio Piacentini)