Il 6 agosto 1885, il sindaco di Cittadella, a meno di 40 chilometri da Padova, scriveva e firmava su carta ufficiale un documento archiviato con il numero 2851 in cui si dichiarava che un certo Francesco Burbello, residente nella frazione di Santa Croce Bigolina, “ha sempre avuto una condotta esemplare, gode di buona fama ed è persona di buona indole”.

Chi conosce Altevir Burbello, 56 anni (insieme a Rosane Maria Micheletto padre di Valeria, Marcelo Augusto e Valkiria Dayane Burbello), titolare di un riconosciuto studio di commercialista situato vicino alla chiesa principale di Uberara, Sud di Santa Catarina e tra le altre attività ex-presidente del Sindacato dei commercialisti di Curitiba e Regione Metropolitana, lo conosce come persona pacata, insomma “ha sempre avuto una condotta esemplare, gode di buona fama ed è persona di buona indole”.

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Però Altevir, negli ultimi tempi, è in conflitto con il Consolato Generale d’Italia a Curitiba, perdendo la calma proprio in onore e omaggio del suo bisnonno Francesco: “Desistere ora? No! È una questione di onore! È una questione di onore e questo documento arriverà…da una parte o dall’altra. O qui o in Italia, ma arriverà!”

Con molta pazienza ha atteso nella “fila della cittadinanza” per lunghi anni il suo numero 13.917 fino a che, nel 2012, è stato convocato per presentare i documenti. Finalmente avrebbe visto formalmente riconosciuto il suo diritto alla cittadinanza italiana (ed anche quella dei suoi figli e le altre persone che compongono il suo nucleo familiare, un totale di 19 persone). Ma non sapeva che quel giorno sarebbe iniziato un calvario che ancor oggi non si è concluso. Per farla breve, raccontando solo l’essenziale: gli avevano garantito (e lui ricorda il nome di chi gli diede questa garanzia) che non era necessario presentare il certificato di matrimonio (con Maria Cunico) del suo bisnonno, qui giunto giovane nel novembre del 1885, a 22 anni e scapolo. In fin dei conti era stato lui stesso a denunciare la nascita del figlio (nonno di Altevir). Ma dovette rettificare il nome del nonno João Baptista Burbello e questo processo è arrivato a conclusione solo nel 2015. Esattamente il 17/03/2015 tutti i documenti sono stati rinviati al Consolato.

Sorpresa: la pratica, invece di accelerare si è bloccata, sono passati anni ed i documenti dei Burbello sono “rimasti fermi in qualche cassetto” fino ad inizio 2019. “Abbiamo inviato di nuovo i nostri documenti il 07/06/2019 – dice Altevir – e ricevuto, il 24 luglio scorso, la comunicazione di rigetto della domanda”.

Tra i motivi sostenuti, come già pubblicato nella scorsa edizione, la mancanza della presentazione del certificato di matrimonio e di morte del dante causa Francesco Antonio Burbello – quel signore di buona indole nato nel decennio 1860, da oltre 150 anni! (si noti che nel certificato di matrimonio di João risulta che Francesco era sposato con Maria Cúnico, anche ella italiana). Il documento che corona la restituzione dei documenti con il rigetto dell’istanza è firmato dal console Raffaele Festa e, nelle ultime righe, informa che se Altevir lo vuole, può presentare “ricorso giurisdizionale al Tribunale Ordinario italiano senza limiti di tempo”.

“Se nel consolato ci fosse qualcuno di buon senso, sarebbe meglio” – ha detto Altevir ad Insieme, che lo ha intervistato nel suo ufficio, con vicino i figli Marcelo e Valkiria. “Si sà come funziona là dentro: chiuso, Forte Knox, non si riesce ad entrare. Ma si sà di storie…di facilitazioni…ma allora perché non facilitano la famiglia Burbello?”, chiede lui garantendo che non rinuncerà all’impresa.

Secondo il presidente del Comites – “Comitato degli Italiani all’Estero” di Paraná e Santa Catarina, avvocato Walter Petruzziello, il documento firmato da Festa è “la prova di un grande abuso da parte dell’autorità consolare”.

Raccontando la sua storia familiare, ad Altevir sono venute le lacrime agli occhi varie volte. Si emoziona molto quando racconta il recupero del legame che unisce i Burbello d’Italia con quelli brasiliani. È già stato a Cittadella varie volte e si mantiene in costante contatto, in particolare con un Burbello di nome Walter, nella casa del quale è già stato e con i fratelli Gianpaolo e Rita, che hanno una pasticceria a Bassano del Grappa.

Così come Altevir, anche i suoi figli non si danno pace con il rigetto consolare, che considerano una “umiliazione”. “Se la cittadinanza si trasmette per sangue, cosa vogliono di più”, domanda Marcelo, confessando di star sentendo nascere un sentimento “di disgusto nei confronti dell’Italia” a causa di tutto ciò. “Ad ogni rigetto, ogni difficoltà, l’amore per l’Italia va scemando, seppur il sangue ci unisca”.

Anche Valkiria è disillusa ma, al contrario di suo fratello, afferma che non si deve desistere, seppur l’amore e l’animo non siano più gli stessi. Lei si era occupata dei documenti e non dimentica l’emozione del suo primo ingresso a Cittadella.

(Insieme n. 245, settembre 2019)