Nell’edizione scorsa ci chiedevamo se l’Anusca – Associazione Nazionale Ufficiali di Stato Civile e d’Anagrafe si presenta come come “amica” o “nemica” degli interessi – diciamo giuridici – degli italiani nati all’estero. Avevo terminato l’articolo scommettendo sul dialogo – ancora molto “timido” o quasi inesistente – tra la Arpen – Associazione degli Ufficiali di Stato Civile e l’Anusca; però, non avevo omesso di citare almeno un esempio che lascia chiaro come uno dei più grandi esponenti dell’Anusca, il Dott. Renzo Calvigioni, potendo interpretare in modo legale questioni relative agli italo-brasiliani, le interpreta contrariamente ai nostri diritti.

Così: in un articolo molto recente, pubblicato sulla Rivista “I Servizi Demografici” e intitolato “La Formazione dell’atto di Stato Civile Omesso”, Calviogioni si esprime esplicitamente contro la possibilità della fornitura dei registri di nascita di persone già decedute, criticando – a mio parere, in errore – decisioni dei Tribunali di Treviso e Arezzo che, in modo corretto, hanno determinato agli USC corrispondenti la fornitura degli atti di nascita di italiani emigrati in Brasile i cui registri parrocchiali di battesimo non esistevano più.

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Fondamentalmente, il Calvigioni usa tre argomenti: il primo, che l’interesse alla ricostruzione dei registri di nascita è personalissimo, cioè, solo può essere esercitato dalla stessa persona a cui la registrazione si riferirebbe; il secondo, che atti di stato civile non possono essere ricostruiti se si riferiscono a fatti avvenuti prima della fondazione dell’Ufficio dello Stato Civile nella località in cui era nata la persona, in particolare se nemmeno il Regno d’Italia era ancora stato istituito; terzo, che, potendo il giudice definire, nell’analisi, lo status allegato dall’interessato in base ai documenti che gli sono presentati, anche se in assenza dell’atto di registro corrispondente, non ci sarebbe la necessità di determinare la ricostruzione del registro menzionato.

Inoltre, l’autore dell’articolo dimostra e comunica, en passant, la sua “sorpresa” e “indignazione” con il fatto di, in uno dei casi da lui commentati, il Tribunale aver determinato la fornitura dell’atto di nascita in base a “documenti prodotti in Brasile”.

In tutti gli argomenti, il Dott. Renzo sembra essere in grave errore.

L’interesse di cui abbiamo trattato qui – sulla cui esistenza l’autore del testo sembra non esserne a conoscenza – è l’interesse giuridico dei richiedenti. Al richiedere la ricostruzione di un atto di nascita di un italiano emigrato, i richiedenti sono “assistiti” dal loro interesse al riconoscimento dello status civitatis italiano, come garantisce loro l’art. 1º della Legge 91/92.

Bisogna presentare, ai fini del riconoscimento dello status civitatis italiano, prova che l’italiano emigrato è nato da genitori italiani: e questa prova è, in effetti, o il registro di nascita dell’emigrato o, se non ancora istituito l’Ufficio dello Stato Civile nel suo luogo di nascita, il Certificato di Battesimo corrispondente. Questa ultima affermazione ci porterebbe a credere, in modo sbagliato, che Calvigioni sarebbe nel giusto rispetto al suo terzo argomento.

Però accade che il riconoscimento dello status civitatis italiano non è una prerogativa – e nemmeno si dà obbligatoriamente – per via giudiziaria. In verità, la via giudiziaria paterna è, solo, una forma straordinaria del riconoscimento dello status civitatis che, se i Consolati funzionassero bene, dovrebbe avvenire ordinariamente attraverso questi.

In Brasile, nessun Consolato d’Italia dispensa ai richiedenti la presentazione dell’atto di nascita del suo avo italiano, in modo che, contrariamente a quanto afferma il Dott. Renzo Calvigioni, sussiste l’interesse giuridico nella ricostruzione degli atti di nascita di italiani emigrati, anche se la capacità del giudice per una valutazione diretta delle prove che gli sono presentate in tribunale potrebbe, in effetti, controllare lo status indipendentemente dalla presentazione di un certificato di nascita valido.

Per quanto riguarda il secondo argomento, Calvigioni confonde esplicitamente la data di verifica del fatto con la data di effettuazione del registro che sono, ovviamente, distinte e relative a situazioni distinte.

Se la legislazione di registro consente che un atto sia realizzato tardivamente o ricostruito da qualcuno legalmente interessato, la prova dell’evento di un fatto registrabile configura, di per se, fatto generatore della stessa attività di registro – che, anche per una questione ovvia, si avrà in data distinta e futura.

Pertanto, non deve causare alcuna stranezza il fatto di una nascita avvenuta nel 1860 (ossia prima della fondazione degli USC nella località o anche prima della fondazione dello stesso Stato italiano) essere ricostituita nel 2022 (o nel 2050!).

In presenza di disposizioni legali (ai sensi degli art. 95 e 98 DPR 396/2000) e interesse giuridico delle parti interessate (ex vi art. 1º Legge 91/1992) abbiamo i requisiti sufficienti affinché un fatto che sia possibile registrare lo sia fatto in qualsiasi momento. Dobbiamo ricordare che l’attività di registro esiste esattamente per soddisfare e fare presumere, con fede pubblica, la verità reale sull’evento di atti, fatti o documenti che, a causa degli interessi giuridici degli stessi registrati o di terzi, devono essere comprovati dinnanzi all’Amministrazione Pubblica o al Potere Giudiziario.

In più, come già deciso dal Tribunale di Roma (n. RG 54795/2021), “va precisato in proposito che gli artt. 4-15 del Codice Civile del 1865 erano tratti dal precedente Codice Civile del Regno Sardo (Statuto Albertino del 1848), che riconosceva i diritti civili e politici propri dell’odierno status civitatis ai c.d. regnicoli”, dimostrando che non c’è una soluzione di continuità nemmeno tra il regime adottato prima della fondazione del Regno d’Italia e il primo regime civile dello Stato italiano che è stato costituito il 17 marzo 1861.

Sempre a questo rispetto, importante commentare: lo scorso 18 ottobre è entrato in vigore il Decreto-Legge nº 149, del 10 ottobre 2022, che, modificando il DRP 396/200 (art. 98), ha allargato l’ambito di applicazione dell’istituto della “rettifica” di registro in Italia, estendendo agli Ufficiali dello Stato Civile competenza per, amministrativamente, fornire o ricostituire gli atti di registro persi o distrutti, a condizione che siano presentate prove documentali della formazione e dei contenuti essenziali dell’atto.

Infine, un ultimo commento: dimostrandosi sorpreso con il fatto che il Tribunale di Treviso abbia ordinato la ricostruzione di un atto di nascita sulla base di documenti prodotti in Brasile, Calvigioni non considerava sia la libertà del Potere Giudiziario di valutare liberamente le prove che gli sono state presentate (andando contro i suoi stessi argomenti), sia la regolarità della documentazione prodotta nel paese straniero, benché, ai sensi dell’art. 12 dell’Accordo di Cooperazione Bilaterale Brasile-Italia in Materia Civile (recepito dall’Italia dalla Legge 336/1993), si legga che “i documenti che sono considerati atti pubblici da una delle Parti hanno, in applicazione del presente Trattato, forza probante di atti pubblici anche per l’altra Parte e secondo la legislazione di quest’ultima.”

Così, la “sorpresa” del Dott. Renzo Calvigioni non ha alcun supporto giuridico, dimostrando, per nostra amarezza, solo preconcetti con i brasiliani e con gli organi pubblici ed ufficiali qui operanti.