Cari lettori, un saluto! Nell’ultimo articolo siamo arrivati ad un punto centrale della nostra serie, in cui cerchiamo di dare una risposta ai lettori sulla necessità (o no) di rettificare i registri familiari. La risposta può essere stata frustrante per molti, visto che non ho potuto promettere nulla oltre ad un semplice “dipende”! Pur raccomandando con decisione che i registri siano perfettamente allineati con la verità dei fatti avvenuti, ai fini della cittadinanza, la necessità di rettificarli dipenderà dal percorso scelto per l’accertamento di questo diritto: se per via giudiziaria, se tramite Consolato (e in quale Consolato) o se presso l’amministrazione pubblica in territorio italiano (e in quale Comune).

Oggi parleremo brevemente delle fasi della rettifica per via giudiziaria dei registri. Possiamo dividere questa rettifica in tre fasi: deposito dell’azione, controllo della sentenza e, infine, esecuzione della sentenza. 

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Con l’autorizzazione dei famosi avvocati brasiliani, considero l’azione di rettifica dei registri come un mandamento, visto che la concessione del diritto si riassume in un ordine dato agli Ufficiali di Registro Civile affinché facciano le correzioni stabilite dall’organo giudiziario. 

Nella fase del deposito, l’avvocato incaricato analizza i documenti presentati dai futuri richiedenti e prepara la petizione iniziale. Questa è una fase molto importante, visto che si tratta di un’azione con rito processuale semplificata, tutti i documenti che istruiscono le richieste dovranno far parte della causa. Oltre ai documenti che qualificano gli interessati (identità, codice fiscale e certificato di residenza), devono essere inseriti obbligatoriamente i registri sui quali si sostiene che ci siano malintesi o errori ed i documenti che li comprovano. Attenzione: documenti in lingua straniera devono essere apostillati (o autenticati via consolato se parliamo di un paese che non ha sottoscritto la Convenzione dell’Aia) e accompagnati da una traduzione giurata in portoghese.  

Contrariamente a quanto accade nel rito ordinario, in cui l’istruzione del processo si sviluppa nel corso di molti atti processuali (come ad esempio, la fase peritale o di audizione dei testimoni o delle parti), l’azione di rettifica dei registri – soprattutto quando si parla di registri civili realizzati molti anni fa – ha come mezzo di prova esclusiva i documenti che sono messi insieme dall’avvocato al momento della preparazione dell’azione. Così, la scelta dell’avvocato per la realizzazione di un’azione di rettifica non può mai essere fatta senza un’analisi attenta da parte degli interessati. Bisogna che il professionista capisca bene dove le parti vogliono – e devono – arrivare con le variazioni di registro volute, preparando il faldone documentale che comprovi le alterazioni richieste con molta attenzione e rigore. A questo proposito va detto che una delle caratteristiche essenziali che deve avere l’avvocato che lavora alle rettifiche del registro è la capacità di essere dettaglista e pignolo: ciò perché il professionista dovrà indicare, nella richiesta iniziale, proprio quello che è sbagliato nel registro e, con precisione, come dovrebbe essere corretto dopo il giudizio. È bene ricordare che le richieste fatte in una maniera sbagliata possono apportare ai registri degli errori che nemmeno in passato c’erano – e in questo caso solo una nuova rettifica potrà risolvere l’equivoco da poco creato.

Una volta depositata l’azione, il Pubblico Ministero è chiamato a manifestarsi in merito al suo interesse nella causa – e la posizione dei procuratori è assolutamente anarchica al riguardo. Ci sono procuratori che si manifestano, procuratori che declinano la loro partecipazione al processo e procuratori che danno pareri raccomandando anche stranezze ai richiedenti, come per esempio la raccolta di documenti che rechino prove negative o addirittura prove di difficile reperimento. Insomma, un terno al lotto! In particolare io mi associo alla corrente che crede che la partecipazione del procuratore alle azioni della Legge dei registri pubblici deve essere totalmente condizionata all’esistenza di interessi di minorenni o incapaci nella causa – e quando non si è in questa casistica non vedo motivo per cui debba essere richiesto un parere del PM.

Se il PM non si manifesta o si dichiara favorevole, la causa passa alla sentenza. Se il PM raccomanda delle azioni ai richiedenti, la causa otterrà una sentenza solo dopo aver eseguito le raccomandazioni del PM. Il tempo medio tra il deposito dell’azione e la sentenza varia enormemente tra le migliaia di corti e può avvenire dopo un mese o persino due anni. 

La sentenza nell’azione di rettifica, se accolta, ordina agli ufficiali di Registro di fare i cambiamenti contenuti in essa. Una buona pratica – purtroppo adottata da pochi giudici – è fare in modo che la stessa sentenza abbia la forza di un mandato, evitando che i richiedenti debbano aspettare l’invio dei mandati per dare inizio alla fase di esecuzione. In questo modo gli interessati possono evitare il doppio controllo, ossia sulla qualità della stessa sentenza e, anche, sui mandati che verranno inviati.

La sentenza di rettifica ideale è quella che (I) è attenta alla protezione dei dati personali degli interessati; (II) segue un modello decisionale che non reprima gli argomenti delle parti; (III) è il più breve possibile (si raccomandano massimo tre pagine) e (IV) come detto sopra, che abbia la forza di mandato. Raramente questi elementi si trovano insieme nelle sentenze “oriunde” di rettifica, meritando una nota di onore per le sentenze della Corte di giustizia di San Paolo, sentenze nelle quali normalmente troviamo tutti i suddetti punti. Sarò compito dell’avvocato responsabile, prima del passaggio in giudicato, controllare nel merito la sentenza, valutando la necessità di ricorrere ad essa per eventualmente sanare delle imperfezioni.

Dopo il passaggio in giudizio, si apre la fase di esecuzione: in questa fase, la sentenza o i mandati di annotazione “oriundi” di essa sono inviati al Registro Civile nei quali vi sono i documenti da correggere. La fase di esecuzione può essere la più difficile e costosa, a seconda del numero dei registri e della dispersione di questi, a volte in varie città o, addirittura, in diversi Stati. C’è un riflesso diretto della fase esecutiva nei costi del processo: più grande è il numero dei registri e/o la sua dispersione sul territorio, più alti tendono ad essere gli onorari degli avvocati e più caro il rispetto della sentenza. Nella fase di esecuzione si apre una procedura che si trova a carico di ogni Cartorio (anagrafe, ndt) – procedura che, alla fine, porterà ad un certificato – generalmente di breve resoconto – che dimostri la realizzazione delle rettifiche ordinate dal giudice. È importante ricordare che le rettifiche ordinate da un giudice che non abbia giurisdizione su un determinato Funzionario del Registro Civile sono, prima di essere eseguite, inoltrate al giudice che ha la giurisdizione affinché confermi l’ordine precedentemente dato dal primo giudice.

Con richieste sempre più assurde da parte dei Consolati (si veda la nuova procedura del Consolato di BH e l’intervista che ho dato sull’argomento, ad Insieme), diviene importantissima la scelta dell’avvocato, privilegiando sempre avvocati specialisti e più esperti e, anche, la stessa scelta del foro, in questo caso, privilegiando, nei limiti del possibile, tribunali nei quali i processi siano più rapidi, in cui i membri del PM o della giustizia non facciano richieste illeggittime, non necessarie o di impossibile esecuzione e, infine, che le sentenze siano emesse con tempistiche e standard normali. Così, caro lettore, nel caso decida o debba rettificare i suoi registri familiari, sia molto prudente! Al prossimo numero!


  • Testo originariamente pubblicato sul numero 268 della Rivista Insieme.