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Nata a Caxias do Sul, capitale della Serra Gaúcha, ma milanese da ormai 7 anni, Sabrina Fontana è un medico-ricercatore che lavora all’Istituto Europeo di Oncologia, ospedale nato nei primi anni Novanta da un’idea del professor Umberto Veronesi (1925-2016), uno dei personaggi più noti e stimati nella storia della medicina italiana, anche per il fatto di aver ricoperto l’incarico di Ministro della Sanità.

L’Istituto da lui fondato a Milano è oggi considerato un’eccellenza a livello mondiale nella cura dei tumori e in questa struttura Sabrina Fontana, specializzata in ginecologia e ostetricia, si occupa in particolar modo di senologia. Uno dei maggiori lasciti del professor Veronesi in questo ambito è stata una particolare tecnica chirurgica – la quadrantectomia – che nel trattamento del carcinoma mammario (prima causa di morte nelle donne) garantisce non solo indici di sopravvivenza più alti, ma anche un migliore impatto psicologico nelle pazienti.

Sabrina, tuttavia, non era partita con l’idea di diventare un medico.

Com’è nata questa tua vocazione per la medicina?

A médica ítalo-gaúcha que vive e trabalha em Milão, na Itália. (Foto cedida)

In verità quando, dopo le scuole superiori, venne il momento di decidere quale sarebbe stata la mia professione, optai per una facoltà amministrativo-commerciale perché sono sempre stata appassionata di lingue, di storia e di comunicazione, tanto che ho lavorato per un po’ di tempo anche in una radio religiosa. Con il passare degli anni, però, mi accorsi che un conto era coltivare degli interessi, un altro era trasformarli nel lavoro della mia vita. L’illuminazione, se così può dire, mi venne facendo opera di volontariato in un’associazione della mia città che si occupava di malati di tumore, in particolare bambini e donne. È stata quell’esperienza a farmi vedere chiaramente quale sarebbe stato il mio futuro e così, a 22 anni e dopo quasi cinque anni di studi in amministrazione e commercio, mi sono iscritta a medicina.

Immagino che sia stato uno sconvolgimento radicale…

Sai cosa ho pensato quando ho iniziato ad affrontare questa materia? Primo, che la medicina è una branca della scienza molto ampia, complessa, profonda: solo uno studente maturo è in grado di affrontarla con la giusta consapevolezza. Secondo, che nella medicina è di fondamentale importanza la comunicazione, in particolar modo nel rapporto fra medico e paziente. Tutto questo per dire che il mio è stato un percorso anomalo, ma tutte le esperienze fatte prima di avvicinarmi alla medicina mi sono state utilissime. E lo sono ancora oggi.

La laurea, un marito, un figlio e la prospettiva di svolgere la professione medica nella tua città. Tu invece non hai voluto fermarti e la tua passione ti ha portata a Milano.

La mia visione del mondo cambiò quando andai a fare uno stage di sei mesi in Portogallo, mentre ancora frequentavo l’Università. Quando tornai a Caxias capii che la mia vita non era e non poteva essere tutta lì, in quell’angolo del grande Brasile: d’altronde sono figlia di una regione abitata da discendenti di gente che tanto tempo fa oltrepassò l’Oceano, fra mille difficoltà, in cerca di una vita migliore e di nuove opportunità. Immaginarsi se nel mio DNA non c’è l’istinto di allargare gli orizzonti, di muoversi per progredire!

Dopo la laurea in medicina, con mio figlio Pedro che era nato da poco, mi sono specializzata in ginecologia e ostetricia. Subito dopo – era il 2012 – su consiglio di un mio professore partecipai ad una borsa di studio per passare un anno all’Istituto Europeo di Oncologia di Milano, centro di riferimento mondiale per la cura dei tumori al seno. Vinsi la borsa di studio, ma come fare? Pedro aveva solo 3 anni e mio marito aveva un lavoro in Brasile. È chiaro che la decisione non era solo mia, ma doveva essere condivisa da tutta la famiglia, che per fortuna mi è stata vicina: nel primo anno a Milano si sono alternati mio padre e mia madre che badavano a Pedro mentre io ero in Istituto. È stato un sacrificio per tutti, ma l’opportunità di crescere professionalmente lavorando in uno dei dieci Istituti oncologici più rinomati a livello mondiale era davvero unica e troppo importante: il classico treno che passa una volta nella vita.

Gli anni a Milano sono poi diventati due, tre, quattro… e col tempo siamo riusciti a ricongiungere la famiglia. Oggi Pedro frequenta la scuola dell’obbligo a Milano (tanto che parla italiano molto meglio di me) e mio marito Evandro lavora qui. Senza una famiglia unita e costruita su solidi valori, tutto ciò non sarebbe stato possibile.

A proposito di Milano, città della moda e delle fiere internazionali, la pandemia l’ha davvero cambiata radicalmente. Come hai vissuto questi mesi di chiusure e restrizioni?

Appena arrivata, ebbi l’impressione che Milano fosse una città estremamente vitale, che non si fermava mai. Questa lunga emergenza sanitaria, che l’ha colpita molto più di altre città italiane, l’ha fortemente trasformata. È una pena non incontrare i turisti per strada e vedere tante saracinesche dei negozi abbassate e che probabilmente non riapriranno più.

La pandemia ha causato forti ripercussioni anche nel mio specifico campo medico. A causa dei vari ‘lock-down’ si è praticamente fermato tutto il sistema dello ‘screening’ diagnostico per il tumore alla mammella, causando un danno gravissimo le cui conseguenze si ripercuoteranno nei prossimi anni. Per dare un’idea, solo nei primi cinque mesi del 2020 sono stati annullati 1,4 milioni di esami. Quante diagnosi precoci, con le quali salviamo la vita delle pazienti nel 90-95% dei casi, abbiamo perso?

Brasiliana con passaporto italiano, tu sei una delle tante persone che sono tornate a vivere nel Paese delle origini. Tutto questo deve essere molto emozionante.

È uno dei motivi che mi fanno vivere bene qui. Fin dal primo momento che sono arrivata a Milano mi sono sentita a casa, anche nell’ambiente lavorativo. La mia direttrice, la dottoressa Viviana Galimberti, e gli altri colleghi hanno capito subito che sono una brasiliana un po’ speciale che porta con sé una cultura e un modo di pensare che è un po’ sudamericano e molto europeo. Prima di conoscermi avevano un’idea totalmente diversa del popolo brasiliano. Adesso hanno capito che non c’è solo un Brasile, ma ci sono tanti Brasile. Allo stesso modo vivendo qui e avendo pazienti che arrivano da ogni parte d’Italia, ho capito che l’Italia è un Paese straordinario proprio perché ci sono tante Italie, ognuna delle quali è orgogliosa dei suoi piatti e prodotti tipici.