Nato a Bento Gonçalves, nella Serra Gaúcha, Tarcisio De Bacco ha ascendenze venete delle Province di Belluno e Treviso e sono più di 35 anni che ha scelto di tornare a vivere e lavorare nella terra dei suoi bisnonni. Arrivato a Roma nel 1985, pieno di entusiasmo e con la vita davanti a sé, dopo qualche anno si trasferì a Milano, che oggi è la sua città. Nella capitale economica italiana, passo dopo passo, De Bacco si è fatto strada e dopo anni di grandi sacrifici e tanto lavoro è riuscito a diventare il proprietario dello storico ristorante Biffi in Galleria Vittorio Emanuele, un’autentica icona milanese conosciuta in tutto il mondo.

Lo intervistiamo nel periodo più difficile della sua carriera professionale, dal momento che la pandemia da Covid 19 lo ha costretto a tener chiuso il suo ristorante dal marzo del 2020 e lo sarà fino a quando l’emergenza sanitaria non darà qualche speranza di riapertura. Una pesante situazione che il Biffi sta condividendo con tutti i prestigiosi bar e ristoranti che si affacciano in Galleria Vittorio Emanuele e più in generale nelle vie del centro di Milano, città particolarmente colpita da questa terribile pandemia le cui conseguenze economiche si ripercuoteranno per molti anni a venire. Un solo dato è sufficiente a spiegare la situazione drammatica in cui si è venuto a trovare il turismo in Italia: nel 2020 il Bel Paese ha perso 78 milioni di visitatori, fra turisti e viaggiatori per affari.

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Tarcisio De Bacco (Foto acervo pessoal / Insieme)

Ma torniamo a quel lontano 1985. Tarcisio è un giovane nel pieno dei suoi 20 anni, irrequieto, con una grande vitalità, tanta curiosità e voglia di divertirsi ma… poco incline allo studio. Inizia a lavorare nell’azienda di materiale elettrico del padre ma poco dopo si stanca e si fa assumere da un altro imprenditore di Bento Gonçalves fino a quando, un bel giorno, arriva l’opportunità di fare un viaggio in Italia insieme ad una coppia di amici. Per uno come lui, cresciuto a “galeto e polenta brustolà”, era un’occasione da non perdere”:

– Racimolai i soldi per il biglietto aereo e partii senza esitazione per quel viaggio che sognavo da tempo. Nato e vissuto in un ambiente tipicamente italiano come quello della Serra Gaúcha, avevo una gran voglia di vedere con i miei occhi cos’era veramente quell’Italia della quale avevo tanto sentito parlare e in cuor mio partii anche con la speranza di trovare – chissà – qualche opportunità di lavoro.

Arrivato a Roma, nelle prime settimane feci vita da turista girando qua e là, conoscendo gente, assaporando gli odori e sapori della capitale italiana. Ricordo in particolare, l’atmosfera che si respirava al mercatino di Porta Portese, un mercato popolare nato nel secondo dopoguerra dove ogni domenica la gente compra e si scambia vestiti e oggetti di seconda mano: “un gran calderone di cose e di gente, un mischia- mischia di classi sociali e culture, miserie e nobiltà”, come ha scritto qualcuno. Ebbene, fra i personaggi di quel fantastico mercatino c’era un venditore – mi ricordo ancora nitidamente la sua voce – che urlava a gran voce con accento romanesco “mille lire!, solo mille lire!” per attirare i compratori della sua merce.

Ben presto, però, i soldi finirono e siccome non avevo alcuna intenzione di tornare in Brasile mi trovai un lavoro: andai a fare il lavapiatti all’Alexanderplatz, uno dei primi jazz club italiani che si trova a due passi dal Vaticano. Qualche mese più tardi trovai posto, sempre come lavapiatti, al Ristorante da Nerone sulla Via Appia, poco fuori Roma.

Un lavoro molto umile e faticoso, che oggi in Italia fanno solo gli extracomunitari, spesso sottopagati e in nero. 

Quelli erano altri tempi. Ma era comunque un lavoro vero, dignitoso, che da un lato mi ha consentito di mantenermi e dall’altro mi ha dato una grande lezione di vita. Sono sicuro che non sarei arrivato dove sono arrivato se non avessi fatto quell’esperienza lavorativa.

Per far capire ciò che sto dicendo, posso raccontare un aneddoto che fa parte dei miei ricordi più cari. Al Ristorante da Nerone – eravamo una trentina di dipendenti – cuochi, camerieri e lavapiatti avevano una mensa dove si mangiava tutti assieme. In quelle occasioni pensavo fra me e me: se io non lavassi bene tutti i piatti rischierei di dover mangiare in un piatto sporco. Dunque è meglio se faccio il mio lavoro bene, come dev’essere fatto. Per questo vado orgoglioso di essere stato, molto probabilmente, il miglior lavapiatti di tutta Italia. La lezione di vita che ho imparato è questa: qualsiasi lavoro tu faccia, fallo al meglio, come se fosse un lavoro che fai per te stesso.

Poi il destino l’ha portata a Milano, sempre nel ramo della ristorazione ma in un ambiente totalmente diverso. Un’altra Italia, si potrebbe dire.

Le occasioni della vita spesso capitano per circostanze fortuite. Nel mio caso fu l’incontro a Londra con una ragazza italiana la quale, parlando del più e del meno, ad un certo punto mi disse: “mio zio ha un ristorante a Milano, ti piacerebbe andare a lavorare da lui”? Io risposi: perché no? E così da romano diventai milanese. Roma e Milano sono due mondi entrambi affascinanti, ma totalmente differenti: per spiegarlo ai brasiliani, è la stessa differenza che c’è fra un carioca e un paulistano.

All’Osteria del Comune Antico – così si chiamava il ristorante – si lavorava molto. Le mie giornate iniziavano alle 8 del mattino e terminavano ben oltre la mezzanotte; qualche ora di riposo e il giorno dopo si ricominciava di nuovo. Dopo 14 mesi di quella vita ebbi la netta sensazione che il proprietario mi stesse sfruttando e così iniziai a guardarmi intorno alla ricerca di un altro lavoro. Sempre per pura coincidenza, in quei giorni un’amica brasiliana che viveva a Venezia mi raccontò che stava trasferendosi a Milano per lavorare alla Gelateria Gabbiano, in Galleria Vittorio Emanuele. “So che stanno cercando un collaboratore – mi disse –  ti interessa”? E così mi misi a vendere gelati.

Lei era un semplice commesso di una gelateria, ma quella gelateria si trovava in un luogo nobile di Milano, che poi non ha più lasciato.

Da quel momento, in effetti, inizia una girandola di occasioni lavorative che comunque non mi hanno mai portato lontano dalla Galleria, cioè dal cuore di Milano. Accadde che lavorando in gelateria entrai in confidenza con il proprietario, il signor Gianni Vallazza, che dopo due anni vendette l’attività e comprò il bar l’Ottagono, proprio al centro della Galleria Vittorio Emanuele, dove mi volle come gestore del locale. Dopo altri due anni il signor Vallazza cedette l’attività. Rimasi temporaneamente senza lavoro, ma mi rimboccai le maniche e trovai un posto al Bar Si, un locale storico sempre in Galleria. Nel frattempo Vallazza mi contattò di nuovo per dirmi che stava comprando un bar in Via Gonzaga, nei pressi – guarda caso – della filiale di Milano del Banco do Brasil. “Vorresti entrare in società”? Mi può interessare, gli risposi. E così da lavapiatti diventai comproprietario di un bar nel centro di Milano.

Gli affari del bar, però, non andarono come previsto. Preso dallo sconforto stavo pensando di ritornare in Brasile – nel frattempo mi ero sposato ed era nato il mio primo figlio – quando ancora Gianni Vallazza mi prospettò la possibilità di acquistare insieme ad un suo nipote l’Ottica Vanzina, altro storico marchio milanese che aveva un negozio in Galleria e uno nella prestigiosa Via Monte Napoleone. Gli dissi di sì ancora una volta e con tanti sacrifici riuscimmo a comprare l’Ottica Vanzina.

Gelaterie, ristoranti, bar, occhialerie… in pochi anni tanti lavori così diversi uno dall’altro. Solo ad ascoltare queste avventure c’è da farsi venire il mal di testa…

Ma non è finita qui, perché pochi mesi dopo aver comprato l’Ottica Vanzina venimmo a sapere che era in vendita il Biffi, vale a dire il più antico ristorante di Galleria Vittorio Emanuele, nato nel 1867 come bar, ristorante e birreria. Le trattative durarono circa un anno, ma alla fine vendemmo l’Ottica e riuscimmo nell’impresa di diventare proprietari di un autentico simbolo di Milano. Tutto ciò accadeva alla fine degli anni Novanta.

Se dovessi raccontare di tutte le notti passate insonni a causa delle preoccupazioni, potrei scrivere un romanzo. Tuttavia, di fondo, c’è un senso di grande soddisfazione e orgoglio per tutto ciò che sono riuscito a fare partendo dal Brasile con pochi soldi ma con una valigia piena di sogni e tanta voglia di fare. Ebbene, nonostante i sacrifici, i problemi e gli impegni finanziari che mi aspettavano, alla fine di quegli anni Novanta mi dissi che quei sogni io li avevo realizzati e li avevo realizzati con grande soddisfazione, proprio nel Paese delle mie origini che tanto amavo.

Adesso, però, questa maledetta e inaspettata pandemia sta mettendo in pericolo il frutto di anni di lavoro e sacrificio.

Il fatto è che i clienti del nostro ristorante sono principalmente i turisti che prima della pandemia frequentavano il Biffi per assaporare i piatti tipici della cucina milanese – in cima a tutti il risotto con l’ossobuco e la cotoletta – e degustare i nostri fantastici vini.

Da marzo del 2020 è cambiato tutto. Milano è diventata una città desolatamente deserta: non ci sono fiere, non c’è la settimana della moda, non ci sono congressi, i teatri sono chiusi… Di conseguenza tutte le strutture ricettive sono ferme da mesi e la stessa cosa accade nelle grandi città d’arte italiane come Firenze, Roma, Venezia… Nello scorso settembre, quando sembrava che i contagi fossero sotto controllo, ho provato a riaprire il Biffi per 40 giorni, ma gli incassi sono stati pari al 10% di quello che avrei fatturato in situazioni normali. Ho dovuto chiudere di nuovo e per fortuna che il Governo sta dando qualche piccolo sostegno economico ai proprietari, ma soprattutto ai nostri dipendenti.

Il futuro la spaventa?

Il turismo mondiale ha passato altri momenti difficili – mi riferisco al dramma delle torri gemelle di New York, all’epidemia della “mucca pazza” o a quella dell’aviaria – ed è stato difficile riprendersi anche da quelle crisi che sono poca cosa rispetto al Covid 19.

Io tuttavia sono ottimista di natura e allo stesso tempo sono anche realista. So che ci aspettano anni di sacrificio per recuperare almeno in parte i danni che sta portando questa disgrazia, ma bisogna guardare avanti con fiducia e rimboccarsi le maniche.

Credo che tutti noi dovremmo guardarci dentro e fare una profonda riflessione alla ricerca di uno stile di vita che possa rendere il mondo in cui viviamo un mondo migliore.☑