Probabilmente necessita un approccio da “curatore fallimentare” alla crisi, cioè quello di salvare il sistema bancario sia nazionale che internazionale solamente attraverso un procedimento di “bancarotta controllata”. Sono parole forti che possono far paura a chi pensa che l’economia si basi primariamente su fattori psicologici e non sui pilastri portanti dell’economia reale fatta di investimenti produttivi e consumi necessari e utili.
In questi giorni si parla di bad bank, cioè di strumenti ad hoc dove collocare i “titoli tossici” e senza alcun valore delle banche, a cominciare dai derivati OTC che sommano a un valore nozionale di 700.000 miliardi di dollari.
La soluzione è giusta ma la questione di fondo è: chi paga? I responsabili della crisi e anche alcuni esponenti di vari governi (Henry Paulson, ex ministro del Tesoro americano, Ben Bernanke, capo della Federal Riserve, Gordon Brown, primo ministro britannico) sostengono che la bad bank debba essere garantita con i soldi dello stato.
Sarebbe una grande truffa, solamente sotto un altro nome, dove le finanze pubbliche verrebbero utilizzate per un gigantesco bail out, un salvataggio con pagamenti a fondo perduto per coprire i buchi lasciati dalla speculazione e da banchieri senza scrupoli.
Invece queste bad bank devono rimanere nella responsabilità delle banche che verrebbero però messe in condizione di poter operare a sostegno dell’economia reale. La bad bank così concepita avrebbe il compito di far prosciugare la palude dei derivati e dei titoli tossici. Il compito degli stati invece dovrebbe limitarsi a formulare subito nuove regole per permettere dei cambiamenti contabili e far transitare i titoli tossici dai bilanci delle banche verso questi nuovi contenitori ad hoc consentendone il congelamento per alcuni decenni se necessario, per una eventuale futura loro soluzione nell’ambito del sistema bancario stesso. Lo stato dovrebbe dare subito indicazioni precise per controllare e limitare globalmente le operazione finanziarie derivate, così come ad esempio disposto dal governo Prodi nei confronti degli enti locali. Anche
I salvataggi delle banche devono servire a far rifluire il credito nel sistema produttivo, soprattutto nel tessuto delle piccole e medie industrie ma, senza le nuove regole necessarie, i finanziamenti pubblici si perderebbero nei buchi neri dei bilanci delle banche. Anche l’eventuale abbassamento dei tassi di interesse fino al livello di ZIRP (zero interest rate policy) non sarebbe capace da solo e automaticamente di rimettere in moto il motore dell’economia.
Intanto nel nostro paese lo stato ha uno strumento formidabile per dare una spinta propulsiva alla ripresa economica,
In una crisi epocale come quella attuale, gli stimoli e i sostegni ai consumi sono necessari ma non possono bastare a rimettere in moto i processi economici. Bisogna puntare alla crescita complessiva dell’economia per poi certamente meglio distribuire. Per questo gli impegni a mantenere livelli di vita, stipendi, salari e pensioni devono accompagnarsi alla messa in cantiere di grandi progetti, di infrastrutture, di modernizzazioni che guidino il paese per i prossimi 50 anni. Davanti a noi e nell’immediato abbiamo sfide come l’indipendenza energetica, lo sviluppo del Mezzogiorno in un’Italia partecipe dell’Europa ed economicamente moderna da Nord a Sud.
Non si esce dalla crisi “mantenendo” soltanto i livelli di produzione e di reddito; non si tratta di “riempire le buche”, bensì di formulare un intero progetto di sviluppo nuovo e diverso per la creazione di nuova ricchezza e di reddito.
Il continuo litigio tra governo e opposizione sulle cifre economiche, come avvenuto sul decreto anti crisi, e sulla divisione e distribuzione di una torta che si fa di giorno in giorno più piccola, finisce col nascondere i veri problemi economici delle regioni del Nord e penalizza ancor di più quelle del Sud.
Mario Lettieri, già sottosegretario all’Economia e Finanze nel governo Prodi (2006-8)
Paolo Raimondi, economista