Resultados do referendum de 2 de junho de 1946 por regiões. (Reprodução/Insieme)

“È TUTTO QUESTO, CHE NOI FESTEGGIAMO, IL 2 DI GIUGNO DI TUTTI GLI ANNI, MIEI CARISSIMI COMPATRIOTI! “

Per noi italiani, si tratta di una delle feste civili più importanti dell’anno. Non c’è angolo, in Italia come anche dovunque nel mondo ci siano italiani, dove in questo giorno il senso di fraternità nazionale non si risvegli, facendoci sentire uniti profondamente, al di là ed al di sopra di qualsiasi differenza di opinione politica oppure di ceto sociale.

PATROCINANDO SUA LEITURA

Il motivo c’è, ed è storico.

L’Italia di oggi naque il 2 giugno de 1946, quando gli italiani si recarono massicci al voto per scegliere mediante Referendum Istituzionale se la nuova Nazione, che aveva soggiaciuto alla dittatura fascista per 20 lunghi anni, negli ultimi 5 dei quali aveva sofferto la guerra, avrebbe continuato a reggersi con il sistema di governo monarchico fin là vigente, oppure si sarebbe trasformata in una repubblica.

Il territorio italiano, tra il 1943 ed il 1945, era divenuto teatro di guerra a tutti gli effetti.

Nel luglio 1943 Benito Mussolini, il dittatore, era stato sfiduciato dal suo stesso Gran Consiglio del Fascismo, e Vittorio Emanuele III di Savoia, Re d’Italia, aveva sottoscritto il suo mandato d’arresto, nominando al suo posto come Capo del Governo il Maresciallo Pietro Badoglio.

Subito dopo, agli inizi di settembre dello stesso anno, il Monarca ed il Capo del Governo avevano firmato la resa italiana alle forze alleate, trasformando così i tedeschi del Terzo Reich, di punto in bianco, da “amici di rinforzo” di un regime fascista ormai allo sbando, in nemici invasori.

I due anni successivi videro infuriare in Italia le battaglie feroci tra gli alleati, aiutati sul territorio nazionale dalle forze della Resistenza che stava nascendo, ed i tedeschi.

La realtá nazionale italiana era caduta nel baratro più buio della sua storia: sotto i bombardamenti continui degli alleati, mentre i tedeschi avevano assunto il controllo completo del Nord, dove proteggevano il tentativo fascista di dare continuità al regime con la “Repubblica Sociale Italiana”, al Sud, dove si erano rifugiati il Re ed il Capo del Governo da lui nominato, veniva creato il “Regno del Sud”, sotto la protezione degli alleati.

La fuga del Re e del Capo del Governo aveva lasciato Roma senza difese, e cosi l’intero esercito italiano era caduto nel caos, per trovarsi senza ordini e senza organizzazione centrale.

Quindi, alla guerra tra le nazioni si aggiungeva, nella nostra povera Italia, la guerra civile tra il nord ed il sud, feroce e spietata, durante la quale furono pepetrate alcune tra le peggiori stragi di popolazione civile della nostra storia, tra cui non possiamo dimentirare l’eccidio delle Fosse Ardeatine, a Roma, dove furoni trucidate 335 persone, e la Strage di Marzabotto, in provincia di Bologna, in cui le vittime fatali furono 1.830, ambedue per mano della Germania Nazista.

Dopo quasi due anni di furore, violenza all’impossibile, distruzione e morte, all’inizio del 1945 l’avanzata alleata verso il nord della Nazione si era fatta consistente, ed il 25 aprile, con l’ordine generale di insurrezione armata partito dal Comitato di Liberazione Nazionale della Resistenza italiana di Milano, i tedeschi si trovarono attaccati da tutti i fronti e nient’altro potettero fare se non ripiegare disordinatamente per abbandonare per sempre l’Italia.

L’Italia era stata liberata, finalmente!

Ma i vincitori erano gli alleati, non certo il Re Vittorio Emanuele III, che si era piegato alla dittatura fascista per non perdere il trono e che subito dopo la caduta di Mussolini era addirittura fuggito vigliaccamente al sud per proteggersi dai possibili attacchi tedeschi a Roma.

Dopo la Liberazione, le diverse formazioni partigiane si attivarono nel comune intento dell’antifascismo, lavorando alacremente per la formazione di uno Stato Democratico.

I mesi che precedettero il Referendum Istituzionale mediante il quale il Popolo Italiano scelse tra Monarchia e Repubblica furono caratterizzati da uno spirito di corpo che unì tutti i cittadini in uno sforzo comune finalizzato alla Libertà, alla Democrazia, allo Stato di Diritto ed al benessere della Nazione.

Il Paese non era più nelle mani del Dittatore, e nemmeno sotto il comando del Re: era ormai il popolo stesso, che aveva preso in mano le redini della propria Patria.

Erano atterriti e furiosi, gli italiani, dopo tanta violenza, armi, guerra, stragi, distruzione generalizzata e, soprattutto, oppressione, ma fu proprio questa rabbia ad accendere la luce della rinascita.

La campagna elettorale che precedette il Referendum fu focosa e combattuta, ma senza alcuna violenza, senza scontri se non di parole.

Fu richiesto a furor di popolo che fosse immediatamente introdotto il suffragio universale, quindi fu anche la prima occasione della storia d’Italia in cui le donne parteciparono al voto popolare.

I primi segnali della Democrazia già cominciavano a vedersi.

L’Italia era matura, ora. Pronta e determinata a lanciarsi verso il futuro.

Manifestarono il voto quasi il 90% degli aventi diritto, una vera partecipazione plebiscitaria.

Il risultato dimostrò ancora una volta la divisione della Nazione, visto che al sud prevalse la Monarchia ed al nord la Repubblica.

Ma al nord la popolazione era molto più numerosa, quindi, per poco più di 2.000.000 di voti, un vantaggio esiguo, l’Italia scelse la Repubblica e l’assemblea Costituente eletta nella stessa occasione si mise al lavoro per redigere la nostra Costituzione, unica dell’Italia Repubblicana fino ad oggi.

Gli italiani erano stremati e impoveriti, ma videro nella nuova Nazione il punto di partenza per lo sviluppo e la civilizzazione.

Da lì alla decade successiva, caratterizzata dal miracolo economico conosciuto come periodo della “ricostruzione industriale”, il passo fu breve, e la povertà si trasformò in ricchezza, la sofferenza in benessere, la umiliazione della sconfitta nell’orgoglio della vittoria e, soprattutto, lo Stato autarchico in Stato di Diritto.

Oggi, grazie alle sofferte scelte di quel momento storico, la nostra Patria, per quanto piccola sia, occupa meritatamente il suo posto tra le più grandi e industrializzate del mondo.

È tutto questo, che noi festeggiamo, il 2 di giugno di tutti gli anni, miei carissimi compatrioti!

È qualcosa che sta al di sopra di qualsiasi differenza di opinione o di ceto sociale, che ci ricorda la nostra fratellanza, la nostra capacità di rinascere e, quindi, la nostra grandezza.

Soprattutto, ci deve ricordare che in qualsiasi nazione repubblicana c’è sempre qualcuno che preferirebbe la monarchia, come in qualsiasi democrazia c’è sempre qualcuno che vorrebbe una dittatura, quindi, amici miei, ricordiamoci sempre che le conquiste democratiche non sono “per sempre”, resteranno vive solo finché saremo in grado di proteggerle.

Il 2 giugno è la Festa del Popolo Italiano, tutto, senza discriminazioni e senza criteri di scelta.

È il giorno in cui la Patria si è svegliata dal torpore, proprio come dice il secondo verso del nostro inno nazionale, “ll ‘Italia s’è desta”.

Per questo, non c’è angolo del mondo in cui ci siano italiani dove non si festeggi, molto giustamente, questa nostra data storica, anche se permangono “angoli”, che mi auguro siano sempre meno numerosi, dove si interpreta questa data come una festa riservata alle élite della alta società, alle “famiglie patrizie”, agli alti “papaveri” dei governi, escludendo “i plebei” e, forse, sognando segretamente una monarchia classista.

Un esempio?

La nostra Ambasciata d’Italia a Brasilia, dove quest’anno nemmeno i funzionari interni sono stati invitati, ed ancora meno sono stati considerati tutti i rappresentanti della Comunità Italiana, rei di non essere sufficientemente “altolocati”.

Un vero “salotto esclusivo”, organizzato maldestramente da parte del Mandatario dell’Ambasciata, senza cantare un inno nazionale, senza dire una parola sulla nostra storia, senza un discorso.

Pare che sia lanciato verso ancora più alti traguardi della sua luminosa carriera in altra nazione, quindi gli auguro i più strepitosi successi possibili.

Invece, a tutti voi, miei concittadini carissimi, insieme al mio abbraccio fraterno, giunga l’augurio di poter tutti manifestare presto la nostra felicità per l’arrivo di un Ambasciatore nuovo qui in Brasile, nella fervida speranza che sia tutto diverso da quello attuale.

Viva la Repubblica!

Viva l’Italia!