Cena de "Janaína não seja Boba", de Roberto Innocente e Sandro Sangiorgi. (Foto Desiderio Peron / Arquivo Revista Insieme)

Per assolvere l’importante compito che Desiderio mi ha dato di scrivere in queste pagine qualcosa di interessante per i tanti lettori della comunità italiana e amici del nostro paese, voglio cercare di provocare una discussione su argomenti che ritengo rilevanti. Spero di avere risposte e che la discussione inizi. E, essendo che mi occupo di cultura, è proprio con questo argomento che voglio iniziare.

Perché parlare di cultura?

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Quando parliamo di “cultura” intendiamo tutto ciò che contribuisce alla formazione di un individuo nel piano intellettuale e morale e l’acquisizione di consapevolezza del ruolo che ha nella società. La formazione è evidente nel complesso delle manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo o di un gruppo etnico in relazione alle diverse fasi di un processo evolutivo o a diversi periodi storici o condizioni ambientali. In altre parole, parlare di “cultura” significa riferirsi a un ambiente, una storia e un gruppo di persone che vivono in questo ambiente e questa storia e che, attraverso tutto questo, si formano intellettualmente e moralmente.

Fare “cultura”, quindi, finisce per essere una responsabilità, perché assume il significato di “strumento di formazione”.

Che ogni gruppo abbia la sua “cultura” è evidente; ha un background storico diverso e vive in un ambiente diverso. Ma quale “cultura” rappresenta un popolo? In risposta a questa domanda (e nelle possibili risposte) entrano molti “stereotipi”, cioè concetti comuni che riassumono, in pochi elementi, significati molto più ampi e complessi. Negli italiani sono rappresentati nel mondo attraverso “pizza, spaghetti, sole mio”. I brasiliani, per noi italiani, sono “samba, carnevale e futbol” o calcio come si dice in Italia. Ma questo è molto, molto limitante. E tutta “l’altra cultura”?

Dove sono Modigliani, Pavese, Leonardo, parlando di Italia, o Machado de Assis, Tom Jobim, Manoel de Barros parlando del Brasile? Solo per citare alcuni nomi importanti, senza considerare molti altri “creatori e diffusori di cultura” chiamati “minori” e che in realtà fanno “vivere” la cultura di un paese in un’azione quotidiana, costante e dal basso. Da quando sono in Brasile, una delle cose più difficili da vivere in ambito culturale, è questo “stereotipo” della rappresentazione della cultura. Che i grandi midia della comunicazione utilizzino principalmente questi stereotipi è evidente (basta guardare qualche bella novella), già che cercano principalmente audience, ma noi italiani all’estero, penso che dovremmo avere interesse di parlare della “vera cultura” del nostro paese, delle molte manifestazioni di cultura che hanno formato e formano il nostro popolo nell’aspetto intellettuale e morale e nell’evoluzione culturale che continuamente trasforma e crea nuove “culture” nel nostro Paese.

Mi piacciono la tarantella, la polenta, le arie de opera, considero tutto questo una parte importante della mia cultura, ma non è tutto. Possibile non si conosca Ruzante? Non si celebri la Giornata Mondiale della Commedia dell’Arte? Non si conosca Gozzi? E, più vicino ai nostri giorni, poco si conosca piccolo Pirandello e Eduardo? Che si conosca Bocelli e non si conosca Gaber?

Da quando lavoro come artista in Brasile, vivo continuamente la “depressione” di vedere la mia cultura ridotta nei minimi termini. E tutto lo sforzo per aumentare la conoscenza e l’informazione sulla cultura italiana, attraverso quel processo simbiotico di cui ho parlato nell’articolo del numero precedente della Rivista (Anno XXV, n. 240), non trova nessun aiuto tra quegli “italiani all’estero”, semplici cittadini o imprenditori o rappresentanti di istituzioni, che potrebbero contribuire (o almeno partecipare). Tutte le mie ultime produzioni sono legate alla cultura italiana da Plauto (La commedia di Panela), passando per Pirandello, creando con l’amico Sangiorgi un’operetta piena di riferimenti italiani; “Janaína não seja boba”, per finire il mese scorso (aprile) con la messa in scena di un anonimo Veneto “La Venexiana”.

Qualcuno dei rappresentanti delle istituzioni italiane o dell’imprenditoria italiana ha mostrato interesse? Nessuno.