Cittadinanza: Associazioni reagiscono duramente contro i 600 euro della proposta di bilancio italiana. Che il governo riconsideri l’idea

La proposta che intende stabilire un contributo di 600 euro per ogni richiedente nei processi di accertamento della cittadinanza italiana iure sanguinis per via giudiziaria “configura un attacco diretto a garanzie costituzionali fondamentali” e deve essere urgentemente riconsiderata dal governo.

Questa è la posizione congiunta delle due associazioni di avvocati italiani che si occupano di cittadinanza e che, pochi giorni fa, hanno organizzato il Seminario di Roma, presso il Parlamento italiano: Agis – Associazione Giuristi Iure Sanguinis e Auci – Avvocati Uniti per la Cittadinanza Italiana.

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Le associazioni classificano la proposta come “una misura ad alto rischio, basata su una stima probabilmente lontana dalla realtà”, e avvertono che “se l’obiettivo è garantire entrate fiscali significative, questa previsione potrebbe rivelarsi un’illusione costosa, che non solo non risolve il problema di bilancio, ma rischia anche di ampliarlo, riducendo le richieste di cittadinanza e compromettendo le entrate previste”.

“Il governo – concludono le due associazioni – è chiamato a riconsiderare urgentemente le sue previsioni e a valutare l’impatto reale di questa misura”. Secondo il comunicato congiunto emesso questa mattina (31/10/2024), “La previsione di un contributo separato e individuale per ogni richiedente, anche quando faccia parte di un unico processo di cittadinanza insieme ad altri individui e, quindi, nella stessa posizione processuale, introduce una discriminazione che sovverte alcuni principi fondamentali processuali” e viola la Costituzione. Segue il testo:

COMUNICATO CONGIUNTO – AGIS – AUCI
Una Manovra che discrimina: il nuovo contributo unificato penalizza il conseguimento della cittadinanza italiana iure sanguinis

Roma, 31 ottobre 2024 – Il Disegno di Legge di Bilancio 2025 introduce diverse misure restrittive in materia di spese di giustizia, che sollevano gravi preoccupazioni tanto per la giustizia civile italiana quanto per i diritti dei connazionali residenti all’estero.

In particolare, l’art. 106 del DDL aggiunge un nuovo comma 1-sexies all’art. 13 del TU sulle spese di giustizia, fissando in Euro 600 a ricorrente la misura del contributo unificato per le controversie in materia di accertamento della cittadinanza.

La proposta di manovra configura un attacco diretto a garanzie costituzionali fondamentali e alimenta reazioni negative in tutto il Paese e sui social, per i motivi che saranno in seguito indicati.

L’Associazione Giuristi Iure Sanguinis (A.G.I.S.) con Avvocati Uniti per la Cittadinanza Italiana (A.U.C.I.) denunciano l’introduzione di un contributo unificato individuale di 600 euro, previsto dalla Manovra 2025 per le cause legate al riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis. Questa misura, tendente a calcolare il contributo unificato per singola parte ricorrente, anche quando la domanda venga presentata in un medesimo giudizio, introduce una disparità di trattamento rispetto ad altre tipologie di cause civili in cui la domanda viene proposta da più parti in uno stesso processo e, pertanto, viola gravemente il diritto costituzionale all’uguaglianza, impedendo di fatto la tutela dei propri diritti e limitando l’accesso alla giustizia. Questo tipo di contributo stabilisce infatti una disparità di trattamento non giustificabile tra processi simili con più parti, creando ostacoli sproporzionati per specifiche categorie di ricorrenti, ossia i richiedenti il riconoscimento della cittadinanza italiana.

Irragionevolezza del contributo multiplo per la stessa posizione processuale

Difatti, in tutti i procedimenti instaurati simultaneamente e congiuntamente da più persone (ad esempio, nei Procedimenti di Successione o Divisione dei Beni, Accertamento della Proprietà in Condominio, Azioni Collettive di Lavoro, impugnazione di delibere assembleari, ecc.), la regola è quella della unicità del contributo unificato per l’intero giudizio. La previsione di un contributo separato ed individuale per ogni ricorrente, nonostante questi sia parte di un unico procedimento di cittadinanza insieme ad altri soggetti e quindi con la stessa posizione processuale, introduce una discriminazione che sovverte alcuni principi fondamentali processuali (litisconsorzio, competenza per valore) e va a creare un illegittimo ostacolo alla tutela giurisdizionale. È evidente, pertanto, la totale violazione dell’art. 3 Cost. in materia di uguaglianza, trattandosi di una misura irragionevole e del tutto sproporzionata rispetto all’obiettivo da raggiungere.

Un oneroso ostacolo all’esercizio di un diritto fondamentale

La Manovra, con questa modifica al Testo unico sulle spese di giustizia, non solo appesantisce economicamente le domande di riconoscimento della cittadinanza, ma discrimina di fatto i richiedenti provenienti da Paesi in condizioni economiche meno favorevoli, colpendo in particolare i connazionali di origine italiana residenti in Sud America e in altri Paesi a valuta debole.

Profili di incostituzionalità e disparità di trattamento

In un procedimento semplificato di cognizione (di natura esclusivamente documentale) la previsione di un contributo elevato e non proporzionato all’effettiva capacità contributiva dei richiedenti appare in palese contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza (art. 3 Cost.) e di tutela dei diritti fondamentali (art. 24 Cost.), compromettendo l’accesso alla giustizia e il diritto di ottenere il riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis. Tale norma pone una barriera economica ingiustificata che penalizza i discendenti di italiani, nati all’estero, per i quali la cittadinanza rappresenta un elemento di identità e appartenenza.

 Tutela del Diritto di Cittadinanza per gli Italiani all’Estero

L’articolo 10 della Costituzione italiana riconosce che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”, e il diritto alla cittadinanza iure sanguinis risponde a questa interpretazione internazionale, essendo riconosciuto come un diritto per i discendenti italiani, nati all’estero.

Rispetto dei vincoli internazionali e comunitari

Secondo l’articolo 117 della Costituzione, “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. La norma potrebbe violare i principi di libera circolazione e non discriminazione in ambito europeo e internazionale, in quanto, se applicata ai discendenti di cittadini italiani residenti in Paesi UE o di cittadini di Paesi terzi, potrebbe configurare un ostacolo alla circolazione e alla permanenza nell’Unione Europea.

Riguardo al rapporto con il diritto dell’Unione, la misura, inoltre, pone dei significativi ostacoli all’effettivo godimento dei diritti connessi e derivanti dalla cittadinanza dell’UE, status indissolubilmente legato a quello di cittadino di uno stato membro. Tale sproporzionato requisito economico al riconoscimento dei cittadini italiani residenti all’estero comporterebbe senz’altro l’effetto di privarli della concreta possibilità di fruire della sostanza dei diritti conferiti loro in quanto membri (anche) dell’Unione, in violazione degli art. 9 TUE, 20 e 21 TFUE.

Giusto processo

L’articolo 111 della Costituzione assicura il diritto a un “giusto processo”, intendendo con questo un procedimento giurisdizionale accessibile, effettivo ed equo.

La Sentenza n. 119 del 2015 della Corte Costituzionale ha ribadito che la presenza di barriere economiche significative per accedere alla giustizia viola il principio del giusto processo, rendendo la giustizia inaccessibile per una parte della popolazione. L’imposizione di contributi aggiuntivi in un unico procedimento per ogni partecipante limita, di fatto, l’accesso alla giustizia e rende la tutela giurisdizionale meno equa.

 Sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU)

L’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) tutela il diritto a un processo equo, inclusa la possibilità di accedere alla giustizia senza oneri che limitino questo diritto.

Nelle sentenze Kreuz v. Polonia (2001) e Apostol v. Georgia (2006), la Corte di Strasburgo ha stabilito che l’imposizione di costi eccessivi per l’accesso alla giustizia rappresenta una violazione del diritto a un equo processo e alla tutela giurisdizionale effettiva. La stessa logica si applica alla questione del contributo unificato per ogni richiedente in controversie connesse e fatte valere all’interno di un medesimo processo, poiché limita l’accesso al sistema giurisdizionale su base economica.

Sentenza della Corte di Cassazione (n. 2207/2012)

La Corte di Cassazione ha dichiarato illegittimo il raddoppio delle spese di giustizia per procedimenti aventi lo stesso oggetto e riuniti in un solo giudizio, sostenendo che l’esigenza di tutela dei diritti e di accesso alla giustizia deve prevalere sugli aspetti economici, quando il processo e le sue parti condividono una comune finalità procedurale.

In particolare, ha stabilito che per i procedimenti riuniti con unico oggetto non è giustificata la duplicazione delle spese di giustizia, poiché ciò ostacola l’accesso alla giustizia senza una valida ragione di tutela dell’equità procedurale. Questo precedente sottolinea l’irragionevolezza di un contributo moltiplicato per ciascun partecipante all’interno di un unico procedimento.

 Precedenti della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale si è già pronunciata in passato in merito all’illegittimità di oneri economici che limitino l’accesso alla giustizia e la tutela dei diritti fondamentali, come nella Sentenza n. 80 del 1966 e nella Sentenza n. 140 del 2022. Entrambe le pronunce richiamano l’attenzione sulla necessità che i contributi richiesti per l’accesso ai tribunali siano proporzionati e non costituiscano un ostacolo per la difesa dei propri diritti.

 Richiesta di eliminazione della proposta del CU individuale e appello alla Giustizia Costituzionale

Questa misura appare, quindi, contraria al principio costituzionale di uguaglianza (art. 3), al diritto di difesa e alla regola che garantisce l’accesso alla giustizia (art. 24), in ossequio al diritto internazionale in tema di cittadinanza (art. 10).

A.G.I.S. e A.U.C.I. chiedono l’immediata eliminazione di questa disposizione da parte del Parlamento, esprimendo profonda preoccupazione per la direzione assunta dalla Manovra, che compromette l’accesso alla cittadinanza e discrimina i cittadini in base alle condizioni economiche. A.G.I.S. e A.U.C.I. invitano le istituzioni a considerare la cittadinanza come un diritto irrinunciabile, esortando le forze politiche a intervenire in Parlamento per rimuovere questa iniqua barriera economica.

Disparità di trattamento tra discendenza paterna e discendenza materna.

Oltre a quanto precedentemente richiamato, la misura va a creare un’illegittima disparità di trattamento tra discendenti, poiché: coloro che hanno una discendenza paterna e possono ottenere il riconoscimento del proprio diritto presso i Consolati italiani all’estero sono soggetti al pagamento di una tassa di 300 euro a testa; mentre coloro che vantano una discendenza materna e devono necessariamente ottenere la tutela del proprio diritto in via giudiziale, saranno costretti a pagare il doppio (600 euro) per ottenere il riconoscimento del proprio status. Anche all’interno della medesima categoria di diritti, la misura viola palesemente il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), penalizzando coloro che hanno una discendenza materna.

La manovra finanziaria 2025 e l’illusione del governo sui ricavi dal contributo di 600 euro per i richiedenti cittadinanza

L’introduzione del contributo di 600 euro per ogni domanda di cittadinanza italiana rischia di generare un enorme buco nei conti pubblici, poiché si tratta di una previsione errata basata sull’erronea convinzione che la domanda sia anelastica.

La nuova manovra finanziaria per il 2025 include un contributo di 600 euro per ogni ricorrente che richiede la cittadinanza italiana iure sanguinis, una tassa che il governo considera un mezzo per incrementare le entrate. Tuttavia, questa misura potrebbe rappresentare una trappola finanziaria per le casse dello Stato. La previsione si basa infatti sull’ipotesi che il numero di richieste di cittadinanza rimanga invariato nonostante l’introduzione della nuova tassa. Si tratta di una stima che molti economisti ritengono irrealistica e che, alla prova dei fatti, potrebbe disincentivare le richieste, andando a creare una carenza di entrate per lo Stato.

Secondo gli esperti, l’errore principale risiede nella supposizione di una domanda anelastica. Il Governo sembra convinto che i richiedenti, per la maggior parte discendenti di italiani residenti all’estero, siano disposti a pagare qualsiasi cifra pur di ottenere il riconoscimento della cittadinanza. Tuttavia, gli analisti fanno notare che, aumentando significativamente i costi del processo, la misura scoraggia le domande, soprattutto da parte di coloro che affrontano già complessi e onerosi percorsi burocratici.

Inoltre, il contributo non tiene conto delle difficoltà economiche di molti richiedenti, soprattutto coloro provenienti da paesi in via di sviluppo o con economie instabili, per i quali 600 euro rappresentano una spesa significativa. Questo contributo potrebbe rendere la cittadinanza italiana meno accessibile per un’ampia fascia di aventi diritto, limitando di fatto un diritto acquisito per discendenza.

Le entrate potrebbero essere nettamente inferiori alle aspettative, con un effetto domino sui conti pubblici. Una diminuzione delle domande, infatti, genererebbe minori entrate dirette e indirette, portando così ad una grave discrepanza rispetto ai fondi ipotizzati nella manovra.

Oltre alle previsioni economiche, c’è un aspetto diplomatico da considerare. L’Unione Europea potrebbe osservare con scetticismo la strategia del governo italiano. Se la stima delle entrate dovesse rivelarsi priva di fondamento, rischierebbe di intaccare la credibilità dell’Italia agli occhi delle istituzioni europee, che richiedono trasparenza e precisione nei bilanci degli Stati membri.

Non si può pensare di risolvere i problemi di bilancio con misure che, piuttosto che incentivare, disincentivano la partecipazione. Le previsioni di bilancio devono basarsi su dati realistici, non su ipotesi avventate.

In conclusione, l’introduzione del contributo di 600 euro per la richiesta della cittadinanza italiana appare dunque una manovra ad alto rischio, basata su una stima probabilmente lontana dalla realtà. Se l’obiettivo è quello di garantire entrate fiscali significative, questa previsione potrebbe rivelarsi un’illusione costosa, che non solo non risolve il problema di bilancio ma rischia di ampliarlo, riducendo le domande di cittadinanza e facendo venire meno le entrate sperate. Il governo è chiamato a riconsiderare con urgenza le sue previsioni e a valutare l’impatto reale di questa misura.