Come citadino italiano immigrato in Brasile, eletto Consigliere del Comites – Comitato degli Italiani All’Estero di Brasilia ed oggi in costanza di mandato, oltre che come avvocato, rimango esterrefatto, per dire poco, nel leggere in un articolo pubblicato dal sito “Italianismo”  che il Comites competente per il territorio del Rio Grande del Sud – Comites-RS, in relazione al fatto che il Consolato Generale d’Italia a Porto Alegre stia fissando gli appuntamenti per l’utenza che necessita di rinnovare il passaporto italiano solo a partire da dicembre/2024 (no, dico, signori miei, avete capito bene: dicembre del 2024!! Per fare il passaporto, non il riconoscimento della cittadinanza!!!), in sostanza afferma che nulla potrebbe fare.

Il Comites-RS dice “che non dispone di gestione sulle attività del Consolato”, “non interviene sui servizi consolari”, e che “è molto ben ricevuto dal Consolato Generale di Porto Alegre, tenta di amenizzare le possibili difficoltà (degli utenti, ndr) mediante la fornitura di importanti informazioni, nel caso fosse necessario”.

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Alla fine, risponde Italianismo, nella conversazione WhatsApp riportata integralmente, in cui si incalza affermando che (il Comites-RS, ndr) è stato eletto per esercitare attività di controllo sull’attività dei servizi consolari, che sarebbe meglio che il sito si informasse meglio sullo statuto del Comites-RS.

Tutto ciò necessita di migliore chiarezza.

Innanzitutto, è bene osservare che i Comites sono organismi dello Stato Italiano, istituiti per legge e finanziati con risorse di provenienza pubblica, a cui è demandato il potere di rappresentanza degli italiani residenti all’estero nei confronti delle ripartizioni consolari di competenza.

Qualcuno ha dubbi?

Vediamo cosa dice la Legge 286/2003, che istituisce e regolamenta i Comites, nel secondo paragrafo del suo primo articolo.

Art. 1, comma 2, della Legge 286/2003: “2.  Il Comitato è organo di rappresentanza degli italiani all’estero nei rapporti con le rappresentanze diplomatico-consolari.

L’art. 2, comma 1, della citata Legge 286/2003, dispone:

“1.  Ciascun Comitato, anche attraverso studi e ricerche, contribuisce ad  individuare  le  esigenze di sviluppo […] civile della  propria  comunità di riferimento e puo’ presentare contributi alla  rappresentanza diplomatico-consolare utili alla definizione del quadro  programmatico degli interventi nel Paese in cui opera.

Quindi, i Comites contribuiscono ad individuare le esigenze di “sviluppo civile” della comunità di riferimento e rappresentarle alla ripartizione consolare di competenza.

Ora, possiamo considerare che l’emissione dei passaporti sia una esigenza di sviluppo civile? Di più: possiamo considerare che la risposta in tempi ragionevoli dell’Amministrazione Italiana alle richieste di riconoscimento della cittadinanza rientrino nelle esigenze di sviluppo civile?

Chi affermasse in senso negativo dimostrerebbe di non conoscere la legge italiana oppure, peggio ancora, dimostrerebbe di essere in mala fede.

Il diritto alla cittadinanza e suo esercizio costituisce, senza alcun dubbio, uno dei più importanti diritti civili degli individui, sancito fin dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ed anche, ovviamente, da tutti i trattati internazionali che si siano occupati dell’argomento ed a cui l’Italia abbia aderito.

Il diritto all’esercizio della cittadinanza è anche sancito dalla nostra Costituzione, che da sempre attribuisce il diritto di voto a tutti gli italiani, ovunque risiedano nel mondo.

E come si farebbe, per esercitare questo diritto, senza che la cittadinanza sia stata debitamente riconosciuta, in caso sussistano le prove, o addirittura senza il passaporto?

Chi ha chiesto il passaporto, avendone il diritto, ma non lo ha ricevuto, non potrà viaggiare come italiano.

Chi ha chiesto il riconoscimento della cittadinanza italiana, avendone il diritto, ma non ha ancora ricevuto risposta, non può votare.

Inoltre, i Comites possono, e devono, tutelare i diritti civili degli italiani all’estero di fronte alle autorità del Paese Ospitante, nei contratti di lavoro e nell’applicazione delle norme di protezione dei diritti sociali.

Vediamo.

Art. 2, comma 4, lettera “a”, della Legge 286/2003: “4. Nel rispetto delle norme previste dagli ordinamenti locali e delle norme  di  diritto  internazionale e comunitario, al fine di favorire l’integrazione  dei  cittadini  italiani  nella  società locale […], il Comitato: a. coopera con l’autorità consolare nella tutela dei diritti e degli interessi  dei  cittadini  italiani  residenti  nella  circoscrizione consolare,  con  particolare  riguardo alla difesa dei diritti civili garantiti  ai  lavoratori  italiani  dalle  disposizioni  legislative vigenti nei singoli Paesi; […]”

Ovvio è che, se al Comites è demandato il potere di rappresentanza degli italiani della comunità di competenza per la difesa dei diritti civili in relazione all’applicazione delle norme comunitarie ed internazionali di fronte alle autorità locali, è logica conseguenza che, nel caso alcuni diritti civili vengano negati oppure protratti all’infinito da parte delle stesse autorità italiane, i Comites possono, e devono, intervenire al riguardo.

Possono farlo come organo di rappresentanza della comunità italiana presso il Consolato di competenza e possono farlo anche come privati cittadini.

Questo perché, in Italia come in Brasile, qualsiasi cittadino può intervenire per chiedere in giudizio di correggere eventuali malfunzionamenti dell’Amministrazione.

In Italia, poi, questo potere dei cittadini è ancora più fermamente stabilito di quanto lo sia in Brasile, visto che la omissione in atto di ufficio da parte di funzionario pubblico corrisponde al reato di abuso in atto d’ufficio, previsto dall’ art. 323 del Codice Penale e punito con la reclusione da uno a quattro anni.

Il passaporto deve essere emesso dall’Autorità competente nel termine di 30 giorni contati dal giorno di presentazione della relativa istanza, con la possibilità di proroga fino a 90 giorni nei casi espressamente previsti, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2, commi 2 e 3, della Legge 241/1990.

È ovvio che l’emissione del passaporto italiano è sottoposta ad alcuni presupposti, come l’aggiornamento dell’iscrizione AIRE (regolarità della residenza) e dello Stato di Famiglia (composizione del nucleo familiare) dell’interessato, oppure anche a limitazioni imposte da parte dell’Autorità Giudiziaria, ma non può essere subordinata a motivi di urgenza!

Qui ci siamo abituati a dover giustificare la nostra necessità ed urgenza in relazione al passaporto italiano, perchè in caso contrario le autorità consolari, complice anche la situazione di crisi causata dalla pandemia, si sentono autorizzate a procrastinarne l’emissione a tempi biblici: talvolta due o tre anni.

Questo è illegale!

Il funzionario pubblico che pretenda la giustificazione di urgenza, con le prove, come requisito per emettere il passaporto nei termini stabiliti dalla legge, sta violando gli obblighi previsti per le sue funzioni e, se denunciato, sarà perseguito nei termini di legge.

Tutto ciò non sarebbe motivo affinché il Comites competente faccia una interpellanza ufficiale?

Il rifiuto illegale dell’emissione del passaporto a chi ne ha diritto sarebbe argomento sul quale il Comites non avrebbe poteri per intervenire?

Smettiamola, signori! Si sta tentando di dare la colpa a qualcosa che non esiste.

Se ci si mettono anche i Comites, a dire che nulla possono fare, siamo davvero fritti!

I Comites collaborano e cooperano con i consolati di competenza, ma non sono organi subordinati a questi ultimi.

Si tenti di risolvere le file per l’emissione dei passaporti con proposte e partecipazione d’aiuto attiva e di supporto, come mirabilmente tentano di fare alcuni, come il Comites/RJ-ES, che organizzano una fattiva collaborazione che ha già dato ottimi risultati con l’emissione di moltissimi passaporti arretrati, ma in caso di mancanza di attenzione ed inerzia da parte dell’Amministrazione la denuncia è d’obbligo!

La protezione dei diritti civili degli italiani all’estero è compito principale dei Comites, stabilito espressamente dalla legge, quindi l’intervento non è solo possibile, ma costituisce un preciso dovere istituzionale degli organismi di rappresentanza della Comunità.