Si ripropone un antico quesito: ci troviamo di fronte ad una crisi di evoluzione o
ad una crisi sistematica del capitalismo moderno?
u Mentre da una parte gli economisti hanno costantemente assicurato che un nuovo crack come quello del ’29 non si sarebbe verificato, dall´altra i “venerabili”dell’economia mondiale hanno per anni diffuso la teoria magica secondo cui lo sviluppo eccessivo di una economia finanziaria staccata dall´ economia reale avrebbe rafforzato quest’ultima e avrebbe fatto fronte alle sue eventuali crisi.
Oggi invece si parla della minaccia di una nuova grande depressione e cioé di una fase calante del ciclo economico, ben piú grave della recessione per cui é evidente che
si sia verificato esattamente il contrario di quanto finora ipotizzato.
Il tutto é iniziato con il crollo dei mercati finanziari negli Stati Uniti, un crollo latente da tempo ma artificiosamente camuffato, che oramai dilaga nell´economia reale, minacciando la vita di milioni di persone.
La speculazione finanziaria mondiale ha provocato in realtá il cedimento di molti settori produttivi e attraverso la produzione di un indebitamento globale é stata la causa della creazione di una colossale liquiditá artificiale che ha inebriato l´economia produttiva con lo scopo di favorire livelli di consumo eccessivi rispetto alle condizioni di crescita della produzione.
Il rincaro dei prezzi al consumo, il collasso di istituzioni – colossi della finanza mondiale – e non solo ma di intere nazioni, vedasi il caso Islanda, sono la conseguenza dell´attuale crisi.
Anche l´Asia, considerata l´ancora di salvezza della recessione per il mondo non ha tenuto; i suoi mercati sono stati trascinati nel declivio globale.
I governi corrono ai ripari, si affannano ad adottare misure disperate di fronte al rischio di un collasso totale; l’amministrazione Bush ha versato 700 miliardi di dollari alle banche americane nel tentativo estremo di ridare ossigeno al sistema finanziario in coma ma detta donazione sappiamo che significa un brusco aumento del debito statale. Ciò a sua volta significherà un lungo periodo di limitazione dei consumi privati e delle spese pubbliche e di tagli al tenore di vita di milioni di cittadini americani. Il governo britannico ha annunciato un piano di salvataggio di 400 miliardi di sterline e l’Unione europea ha aggiunto alcune centinaia di miliardi. A livello mondiale, secondo dati ufficiali, sono stati finora spesi quasi 2.500 miliardi di dollari e nonostante ció si continua in caduta libera, con conseguente impoverimento e disoccupazione generalizzati.
Questi provvedimenti presi in fretta e furia non eviteranno la crisi, che è appena cominciata. Questa crisi è ben lungi dalla fine e ogni economista che si rispetti sa che i mercati devono ancora scendere e molto.Essa non sará sanata dalle misure prese dai governi e dalle banche centrali. Iniettando enormi somme di denaro alle banche, si concederá loro un pó di respiro, si offrirá loro un sollievo temporaneo ma inevitabilmente si creerá un gigantesco debito per le generazioni future.
Gli industriali dal canto loro implorano il taglio dei tassi ma il caos nei mercati non si risolverá attraverso i tagli dei tassi da parte delle banche centrali perché di fronte all´attuale recessione, non v´é chi compri azioni, chi richieda prestiti chi faccia credito anche perché il pericolo di non guadagnare o riottenere il denaro é molto grande.
Secondo noi il punto della questione non é il sistema bancario ma l´economia reale: la produzione di beni e servizi. Per ottenere profitti é necessario avere un mercato e se la domanda é in calo anche perché manca il credito non esiste il mercato e non si realizzano i profitti. É la classica crisi del capitalismo che minaccia di paralizzare tutto il sistema economico. Gli economisti borghesi che argomentavano che Marx aveva torto e che le crisi capitaliste erano cose del passato (il “nuovo paradigma economico”) hanno forse commesso un errore?
Il capitalismo oggi, al di lá delle teorie marxiste, non potrebbe aver generato al suo interno quella crisi del sistema già annunciata da circa 150 anni, secondo cui esso non è più in condizione di riprodurre nuove forze produttive?
Ci pare che si stiano ripresentando quei sintomi che hanno causato l´ implosione economica, ancor prima che politica, dei paesi del real-socialismo. Orbene: anche il capitalismo potrebbe rischiare la stessa sindrome disgregativa. Ipotesi azzardata, ma, dati i presupposti, molto piú che probabile.