I diritti sono diritti, non sono pretese dice Luciano Neri

Proposta la Prima Conferenza dei Giovani dell’Emigrazione

PATROCINANDO SUA LEITURA

 

Luciano Neri, del partito della  Margherita, nel suo incontro con la comunità al Circolo Italiano ha proferito un estesa conferenza, di cui vi presentiamo una parte.

 

u SAN PAOLO-SP – L’emigrazione è una condizione esistenziale, il genere umano da quando è nato il mondo, si è costituito  attraverso le migrazioni e questo certamente lo sanno bene le Americhe.

Noi  stiamo comunicando la nostra esperienza di governo, nei sette mesi di lavoro effettivo, dico francamente che avevamo pensato di trovare delle cose ma ne abbiamo trovato delle altre. La politica è una cosa molto semplice, molto comprensibile, se vi trovate difronte a qualcuno che non ve la fa capire, non è la problematica  che è difficile, è che c’è un’intenzione per non farvi capire, perché la vita è semplice  e l’economia di un paese è esattamente come l’economia di una famiglia.

Noi quando siamo arrivati al governo abbiamo pensato di trovare certe condizioni, purtroppo ne abbiamo trovato delle altre molto peggiori, un debito che pesava sulle nostre finanze, il debito più alto del sistema paese europeo, allo stesso tempo avevamo degli indicatori altrettando negativi che  erano da una parte il venir meno di molti investitori dall’estero e la fuga di investitori italiani verso l’estero.

Quando guardiamo la nostra scarsissima capacità di  fare produzioni moderne, tutti sanno che oggi con la globalizzazione il mondo va avanti attraverso il computer, questi strumenti sono indispensabili, si producono o si acquistano, chi li produce ha un doppio vantaggio, che non solo non spende per acquistarli, ma guadagna perché li  vende, noi non abbiamo sviluppato in questi anni questa nuova tecnologia e abbiamo un basso livello di produzione  di alta  tecnologia, pensate che il 95% di tutto il nostro sistema informativo lo acquistiamo dall’India e dalla Cina.

Nel frattempo abbiamo mantenuto un sistema di rigidità  e anche una qualche compressione di certi atteggiamenti poco trasparenti  che molto spesso fanno si che un concorso non sia un concorso, molto spesso si fa si che un direttore di un ospedale non sia scelto sulla base della sua professionalità, ma sulla base dell’appartenenza politica.

Perché vi dico questo e che cosa comporta?  Comporta che abbiamo vissuto un periodo nel quale i nostri giovani professionalmente preparati, coloro che hanno studiato, che hanno frequentato le università, che le loro familgie e loro stessi hanno investito in una professione di qualità, non trovano occupazione in Italia e siccome paesi come la Svizzera, la Germania e specialmente gli Stati Uniti, hanno fatto politiche per attrarre i giovani di alta professionalità, perché questo viene utilizzato nel loro sistema economico, ce li sottraggono,  nel frattempo noi ci impoveriamo progressivamente dei nostri giovani preparati, e un sistema che non è in grado di dare giustizia, di riconoscere il valore e di costruire il presente con i propri giovani, soprattutto con le professionalità avanzate,  è un paese destinato a non avere futuro.

Vedete, non possiamo cullarci su un ragionamento, noi siamo l’occidente e se voi guardate il corso dela storia  abbiamo avuto in  tutte le epoche delle civiltà che sono cresciute e sono declinate, tutti gli imperi sono caduti da quello egiziano a quello sovietico, da quello babilonese a quello inca, tutti gli imperi hanno avuto una fase di ascesa, e nel momento in cui raggiungono il massimo del potere iniziano il declino per mancanza di azioni coerenti, e i popoli che devono rincorrerli sono quellli che iniziano una azione di energie intellettuali e materiali tali da prendere la rincorsa e il sorpasso.

Oggi come un tempo la Cina e l’India a livelli di devastazione e di sfruttamento sociale, sono paesi destinati nel medio periodo a superare dal punto di vista economico l’Italia certamente e l’Europa nel suo complesso.

Perché voglio puntare su questo ragionamento? per dire che non c’è niente di acquisito, per dire che noi tutti in qualche modo siamo impegnati nel sistema della globalizzazione ad essere responsabili e a sapere che il mondo comunque va avanti nonostante le nostre presunzioni, questo lo dico dappertutto e lo sintetizzo con una battuta, con l’esempio del gallo presuntuoso che pensava: se presto al mattino non  canto, il sole non sorge…, no, il sole sorge lo stesso  anche se il gallo non canta…

Non possiamo non preoccuparci di quello che sta avvenendo, ma il tempo e le dinamiche si muovono indipendentemente da noi e purtroppo dobbiamo recuperare ed avere sempre attenzione per quelli che restano indietro, recuperare i livelli di marginalità, lottare contro la povertà, lo sfruttamento, l’ingiustizia, però dobbiamo sapere che quando i processi vanno avanti, possono essere accompagnati, si può essere dentro ai processi o ai margini, ma comunque la realtà va avanti.

Questo vedete vale per chiunque, vale per la politica italiana, vale per la politica brasiliana, per il giornalismo come per l’economia e vale anche per l’emigrazione. Noi abbiamo conosciuto una storia dell’emigrazione che oggi è la vostra storia, la storia dei vostri nonni, la storia tradizionale che può conservare quel suo valore anche mantenendolo intatto a patto però che riesca ad intrecciarsi, ad aprirsi  al nuovo mondo.

Penso ai giovani dell’emigrazione, che non entrano e probabilmente non entreranno nei Comites, nel CGIE e nelle associazioni  regionali, nelle strutture dell’emigrazione  tradizionale perché hanno altre realzioni con l’Italia, i giovani scopriranno da soli come  recuperare quel rapporto con la terra dei propri padri, sarà una loro curiosità naturale, non sarà il rapporto con il paesino di provenienza, ma magari sarà l’interesse per la musica italiana, per il paese in quanto tale, per la cultura, per un nuovo livello di interrelazioni tra giovani, saranno sistemi diversi, ma non dobbiamo preoccuparci di questo perché è del tutto normale, fisiologico, questo perché sono diverse le connotazioni. Quando l’emigrante tradizionale emigrava cosa faceva,  il più delle volte, forse meno i più lontani quelli in America Latina, in Australia , penso ai miei parenti che erano in Svizzera, in Germania, quando andavano dicevano,  sì sto lì, però faccio un po’ di soldi ma tra un mese, tra un anno ritorno, poi passava il tempo e diceva, faccio ancora un po’ di soldi  e fra  cinque, dieci anni ritorno, e passavano 5, 10, 20 anni e intanto nascevano i bambini, crescevano, andavano a scuola, si consolidavano le relazioni con lo spirito di tornare ma non si tornava mai. Quindi c’era questa doppia relazione, questa contraddizione tra il voler tornare e l’essere lì, molte volte come non integrati, perché in questa sospensione non si integravano mai. Allora la connotazione di un giovane che nasce in quel paese che conosce già, tra virgolette integrato, che conosce la lingua e i costumi,  che non ha problemi, è diversa.

La condizione di considerare la patria da parte  dell’emigrato tradizionale, come madre in quanto patria di riferimento, la bandiera, ma anche come matrigna, perché è lei che ti ha costretto ad andare via, per questioni di riinserimento dopo le guerre,  per questioni politico-religiose,  di lavoro, di povertà, quindi c’è questa doppia condizione; un giovane di oggi ha una connotazione diversa.

Questo grande orizzonte   è parte integrante della nostra capacità di avere la mente libera, di guardare a questi fenomeni con spirito di grande apertura, non è con le prediche, con le chiusure che si comprendono queste problematiche, che se non si affrontano  con spirito veramente aperto non potranno mai essere soluzionate, ma i giovani di oggi questo bisogno lo hanno, lo sentono, bisogna dargli  le  occasioni,  le possibilità di sviluppare  queste relazioni.

Noi abbiamo pensato, per il prossimo anno ad una conferenza internazionale dei giovani dell’emigrazione, si sono fatte conferenze su tutto – la Prima Conferenza sull’emigrazione, quella dei parlamentari di origine italiana, dei missionari, dei ristoratori – ma non si è mai fatta una conferenza internazionale sui giovani, (e neanche sui comunicatori/giornalisti italiani nel mondo- ndr) forse qualcosa di altro rispetto all’emigrazione, deve essere una conferenza dei giovani, animata da più incontri che si possono realizzare in tutti i paesi, anche in Brasile, dove i giovani troveranno i loro momenti  di confronto e che poi ci sia la possibilità di una settimana  piena a Roma, portarne 1000/2000 finalmente dando loro voce e rappresentatività ed iniziando un lavoro che è il nostro futuro, la nostra continuità.

Ho introdotto questo tema perché noi, dico  il vice-ministro per gli italiani nel mondo Franco Danieli, tentiamo di impostare il nostro lavoro sulla base di tre elementi:

1)       l’elemento dela discontinuità

2)       dell’innovazione

3)       della concretezza

 

Molte sono le problematiche del mondo dell’emigrazione, per ora prima di tutto l’ottenimento della cittadinanza, l’assistenza agli anziani e gli investimenti che si devono fare sui giovani

Uno snellimento delle pratiche burocratiche, potrebbe benissimo portare alla fine delle file davanti ai consolati, non c’è bisogno di tanta cartaccia per provare che si è discendenti di italiani, questo il governo e specialmente il Ministero dell’Interno dovrebe saperlo, quindi  si richiede concretezza nell’applicazione della legge, ed è chiaro  che il governo italiano non ha tanta  voglia di mettere in atto le regole per renderla snella e facile, ma ne mette molte per renderla difficile ai cittadini che devono dormire davanti ai consolati a volte solo per ottenere delle informazioni, è vero che dette informazioni si possono avere attraverso il computer, ma  non tutti  lo hanno.

 

Quanto ao giovani, moltissime università  Europee e nordamericane offrono facilitazioni, corsi, borse di studio integrali anche per molti anni, prendendosi i giovani che assimilinano la loro cultura, il loro modo di vita contribuendo  poi con il  paese ospitante e con  quello di origine  arricchendoli con le loro capacità acquisite e le loro esperienze. L’Italia deve muoversi, gli altri non aspettano!

 

Quando alla discontinuità, vogliamo esattamente che questa continuità di difficoltà artificiali,  di ostacoli inutili, di creare difficoltà per vendere soluzioni, sia finita e se i diritti sono diritti e non sono pretese, le soluzioni devono essere semplici e snelle (ndr).