u ROMA – ITALIA – Brasile tra il 1945 ed il 2000 con particlare riferimento ai rapporti tra politica estera e politica interna

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CONCLUSIONI

 

In conclusione si può affermare che nella seconda metà degli anni ’90 molti dei vincoli posti al Brasile nel decennio precedente dall’ indebitamento estero risultano allentati. Anche altri fattori di squilibrio presenti negli anni ’80 assumono un rilievo minore come, ad esempio, lo squilibrio fiscale e la crescita demográfica.

 

Il Brasile pare quindi ben avviato sulla strada del recupero di un sufficiente grado di autonomia per affrontare in maniera adeguata i nodi politici della stabilizzazione e dello sviluppo.

 

Non si deve peraltro trascurare che il processo macroeconomico in Brasile (come d’altronde in tutta l’America Latina) é ancora soggetto a incertezze. In particolare, secondo gli di accreditate organizzazioni internazionali, da considerare la circostanza che difficilmente persisterá nel lungo período l’attuale situazione caratterizzata da bassi tassi d’interesse internazionali e consistenti afflussi di capitale; inoltre si delinea chiáramente un “trade-off” tra stabilitá macroeconomica (soprattutto dei tassi d’inflazione e di cambio) e competitivitá internazionale come testimoniato dalle difficoltá a compensare dall’estate 1994 le crescenti importazioni, con adeguati livelli di esportazione.

 

La politica brasiliana non puó quindi limitarsi a guardare con soddisfazione il cammino percorso negli ’90, prima sulla strada della liberalizzazione e successivamente su quella della stabilizzazione.

 

Come hanno suggerito numerosi studiosi di quel Paese, si avverte la necessità di rilanciare un ampio dibattito nazionale su quali siano le strategie più adatte per uno sviluppo duraturo, riuscendo ad adattarle a quella che é l’identità storica e culturale nazionale, sulla falsariga di quanto – ad esempio – é riuscito a realizzare in circa due decadi l’Asia orientale.

 

Le proposte al riguardo non sono mancate di certo e sembrano positivamente estranee a quelle considerazioni di natura ideologica che avevano invece permeato il dibattito sulle “riforme di base” all’inizio degli anni ’60 (1). I  riferimenti più equilibrati indicano l’opportunità dell’approfondimento dei risultati  positivi ottenuti durante la Presidenza di Cardoso che un recente studio sintetizzava così (2) :

-stabilizzazione dei prezzi;

fine dei monopoli statali nei settori del petrolio e telecomunicazioni;

esteso programma di privatizzazioni;

rinegoziazione dei debiti degli Stati della Federazione;

adozione di un sistema di “mete d’inflazione” per la politica monetaria“;

  adozione nel marzo 2000 della legge di responsabilità fiscale a tutti i livelli di governo (Federazione, Stati e Municipi).

 

3. Uno dei più ascoltati consiglieri dell’attuale Presidente aveva disegnato alcuni anni orsono un modello di sviluppo socio-economico del Brasile “verso l’anno 2000” (4) che considerava appunto le condizioni necessarie a tale evoluzione di carattere “europeo”. In tale studio si affermava che il Brasile avrebbe potuto raggiungere entro 10-15 anni un livello di vita paragonabile a quello dell’Europa meridionale (Portogallo, Grecia) per i principali indicatori sociali e di reddito solo se avesse aumentato gli stanziamenti pubblici per infrastrutture, sanità, salute ed abitazione ad un livello pari a circa il 5% del PIL.

 

Le visioni critiche di quest’evoluzione  ritengono invece che il blocco di potere consolidatosi intorno a Cardoso non ha reso più agevole il passaggio sopra descritto (5) e quindi che la nomina di Lula alla Presidenza della Repubblica dovrà soprattutto servire a saldare questa sorta di debito storico con i ceti più sfavoriti.

Tuttavia, la circostanza che un Presidente eletto con un consistente appoggio dei ceti conservatori abbia avuto successo nel coniugare finalmente crescita economica e miglioramento del benessere sociale, non deve costituire una sorpresa per un Paese che proprio sulle contraddizioni ha, in definitiva, edificato il suo modello di sviluppo.

 

4. Vale la pena ricordare che in un interessante lavoro di alcuni anni orsono noto un politologo brasiliano aveva disegnato quattro scenari alternativi di evoluzione politica per il Brasile (3):

il primo, il più negativo, era il prolungamento della crisi con crescita quasi nulla del PIL, diffusione lenta delle nuove tecnologie e concentrazione dello sviluppo nelle regioni meridionali;

il secondo, detto di “modernizzazione conservatrice”, mediante un progetto liberale che combini politiche di stabilizzazione con un progetto di integrazione e modernizzazione economica. Il PIL crescerebbe rapidamente, stimolato dall’afflusso di capitale straniero;

il terzo di “alleanza riformista”  prevede la convergenza di differenti settori sociali per definire un progetto fortemente innovativo. Ciò avrebbe comportato una crescita limitata ma stabile del PIL (2-3% all’anno), una riduzione dei pagamenti del debito estero, un rafforzamento del ruolo dello Stato, una politica autonoma per la scienza e la tecnologia;

infine, il quarto scenario prevedeva un’ alleanza di stampo “social-democratico” tra settore privato moderno e ceti urbani organizzati. Esso ipotizzava il rafforzamento del ruolo dei partiti, una riforma agraria limitata, spese sociali di base (sanitá, istruzione) in aumento ed un’inflazione controllata. Il PIL aumenterebbe cosí del 4-5% all’anno ed il progresso tecnologico si diffonderebbe rapidamente.

 

L’evoluzione dell’ultimo decennio ha scongiurato lo scenario piú negativo, disegnando con l’adozione del “Plano real”, della Legge di responsabilità fiscale e delle misure di liberalizzazione ad esse connesse una situazione avvicinabile allo scenario della “modernizzazione conservatrice”. Tuttavia, alcuni elementi – tra i quali la stessa matrice politico del Presidente Lula  e del suo partito di appartenenza, il PT,  il perdurante calo della domanda interna dopo l’iniziale fase espansiva ed il malumore dei settori industriali esportatori penalizzati dalla concorrenza internazionale sempre più aspra – facevano presagire il tentativo del governo di spostarsi verso il terzo scenario, quello dell’alleanza riformista. patto social-democratico.

 

Uno dei piú ascoltati consiglieri dell’attuale Presidente aveva disegnato alcuni anni orsono un modello di sviluppo socio-economico del Brasile “verso l’anno 2000” (4) che considerava appunto le condizioni necessarie a tale evoluzione di carattere “europeo”. In tale studio si affermava che il Brasile avrebbe potuto raggiungere entro 10-15 anni un livello di vita paragonabile a quello dell’Europa meridionale (Portogallo, Grecia) per i principali indicatori sociali e di reddito solo se avesse aumentato gli stanziamenti pubblici per infrastrutture, sanità, salute ed abitazione ad un livello pari a circa il 5% del PIL.

 

Le visioni critiche di quest’evoluzione  ritengono invece che il blocco di potere consolidatosi intorno a Cardoso non ha reso più agevole il passaggio sopra descritto (5) e quindi che la nomina di Lula alla Presidenza della Repubblica dovrà soprattutto servire a saldare questa sorta di debito storico con i ceti più sfavoriti.

Tuttavia, la circostanza che un Presidente eletto con un consistente appoggio dei ceti conservatori abbia avuto successo nel coniugare finalmente crescita economica e miglioramento del benessere sociale, non deve costituire una sorpresa per un Paese che proprio sulle contraddizioni ha, in definitiva, edificato il suo modello di sviluppo.

 

5. In campo internazionale tale situazione ha ridefinito gli assi di azione principali lungo quattro linee (6):

– negoziati commerciali multilaterali (OMC,Unione Europea e Alca);

– apertura di nuovi mercati in America Latina, Asia ed Europa Orientale;

– consolidamento del Mercosud;

– relazioni con gli Stati Uniti.

 

In politica estera la stabilizzazione del Brasile si  riflette innanzitutto in una relazione con gli Stati Uniti maggiormente cooperativa proprio perché meno dipendente daI sostegno finanziario e politico di Washington. In secondo luogo in una

consapevolezza definitivamente acquisita dei benfici connessi all’integrazione dei mercati dell’intero sub-continente, partendo dalla realtá consolidata del Mercosud.

Infine, tale situazione di accresciuta autonomia relativa potrebbe consentire una diversificazione effettiva non solo degli scambi commerciali, ma della collaborazione economica, tecnologica e scientifica con partner anch’essi di dimensioni continentali ed in sostenuta fase di espansione – quali la Cina e l’India – oppure dal perdurante rilievo strategico – quali la Russia.

 

6. Per il Brasile quindi il difficile equilibrio tra aspirazioni di potenza ed imperativi economici appare ancora destinato ad oscillare nel tempo tra momenti favorevoli e fasi di crisi.

La durata relativa dei primi rispetto alle seconde é probabilmente ció che farà – come direbbero gli Illuministi – “la felicità di una Nazione”.